Table Of Contentmorire vivi
Gianni Grassi
Sul mare di Palinuro (2001)
INTRODUZIONE
Il 6 febbraio 2007, dopo anni di pesanti terapie oncologiche
e otto mesi finali di ricovero all’Hospice Antea di Roma
(per una paralisi da infiltrazione al midollo spinale),
moriva a 67 anni il “paziente esigente” Gianni Grassi.
Sociologo, studioso di bioetica e tenace precursore della
battaglia per un vero rapporto comunicativo fra medici
e pazienti (che ha perseguito sino agli ultimi giorni).
Comunista, sindacalista e sostenitore di forme di lotta
alternative nel settore pubblico (pensate non contro
ma con gli utenti); impegnato al fianco dei non vedenti
(in particolare dei ciechi di guerra, come lo era suo padre)
per garantire loro una piena autonomia.
E ancora: coerente ecologista d’azione, concreto pacifista
(con partecipazione a una missione di interposizione
umanitaria in Bosnia), giornalista, curatore di libri e
organizzatore culturale.
Gianni Grassi è stato tutto questo e molto altro, mostrando
sempre come caratteristiche umane una estrema generosità,
grande passione ideale e altruismo. Tratti evidenziati
dai suoi scritti e dalle sue riflessioni – altrettanto ricche
e poliedriche – raccolte in una prima sintesi in questo libro
(consultabili integralmente sul sito www.giannigrassi.it).
Il lascito quanto mai attuale di un uomo che si è battuto
sino in fondo per “morire da vivo, magari scrivendo”.
3
Bisogna salvarsi per poter morire,
perché la morte non sopraggiunga senza coscienza,
ma chiara, precisa, limpida.
(José Revueltas Sànchez, “Il coltello di pietra”, 1957)
PREFAZIONE
Passando il confine
Sen. Ignazio Marino
Chirurgo • Presidente Commissione parlamentare d’inchiesta sul SSN
i è salvato Gianni Grassi, è morto vivo come pochi riescono
a fare. Si è immerso con pienezza e generosità nel suo tem-
S
po, accogliendo l’amore della famiglia e dei tanti amici e ri-
cambiando, moltiplicandolo. Ma ha fatto di più: ci ha ricor-
dato che ciascuno di noi ha il diritto di morire vivo, ogni perso-
na ha il diritto di essere un paziente esigente.
La sua esperienza umana si è fatta testimonianza quotidia-
na, un richiamo per i medici a porsi in ascolto, comportamento
che diventa medicina miracolosa, per il paziente e per la sua fa-
miglia. E anche per gli stessi medici che, dall’approccio “due
per sapere, due per curare” possono trarre grande nutrimento.
Ho avuto con Gianni Grassi una densa corrispondenza e
sono stato onorato del suo sostegno alla mia candidatura al Se-
nato della Repubblica, nella primavera del 2006. Un sostegno
alla persona, una grande responsabilità. Mi auguro di non aver
tradito la fiducia che mi accordò allora. Sono convinto di aver
contribuito a dare un’identità chiara sui temi etici a quel Partito
Democratico che Gianni Grassi faceva fatica a votare, ma sono
consapevole che lunga è la strada ancora da percorrere.
Mi sono ritrovato guaritore feritonei suoi scritti, laddove ci-
tando il mio “Credere e curare”, ricordava la mia esperienza di
paziente, il cambio di prospettiva cui la vita mi ha costretto anni
fa. Certo, come lui affermava, un medico non dovrebbe trovarsi
nella malattia per comprendere un malato. Ne resto profonda-
mente convinto e credo che onorare la memoria di una persona
come Gianni Grassi voglia dire anche continuare a impegnarsi
perché quel “capire insieme” divenga naturale attitudine di chi
si accosta al mestiere di medico, difficile e bellissimo.
Resto convinto che, come affermava il grande teologo tede-
sco Paul Tillich, “Il confine è il luogo migliore per acquisire co-
noscenza”. Gianni Grassi ha vissuto con coscienza chiara, pre-
cisa e limpida il suo passaggio e questi scritti, riflessioni e pen-
sieri sono qui non solo come testimonianza, ma come utile
strumento di un percorso comune di consapevolezza e rispetto
delle verità scientifiche e della libertà individuale. n
5
In auto con “Ninino” in fuga verso la libertà
Lettere a un ospedaliere
Così Gianni spiegava il suo “testamento” politico e morale
racchiuso in cinque lettere scritte tra il 1986 e il 2006
8 luglio 1986 il mio amico Giovanni Ciccarelli, detto “Nini-
no”, moriva di cancro nell’ospedale San Camillo di Roma
L’
dopo 40 giorni di atroci sofferenze, non sufficientemente
alleviate da una deontologia medica punitiva e da una
profonda disorganizzazione assistenziale. Peggiorate anzi da
forme di lotta sindacale che, nel mio libro Scioperare stanca,
definivo “efferate, vigliacche e banditesche”, in quanto forme
di violenza contro i malati, tenuti in ostaggio nelle corsie a subi-
re una “terapia” di inquinamento sonoro.
Alla memoria di “Ninino” devo l’impegno a studiare per
comprendere per quali mai perverse ragioni tante buone per-
sone e tante brave professionalità si rovesciano – una volta
messe insieme nell’istituzione sanitaria – in un meccanismo
infernale che distrugge ogni dignità loro e dei pazienti a loro
affidati. Il giorno stesso della sua morte incominciai a scrivere
lettere al miglior medico del reparto ospedaliero in cui il mio
amico era stato ricoverato.
Quanto tempo occorrerà perché la cultura delle cure pal-
liative (accoglienza, ascolto attivo, comunicazione empatica,
presa in cura dei malati inguaribili, sino alla fine, per alleviare
i sintomi dolorosi rispettando la loro dignità e i loro desideri di
autonomia, senza imporre alcuna forma di accanimento dia-
gnostico o terapeutico) entri finalmente nelle corsie ospeda-
liere già nella fase delle cure oncologiche, contribuendo a mi-
gliorarne l’efficacia terapeutica – ovvero a valorizzare le rela-
zioni tra curanti e curati – e al rispetto delle potenzialità e del-
le risorse interne dei pazienti?
Se non ora, quando?
7
Description:Anche se, come dice Arundhati Roy,. “nessuno di E la guerra, scrive Arundhati Roy, .. pre-operatoria, non ricordavo il significato di trico: “Che cosa.