Table Of ContentAntonio Conte, l’uomo giusto per riportare alla Juventus la gloria e l’orgoglio troppo a lungo perduti. Antonio
Conte, l’uomo di mille battaglie e di oltre quattrocento presenze in bianconero, tredici anni arricchiti da cinque
Scudetti, una Champions, una Coppa Intercontinentale e da tutto quello che c’era da vincere in Italia e nel
mondo. Antonio Conte, per cui “la realtà è il campo, la realtà è il sudore, la realtà è il sacrificio”. Antonio Conte
passato a dodici anni al Lecce dalla Juventina – un nome un destino – in cambio di otto palloni e della promessa
fatta in famiglia di continuare a studiare. Antonio Conte, arrivato a Torino in punta di piedi nel novembre 1991,
che al primo giorno nello spogliatoio, di fronte agli eroi di Italia ’90 Baggio e Schillaci, istintivamente dà loro del
“voi”. Antonio Conte, cresciuto sotto l’ala buona del Trap, che alla fine di ogni allenamento si ferma con lui in
campo per migliorare le doti tecniche; che gioca accanto a Zidane e Del Piero, pupilli amatissimi dell’Avvocato, e
si impone a furor di popolo come Capitano indiscusso per la sua grinta infinita.
Antonio Conte, che nel 2004 appende le scarpette al chiodo e riparte da zero, come piace a lui, col vento contro
e un proposito fermo: “Se entro qualche anno non arrivo alla panchina di una grande squadra, smetto”. Dopo gli
anni preziosi dell’apprendistato tra Arezzo, Bari, Bergamo e Siena – arricchiti da due promozioni in A – per lui si
spalancano le porte di casa: la Juve lo vuole per tornare grandi insieme e alla prima stagione riporta a Torino
uno Scudetto che mancava, revoche incluse, dal 2003. Ora, mentre la Juve ha riconquistato il ruolo di squadra
da battere in Italia ed è tornata a calcare i più prestigiosi palcoscenici d’Europa, Antonio Conte rompe la
proverbiale riservatezza per raccontare senza filtri la sua storia e la sua personale “arte di vincere”, i maestri, i
compagni e gli avversari, le partite più belle e le delusioni più cocenti. Guardando sempre tutti a testa alta, anche
quando ripercorre la tempesta giudiziaria del calcioscommesse che si è abbattuta su di lui nell’estate 2012 e i
“quattro mesi di dolore” che lo hanno tenuto lontano dal campo.
ANTONIO CONTE
(Lecce, 1969) da calciatore ha esordito nella squadra della sua città per poi
diventare una bandiera della Juventus, dove ha giocato dal 1991 al 2004 vincendo cinque Scudetti, una Coppa
Italia, quattro Supercoppe Italiane, una Champions League, una Coppa Intercontinentale, una Coppa Uefa e
una Supercoppa Europea.
In Nazionale è stato vicecampione ai Mondiali di Usa ’94 e agli Europei di Belgio e Olanda 2000. Prima di
approdare sulla panchina bianconera ha allenato Arezzo, Bari, Atalanta e Siena.
ANTONIO DI ROSA
(Messina, 1951) è stato vicedirettore del “Corriere della Sera” dal 1996 al 1999.
Ha poi diretto per quattro anni “Il Secolo XIX” e, dal 2004 al 2006, “La Gazzetta dello Sport”.
ANTONIO CONTE
con Antonio Di Rosa
Testa, cuore
e gambe
Proprietà letteraria riservata
© 2013 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-58-64461-4
Prima edizione digitale 2013 da edizione maggio 2013
L’Editore ha fatto il possibile per reperire i proprietari dei diritti delle immagini di copertina e dell’inserto fotografico.
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L’Editore desidera ringraziare sentitamente l’avvocato Antonio De Rensis per l’eccezionale disponibilità e la
insostituibile, generosa collaborazione dimostrate in tutte le fasi della lavorazione di questo libro.
Progetto grafico: PEPE nymi
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Testa, cuore e gambe
Prologo
Glasgow, 12 febbraio 2013. Ore 20,40
Lo stadio ribolle di bianco e di verde, i colori del Celtic padrone di casa.
Nel tunnel degli spogliatoi la tensione si taglia con il coltello e ognuno la
gestisce a modo suo. Gigi, che è lì in testa al gruppo con la fascia di capitano al
braccio, scherza con qualcuno. Io aspetto nervosamente la chiamata dell’arbitro
per entrare finalmente in campo. Ormai mancano pochi minuti all’inizio di Celtic-
Juventus, ottavi di finale di questa Champions 2012/13.
I bambini, nel cerchio di centrocampo, sono già pronti ad agitare tra le mani il
grande telone bianco e nero con il logo della manifestazione, sulle note
inconfondibili di quell’inno che anima i sogni dei tifosi di mezzo mondo. In tribuna
stanno arrivando alla spicciolata gli spettatori dell’ultimo momento; la maggior
parte invece ha già preso posto dal tardo pomeriggio, incurante del freddo di
questa serata scozzese. I telefonini di tutti sono pronti a riprendere l’ingresso in
campo delle squadre.
Sono ancora nel tunnel ma potrei raccontarne tanti altri, di piccoli dettagli
come questi. È come se li avessi davanti agli occhi.
Ormai li conosco bene perché le prime sei partite, tutte quelle del girone
eliminatorio, le ho viste dall’alto, in un gabbiotto che chiamano Sky Box e che
invece, ve l’assicuro, è un posto molto più vicino all’inferno che al cielo. Ingiusta
squalifica! Mi corre un brivido lungo la schiena pensando che, se non fossimo
riusciti ad arrivare agli ottavi, non avrei potuto vivere un momento come questo,
non avrei avuto neppure l’occasione di esordire da allenatore in Champions
League. Non ci sarebbe stata questa serata magica e adesso non starei
ascoltando questo canto che arriva alle mie orecchie potente come una palla di
cannone e dolce come una carezza.
When you walk through a storm
Hold your head up high
And don’t be afraid of the dark…
Per fortuna un po’ di inglese lo conosco. E poi questa è veramente comprensibile:
quando cammini attraverso una tempesta, tieni la testa alta e non avere paura
del buio. I tifosi del Celtic stanno intonando il più celebre inno d’amore che si
possa ascoltare su un campo di calcio. Le note di You’ll never walk alone
riempiono lo stadio e sembrano smuoverlo dalle fondamenta al cielo. Ho sempre
pensato si tratti di un canto meraviglioso perché non parla solo ai beniamini del
pubblico di casa. Non c’è traccia di odio verso gli avversari, non mira
all’intimidazione. Riscalda il cuore di tutti, dall’ultimo dei tifosi al primo dei
fuoriclasse. Sembra rivolgersi, uno per uno, a chiunque abbia provato molte delle
emozioni più intense della propria vita guardando una partita di calcio.
Walk on through the wind
Walk on through the rain…
And you’ll never walk alone
You’ll never walk alone
Attraversa il vento, attraversa la pioggia, e non camminerai mai solo.
Il Celtic Park sta parlando anche a me, anche se sto per entrare in campo da
allenatore avversario. È un benvenuto, una bella accoglienza: «Finalmente,
Antonio, ti stavamo aspettando».
Non camminerai mai solo.
Di certo non ho camminato da solo per arrivare fino a qui.
È una storia – e una strada – lunga, costellata di incontri più o meno fortunati,
di visi amici e di altri non certo rassicuranti. Di giorni di gloria e crisi nerissime. È
una storia, la mia, fatta per buona parte di calcio e di passione: quella che ti
spinge ad andare più forte di tutti, oltre i tuoi limiti, anche quando parti dalle
retrovie e davanti ne hai cento. È una storia che rivivo in un respiro, nel tempo
che occorre per chiudere gli occhi, riaprirli e rendersi conto di non averla soltanto
sognata. È una storia che incomincia a Lecce, tanti anni fa, con una macchina che
fa capolino dal fondo di una strada…
Capitolo uno
Il ragazzo di strada
«Antonio, guarda in fondo alla strada. Papà sta arrivando con un macchinone»
grida mio fratello Gianluca.
«Mamma mia come è bella. Tutta azzurra, tutta cromata… I raggi del sole ci
battono sopra e tornano indietro» dico a mia madre con gli occhi che brillano per
la gioia. Papà Cosimo, Cosimino per gli amici, è a bordo di una Fiat 131
fiammante. Dev’essere il suo ultimo acquisto, lui noleggia auto. Ogni volta che
torna a casa con una macchina nuova si fa festa. Solo che di solito si tratta di
auto piccole. Alla fine degli anni Settanta la gente ha pochi soldi da spendere e le
utilitarie consumano meno. Però chi si deve sposare chiede a mio padre qualcosa
di diverso.
«Cosimino, il matrimonio è un giorno speciale e ci vuole un’auto speciale. Che
ci facciamo con la 600?» E Cosimino provvede. Ecco il perché della 131.
Quando arriva a pochi metri dalla casa, papà tira fuori la mano sinistra dal
finestrino e ci fa un gesto. Ci invita a salire.
«Facciamo un giro, così la provate anche voi.»