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NICCOLÒ MACHIAVELLI
TUTTE LE OPERE
a cura di
MARIO MARTELLI
SANSONI EDITORE
COPYRIGHT © 1971 By G. C. SANSONI S.P.A. - FIRENZE
INDICE
Il buon geomètra di questo mondo
Introduzione di Mario Martelli P. XI
Nota al testo XLVII
Nota bibliografica LXI
SCRITTI POLITICI
Scritti politici minori 1
Discorso fatto al magistrato dei dieci sopra le cose di Pisa, 3 - De rebus pisto-
riensibus, 5 - Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare
Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina
Orsini, 8 Parole da dirle sopra la provisione del danaio, facto un poco di
proemio et di scusa, 11 - Del modo di trattare i popoli della Valdichiana
ribellati, 13 - Ai Palleschi, 16 - Sommario delle cose della città di Lucca, 17
Minuta di provvisione per la Riforma dello Stato di Firenze l’anno 1522, 20 -
[Frammento sulla riforma dello stato in Firenze], 23 Discursus florentinarum
rerum post mortem iunioris Laurentii Medices, 24 - Relazione di una visita
fatta per fortificare Firenze, 31 - Provvisione per la istituzione dell'ufficio de’
Cinque Provveditori delle mura della città di Firenze, 34 - Allocuzione fatta
ad un magistrato, 36 - Giribizzi d'ordinanza, 37 - 1512. La cagione dell’ordi-
nanza, dove la si truovi, et quel che bisogni fare. Post Res Perditas, 37
Provvisioni della repubblica di Firenze per istituire il magistrato de’ nove
ufficiali dell'Ordinanza e Milizia fiorentina, dettate da Niccolò Machiavelli, 40
- Consulto per l'elezione del capitano delle fanterie di ordinanza fiorentina, 50 -
[Sul modo di ricostituire l'ordinanza], 51 - De natura Gallorum, 53 Notula
per uno che va ambasciadore in Francia, 54 Ritratto di cose di Francia, 55
- Rapporto delle cose della Magna. Fatto questo dì 17 giugno 1508, 63 -
Discorso sopra le cose della Magna e sopra l'Imperatore, 68 - Ritratto delle
cose della Magna, 68
Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio 73
Il Principe 255
Dell’arte della guerra
299
VIII INDICE
Legazioni 399
Legazione al duca Valentino in Romagna, 401 - Prima legazione alla corte di
Roma, 496 - Seconda legazione alla corte di Roma, 573
SCRITTI STORICI
La vita di Castruccio Castracani da Lucca 613
Istorie foorentine 629
TEATRO E SCRITTI LETTERARI
Teatro 845
Andria, 847 - Mandragola, 868 - Clizia, 891
Scritti letterari in prosa 915
Nature di huomini fiorentini et in che luoghi si possino inserire le laude loro,
917 Sentenze diverse, 918 Favola, 919 Discorso o dialogo intorno alla
nostra lingua, 923 - Capitoli per una compagnia di piacere, 930 - [ Exortatione
alla penitenza], 932 - Libro delle persecutione d'Africa per Henrico re de’
Vandali, l’anno di Christo 500, et composto per san Victore vescovo d’Utica, 934
Scritti letterari in poesia 937
I Decennali, 939 - L'Asino, 954 - I Capitoli, 976 - Canti carnascialeschi, 988 -
Rime varie, 993
LETTERE 1007
INDICE DEI NOMI 1257
INTRODUZIONE
di Mario Martelli
IL BUON GEOMETRA DI QUESTO MONDO
E s'alcun da tal ordine s'arretra
per alcuna cagion, esser potrebbe
di questo mondo non buon geomètra.
(Decennale primo)
Se dovessimo scegliere un campione particolarmente ricco di possibilità
oggettive, atte a forzare il segreto del Machiavelli e a razionalizzarne in una
formula la sostanza fantastica, l'opzione potrebbe cadere su molte opere sue:
forse (a voler ignorare il Principe, troppo logorato dall’so per un simile
ufficio) sul Modo tenuto dal duca Valentino (adottando un titolo, per ovvie
ragioni, abbreviato); forse sulla Serenata; forse sulla pur celeberrima Mar-
dragola (ma ormai illuminata a giorno da due mirabili saggi, l'uno del Rai-
mondi e l’altro del Vanossi); forse su altre: ma forse, più che su altre feli-
cemente, sulla Favola, che accumula in sé la totalità dei vantaggi, da quello
della brevità a quello di essere concordemente additata come uno dei capo-
lavori del Machiavelli; senza contare che, molto letta e molto citata, ma poco
studiata, permette un esame relativamente libero da pregiudiziali remote o
recenti.
La novella (di Belfagor arcidiavolo o del Derzonio che prese moglie, come,
con netto scapito rispetto al titolo autentico, comunemente si chiama) ha un
attacco esile e complesso ad un tempo, una sorta di enunciato che fornisce
il dato essenziale e fondamentale della storia:
Leggesi nelle antiche memorie delle fiorentine cose come già s’intese, per relatione, di
alcuno sanctissimo huomo, la cui vita, apresso qualunque in quelli tempi viveva, era
celebrata, che, standosi abstracto nelle sue orationi, vide mediante quelle come, andando
infinite anime di quelli miseri mortali, che nella disgratia di Dio morivano, all'inferno,
tutte o Ja maggior parte si dolevono, non per altro che per havere preso mogle essersi a
tanta infelicità condotte.
Il periodo, nella sua apparente enunciatività, ha una sua struttura geome-
tricamente perfetta e svolge una funzione di primaria importanza nell'econo-
mia della favola: i cinque piani sintattici (e, conseguentemente, temporali e
XI INTRODUZIONE
spaziali) segnati dalla reggente (« Leggesi ») e dalle quattro oggettive in ca-
tena (« s'intese... vide... si dolevono... essersi condotte »: anche se la seconda,
centrale nell'intero corpo, si camuffa da relativa: di alcuno sanctissimo buomo
che vide = « che alcuno sanctissimo huomo vide »), creano, come in un giuoco
di specchi messi l’uno di fronte all’altro, una vera e propria fuga a ritroso,
nel tempo e nello spazio, il cui punto d’arrivo è costituito da una assoluta,
fabulosa arcaicità e dall’eterna immobilità dell’aldilà infernale. È nel punto
terminale di questa fuga che si guadagna, resa più inappellabile dal procedi-
mento litotico e dall’infinito del verbo, la massima: « Non per altro che per
havere preso mogle essersi a tanta infelicità condotte ». Da questo momento
la favola è scontata e nel suo assunto e nella sua conclusione: quell’assioma,
che non è oggetto di dubbio, non sarà passibile di revisione, né la storia ser-
virà ad altro se non a dimostrarne la indiscutibile validità. Le ragioni per mo-
tivare l'improvviso convincimento non mancherebbero: l’affermazione posta
in bocca non ad un singolo individuo, cui si può prestare o non prestar fede,
ma alla totalità delle anime o, almeno, alla loro stragrande maggioranza; il
rinvio a tutta una secolare e prestigiosa letteratura antiuxoria, cui il Machia-
velli mostra evidentemente di volersi ricollegare; o anche (ma in un ordine
di ragioni a taluno meno palpabili) il fatto che quell’apoftegma, nitido ed
esatto come gli oggetti visti col rovescio del binocolo, si collochi proprio nel
punto terminale di quella sintattica prospettiva d'archi che, nella sua geome-
trica perfezione, stimola la suggestione della necessarietà e della certezza. Per
tutto questo, niente (si prevede fin dall’inizio) sarà affidato, nell'arco della
novella, al caso; né il risultato finale scaturirà dall’imprevedibile giuoco degli
avvenimenti o dal vario scontrarsi delle esigenze e delle spinte di personaggi
diversi o di diversi interessi. Umori e fatti, uomini e cose costituiranno, nel
corso della narrazione, non più che la serie delle mediazioni indispensabili al
perseguimento di quel risultato. Si potrebbe ripetere, a proposito della Favola,
quello che il Raimondi ha ineccepibilmente detto della Mandragola: « La no-
vità dell’intrigo cede il posto a un teorema, a una partita a scacchi dove la
mossa è determinata in anticipo, ma resta da svelare ciò che la rende possibile
nel campo psicologico del ‘ pezzo’ corrispondente ». Pur nella teorica plu-
ralità dei procedimenti, resta il dato di fatto che la soluzione finale dovrà
essere quella e non altre, e perciò di una sostanziale non-libertà. Proiezione
terrena, temporale e spaziale, di un mondo delle idee che resta uguale a se
stesso, l’« esperimento » di Belfagor, preventivamente conchiuso nel canonico
giro di dieci anni, acquista (con tutto ciò che, di uomini e di avvenimenti,
esso mobilita) un carattere di vivacissima, ma fittizia messa in scena; e tanto
più perché quell’« esperimento » non è condotto da un vero uomo, ma da
un puro spirito, calato — ma a termine — nelle sembianze e nel corpo di un
uomo: del quale, seppur si sottometta alle leggi ed ai limiti cui sono sotto-
posti gli uomini, non assume del tutto (e, quindi, in effetti) Ia condizione,
se la totalità (e, quindi, la realtà) di una tale assunzione potrebbe essere assi-
curata soltanto dall'oblio della vera natura di dèmone.
Né tutto questo è deducibile solo razionalmente e preliminarmente dalle
ragioni oggettive che qui si è cercato di fissare: esso è denunciato piuttosto,
continuamente e sensibilmente, dal tessuto stilistico e dall’essenza vitale della
favola. Prima di tutto, dalla sua struttura. Dopo il prologo in inferno (proîe-
INTRODUZIONE XII
zione nell’aldilà, e quindi atemporale, dei buoni ordini e dello stato perfetto
dei Discorsi), la novella si svolge in tre « tempi »: il primo, costituito dal-
l’arrivo di Belfagor-Roderigo in Firenze, dalle magnifiche e splendidissime
nozze, dall’esperienza della vita coniugale; il secondo, dalla rovina, dalla fuga,
dall'incontro con Giammatteo; il terzo, dal duello, scandito in tre riprese,
fra il contadino e il demonio. Ciascuno di questi tre tempi, come si vede, si
articola a sua volta in tre successivi momenti, quelli strettamente necessari
a far progredire la vicenda nel solco già scavato. Tale progressione si attua,
nel primo tempo, con un movimento dal cerchio al centro, da un’area più
vasta ad una sempre più circoscritta e delimitata: dall’àmbito di una città a
quello di una famiglia, a quello della casa di Borgo Ognissanti. Nel secondo,
il più accentuatamente narrativo (e non a caso, quindi, centrale), si ha un
movimento lineare: dall'interno della casa (dove ancora si maturano gli effetti
della rovina), attraverso la fuga, alle campagne sopra Peretola. Nel terzo,
infine, il movimento è esattamente speculare rispetto al primo: la clizzax,
che conduce Belfagor successivamente nel corpo della figlia di un nobile fio-
rentino, di quella di un re di Napoli, di quella di un re di Francia, segna,
insieme col crescere dell'importanza del personaggio e della difficoltà dell’im-
presa, anche l’allargarsi spaziale del raggio d’azione di Giammatteo, da una
cerchia cittadina ad una nazionale e, da questa, ad una europea.
I tre ‘tempi’, con i loro rispettivi tre momenti, inquadrano gli avve-
nimenti in un reticolo estremamente regolare, che allo scioglimento finale
toglie l'aspetto di un risultato conseguito attraverso il montare casuale dei
fatti e delle combinazioni, per conferirgli quello di un giuoco ad incastro
risolto con la messa in opera dell'ultimo pezzo. Anche nella Favola, come
nella Mandragola, tutto è preordinato e stabilito a priori; anche qui, come lì,
tutto si dispone in strutture preesistenti (perfino gli atti e le scene della com-
media trovano un equivalente nei tempi e nei momenti della novella: e già
il Tommasini constatava questa riducibilità della Favola ad azione teatrale):
sicché il tempo*(ripeteremo col Vanossi) vi appare « sconfitto come elemento
creativo »: l’ultimo pezzo, in effetti, poteva essere messo a posto per primo
(o viceversa), e la sequenza temporale e causale è solo un convenzionale ade-
guarsi ad una delle coordinate che regolano le apparenze della vita terrena.
D'altronde, a ribadire la condizione ultima, che è quella di una sostanziale
immobilità, i movimenti da noi osservati finiscono per elidersi con movimenti
coesistenti e di senso opposto. Nel primo tempo, ad esempio, al movimento
discendente e diretto al centro, se ne contrappone un altro, ascendente e dila-
tatorio, scandito da clausole che fanno pensare ad una gradatio e ad un’epifora
sintattica:
Et essendo, per la legge che gli era stata data nello uscire d'inferno, sottoposto a tutte
le passioni humane, sùbito cominciò a piglare piacere degli honori et delle pompe del
mondo et havere caro di essere laudato intra gli huomini, i che gli arrecava spesa non
piccola. Oltr'a di questo non fu dimorato molto con la sua mona Onesta, che se ne inna-
morò fuori di misura, né poteva vivere qualunque volta la vedeva stare trista et havere
alcuno dispiacere. Haveva mona Onesta portato in casa di Roderigo, insieme con la nobi-
lità et con la belleza, tanta superbia che non ne hebbe mai tanta Lucifero; et Roderigo,
che haveva provata l’una et l’altra, giudicava quella delle mogle superiore; ma diventò
di lunga maggiore, come prima quella si accorse dello amore che il marito le portava;
et parendole poterlo da ogni parte signoreggiare, sanza alcuna piatà o rispetto lo coman-