Table Of ContentSullo Sporco
Christian Enzensberger
Titolo dell'opera originale
Grösserer Versuch über den Schmutz
© 1968, Carl Hanser Verlag, München
Traduzione dal tedesco di Renato Pedio
Prima edizione italiana: gennaio 1973
Copyright by © Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
Avec la souillure nous entrons au règne de la Terreur
PauL Ricoeur, Finitude et Culpabilité, 31
A più d'uno
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Il pulito è bello e buono. Il pulito è chiaro bravo caro. Il pulito
sta in alto ed è qui. Lo sporco è cattivo ed è altrove. Il pulito si
che è vero, lo sporco è brutto e sta in basso, lo sporco non
serve a niente. Il pulito ha ragione. Lo sporco è d'altra parte, il
pulito è insomma altroché, lo sporco è come dire, lo sporco in
certo modo è poco chiaro, lo sporco è in fin dei conti, il pulito
è perlomeno, però allora lo sporco è in realtà.
Signoreggia, occulto, in un buco spalancato. Grande e dalle
vaste ramificazioni è il suo impero. Oro fosco, spauracchio a
occhi sbarrati. L'umido il putrido il gelido. Vallo a pigliare,
vacci; e ci sarà.
Venticinque escrezioni conosce l'uomo. Risvegliano, nel
complesso, curiosità e senso di benessere. Una tesa
aspettazione ne precede sovente l'apparire, cui segue sempre
soddisfazione. Qual parte della persona vengono alla luce;
qual cosa propria le si saluta. Ma l'affetto è breve. Sarei
ancora io, questa roba (così il loro autore subito si domanda)
o non lo sono più, è ancora roba mia oppure è già un oggetto
come gli altri? Non la capisco, non la volevo, non ci tengo per
niente a esserlo stato, e anzi: non lo sono stato affatto, basta
con questo pasticcio schifoso!
Poiché volentieri l'uomo elimina. Poi la sua cosa, una volta
fatta, lui la denuncia; e quanto più l'altrui! Chi la mette alla
luce tradisce le sue pessime maniere. Ma possibile che non
riesca a dominarsi, possibile che debba sollevarla realmente,
in pieno giorno, questa vergognosa questione, di cosa in
definitiva sia tutto suo e cosa invece no? Tipico, questo.
Naturale che era stato lui, non altri che lui. È non era la prima
volta, neanche per idea, va già avanti da anni, da decenni,
sempre lo stesso. Uno gli deve fare schifo una cosa così, è
roba da star male! Puah e ancora puah.
Ventiseiesima espulsione dell'uomo è l'uomo.
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Per ambienti più elevati un intervallo opportuno, si capisce. Ci
si respira più liberamente. Il rapporto instaurato è quello di un
cortese sembiante. Da pattner a partner vengono condotti
cavi ad alta resistenza, saldati alle teste. Ci passa poca roba.
Un inchino dà quietanza dell'arrivo dei flebili impulsi. Il cui
messaggio rimane oscuro. I signori s'innalzano. Camminano
nell'aria. Cadono dalle nuvole. S'impadronisce di loro la
convezione termica. Come aquiloni, li puoi scorgere ancora a
lungo, le code nelle correnti ascensionali.
Era credo una rampa di dolce pendenza nei pressi della
stazione, quella su cui correvo. Non lasciavo la minima
traccia. Consistevo di materia significativa ma poco densa. Gli
strati dell'atmosfera mi attraversavano senza ostacolo, mi
rispecchiavano in altri quartieri della città. I passanti erano
imperturbabili. Qualche cosa ronzava, mi attirava. Le cose
intorno avevano netti profili autunnali. Infine trovai dietro il
muro, murato per metà, l'ingresso.
Postagli più precisamente la domanda disse che, nell'analisi,
si deve partire dalla persona, dalla generatrice d'ogni
sporcizia. Che quanto si trova interiormente a essa è mondo,
o meglio è sottratto alla categoria del mondo o dell'immondo.
Il valore di questo "interiormente" è rigoroso: la faccia interna
di svariati condotti e buchi organici già non vi rientra più,
perché sono pensati come ingolfamenti nella persona. Che
dunque, a fondamento manifesto di quel macchiarsi, detto
delle vergini, sta l'idea che la macchia necessaria non
oltrepassi una sorta d'insenatura della persona: cioè, una
volta di più, solo all'esterno. Che anche il tubo digerente, è
notorio, si può insozzare giù fino alla laringe ma non più in là;
e il limite dell'inghiottire segna al contempo quello della
nausea. Ciò solo in margine.
Ne viene che lo sporco si crea sulla faccia esteriore della
persona e qui appunto presenta la massima intensità; di
modo che qualsiasi cosa provenga dalla pelle, oppure vi si
posi e vi aderisca, immediatamente si trasforma in
sporcizia. Poi ci sono le lacrime, con cui ci si può imbrattare;
e persino le sostanze cosmetiche che garantiscono di nettare
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la pelle (e a fondo anzi, entro i pori), vanno rimosse
coscienziosamente a un termine prefisso, spesso ricorrendo a
una seconda sostanza ancora più penetrante, e soggetta a
sua volta alla medesima norma. Che lui ci si perde.
Non è da sempre che la persona vede nella pelle il suo più
importante confine; ma, sembra, solo da quando si è
complicato in modo tanto imprevisto il suo commercio col
mondo. Ma che, intanto, è ferma a questo punto da duecento
anni buoni e si domanda cosa c'è veramente, alla fine, fuori e
dentro la pelle.
Che lui, come si vede, non ha ancora in pugno propriamente il
tema.
Dove va a parare tutto questo, per piacere. Ma è italiano
questo, per piacere. Cosa c'entra, con che, per piacere.
Per dopo, lui ce l'ha qualcosa a proposito della persona da
toccare, ce l'ha qualcosa sulla minoranza. Ce l'ha, una tesi,
per dopo.
Se per caso cioè qui, ora, si fa poesia, puri effetti, in elette
parole.
Che, prosegui, allo sporco compete il contatto diretto,
che non esercita il minimo effetto a distanza, che gli occorre
sempre un sostrato. Il sostrato non è costituito
necessariamente dalla persona. Però, la possibilità che ha lo
sporco di comparire anche altrove si spiega solo col fatto che
la persona immagina che una cosa o l'altra le si accosti. Che
per poterlo diagnosticare, in genere, da lontano, la persona
deve essersi prima trasformata lei stessa nella cosa
insozzata. Il luogo in cui questo accade con maggiore facilità
è il luogo ove la persona si prolunga entro la cosa: dunque,
ciò che possiede. Proprio per questo ciò che si possiede è
anche oggetto dell'atto irriducibile del ripulire: l'automobile, il
sabato, ogni settimana.
Mettiamo che uno si svegli una mattina e noti una cosa
stranissima: che cioè ogni suo passo si lascia dietro
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un'impronta nera per terra. Questo nero gli appare più
intenso, ma anche più irreale, degli altri colori. Il dito, a
passarcelo sopra, rimane pulito. Lui per le scale ha paura: che
fare, se viene qualcuno? Ma nessuno si accorge di niente,
neanche la portinaia con la scopa. Lui allora si rallegra della
sua nuova conquista, questa sua produttività ininterrotta lo
inorgoglisce. Per la strada si volta continuamente. I passanti
camminano, senza saperlo, sulle sue tracce, e senza saperlo
le diffondono; ma, ogni volta, soltanto nella misura in cui le
avevano prima toccate nell'incapparci, spesso lunette
piccolissime, spesso solo l'angolo del tacco. La sua traccia si
dirama rapida, già conduce qua e là in singole case; poi anche
le lunette e i tacchi neri se li trasporta altrove chi
successivamente li calpesta e non ne sa niente, e anch'essi
solamente in parte, frazioni di lunette e angoli di tacco ancor
più piccoli, ma per questo tanto più sovente.
Ecco che va allargandosi con rapidità grande e crescente, già
egli vede automobili che ogni metro è mezzo stampano sulla
carreggiata un marchio grande o piccolo che sia, già le prime
orme intere o parziali portano alla stazione, all'aeroporto, e di
là chi sa dove. Le strade se ne tingono, le mosche lo
trasferiscono sulle pareti in puntolini minuscoli, le coppie
d'innamorati lo portano sul viso e non lo sanno, e dalle loro
guance maculate l'aria che le sfiora e passa cade o spira, a
seconda, come fosse fumo nero.
Solo ora, a quella vista, lui si spaventa sul serio; come andrà a
finire, è una cosa che deve cessare, insomma che razza di
roba è, e specialmente da dove viene questa porcata, perché
dev'essere capitata proprio a lui? Oppure, alla fine, capita
invece lo stesso preciso a tutti gli altri, e lui negli altri lo nota
tanto poco, quanto gli altri in lui? In ogni caso vuole
sbarazzarsene, e anzi se ne sbarazza, non si lascia più dietro
neanche un'orma, cosa questa che può appurare su un punto
rimasto bianco. Dunque esistono posti, e si manifestano solo
ora, nei quali non si viene mai, che non servono a nessuno,
solo a lui servono, adesso, d'urgenza. È così si mette a
cercarli, e la ricerca si fa sempre più lunga, perché quello che
si è lasciato dietro seguita a diffondersi sempre più, sarà a
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Varsavia a quest'ora, nell'Arkansas, e anche là simili posti di
nessuno resteranno sgomberi per un po', ma nessuno se non
lui, se lui ci fosse, li potrebbe vedere; e quasi, oramai,
neppure questo, perché i veli d'aria s'ispessiscono e sulle
annerite case, cani e uomini che non ne sanno niente,
offuscano la luce. L'ha vista affievolirsi lentamente sulle sue
mani rimaste bianche.
Che una volta toccata la pelle e generatosi così lo sporco - lui
disse senza la minima sollecitazione quello che succede è
particolarissimo. Cioè, la persona vorrebbe che cessassero
all'istante sia il contatto sia la contaminazione, e cerca di
annullarli il più presto che può. Non sopporta di essere
toccata, è chiaro. Ha di sé un concetto di tabù. Raggiunta
così, ha il senso di esser lesa. Tanto è vero che distingue su di
sé zone di insozzabilità differente: minima sulle membra
periferiche e inferiori, crescente verso il mezzo e più in su,
massima nella parte superiore del corpo e nel volto. Ma
queste sono appunto le parti in cui la persona può più presto
presumer di risiedere propriamente. Che, in caso di necessità,
essa si ritrae all'interno del corpo, cioè nella sua dimora più
protetta. Si tratta di un impulso del tutto elementare,
sottratto alla volontà. Che allude, qui, alla nausea.
In un romanzo poi abbandonato, intitolato Craxley, l'eroe fa
un'esperienza di macchia. Il brano relativo si chiama Délire
de toucher.
"Cranley notò in sé un mutamento e volle guardare quello che
era mutato: ma non vide nulla, perché per vedere avrebbe
avuto bisogno di se stesso, e in quel mentre era altrove.
Stava, precisamente, franando nel suo interno; precipitava,
lui che era indispensabile a qualsiasi vedere, dentro il buco
che aveva in sé, che ognuno ha in sé. Errata l'opinione che
dentro si sia compatti, eppure comprensibile: quanto vi cade
non occupa, infatti, che pochissimo posto. Tuttavia è possibile
seguirne bene il percorso. Scivola rapidissimo fino
all'estremità inferiore del tronco, nel luogo che,
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appropriatamente, si denomina chiusa perineale . Qui, sulla
faccia interna di essa per l'esattezza, viene arrestato dalla
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pelle, se ne discosta e riprende a sospingersi lentamente
verso l'alto.
"In natura il processo trova manifestazione visibile nella
lumaca. La lumaca, appena viene a contatto con qualche cosa
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d'inaspettato, rovescia l'occhio in se stesso , in una maniera
d'altronde misurata, melodiosa addirittura, per poi tornate a
volgerlo sull'oggetto mai veduto prima.
"Tramutato in lumaca, come la lumaca Cranley andò e
ritornò. Discesa e risalita furono accompagnate da tutti i
possibili fenomeni psichici, veramente sgradevoli; non occorre
descriverli qui. È degno di attenzione invece, e di descrizione,
il comportamento dell'interno di Cranley nel momento in cui
egli, all'avambraccio sinistro, colse la visione reale del suo
mutamento: vale a dire, appena quest'interno ebbe ripreso il
suo posto consueto e normale, subito eccolo abbandonarlo
nuovamente e precipitarsi, stavolta come un fulmine e senza
lasciarsi dietro nulla di sé, sul luogo mutato della pelle,
sempre sulla faccia interna. Di conseguenza la sua attuale
struttura era questa: una macchia all'esterno, poi uno strato
di tessuto organico e dietro, a contorno preciso della macchia
e dunque da essa determinato in dimensione e forma, lui
stesso.
"Fatto egli così perfettamente eccentrico, ancora tutt'al più
impegnato quanto restava di lui dall'affluire eccitato della
percezione sensoriale diretta sulla macchia, dunque in tutto e
per tutto ripiegato e stretto in se stesso, il presente sistema
riportò Cranley, automaticamente bisogna dire, verso una
condizione meno compressa, più sciolta. E con essa il suo
occupante interno aveva recuperato almeno una cosa: poteva
porre mano alla distribuzione normale dell'Io sull'intera
persona. Soffregando gridando dimenandosi si affannava a
scacciare dalla macchia, respingendolo in regioni interiori
diverse e più idonee, quello che pur sempre resisteva; e il
compito gli era reso più arduo dal fatto di essere svolto fuori
della visione globale del processo, e perciò futilmente e
comunque antieconomicamente."
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Riepilogo. Nel tremito, nel brivido. La pelle vorrebbe fuggire,
per ripiegarsi nell'interno, tutta. Via, lontano da qui. Non ci si
entra, tutto pieno. È che la persona stessa tende anche lei
verso l'interno e, dalla sua parte, spinge. Accanito equilibrio,
qualcosa deve cedere, e cos'è che può cedere se non il
ventre? Niente. Dunque cede, si tende per un gran
rovesciamento, catapulta, vomita, annaffia tutto in un contro-
bombardamento. Bang. E vediamo chi ce la fa di più. Grazie
va meglio, ah! è fatta.
Che non sempre, disse, il rimedio assume una simile
drammaticità; da sempre, e ancor oggi, la persona ricorre
all'acqua per eliminare i più lievi tra i guasti dovuti allo
sporco. Che l'aggiunta del sapone è un ritrovato tardo, e
d'altronde germanico. Nell'antichità classica ci si nettava col
bagno, impiegando tutt'al più oli raffinati, e già nell'Antico
Testamento con sale alcalino. "E si spiega facilmente,"
soggiunse, 'perché sia stata scelta l'acqua. Di tutte le
sostanze toccabili essa concentra in sé la massima negatività.
Non ha colore, non ha forma, non ha odore e adoperata
com'è, di preferenza, corrente, non ha sede stabile. È l'unica
incarnazione materiale del nulla, perché l'aria non è materia.
Ma dal nulla ci si attende che, quasi per una sua voglia di
esistere, assommi senza far resistenza e volentieri tutte le
cose in sé, anche le più spiacevoli." Che A little water clears
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us of this deed , dice Lady Macbeth dopo l'assassinio del
Re, e che si sente rinato, per sua stessa testimonianza, chi
abbia appena fatto il bagno: che son persuasioni belle, ma
non particolarmente durature.
Ma supponiamo di avere a che fare con una cosa, su cui
l'acqua palesemente non eserciti il minimo effetto, che non
realizzi quell'annullamento neppure in via approssimativa:
cosa fare? Per tali casi non restano che altre due maniere più
radicali di purificazione, notevoli tutte e due per il fatto che lo
sporco e lo sporcato vengono estromessi dal mondo nel
medesimo tempo: cioè, l'inumazione e la cremazione. Che
nella prima maniera tutto scompare perché viene immerso in
un più vasto sporco: dunque, essenzialmente, annichilimento
dell'individuo sporcato, conservazione dello sporco; e nella
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seconda per smaterializzazione: dunque, annichilimento dello
sporco e conservazione - finché almeno l'essere della persona
vien concepito aeriforme - dello sporcato. La cui pulizia,
beninteso, poi è garantita! Che tutto questo conduce a
conclusioni peculiari. È toccando il nulla, dunque, che ci si
monda? E ancora: forse che qualsiasi contatto mondano,
qualsiasi esperienza, e azione, e sapere, contiene un
elemento di sporco? Perché se così fosse tutto questo,
attraverso il contatto con l'acqua-nulla (per non dire del
fuoco), verrebbe liquidato globalmente. La persona suppone
forse di essere se stessa soprattutto nella disconnessione
perfetta rispetto al mondo? Che è il mondo, per la verità,
quello che essa dilava, e spazza, e annichila tanto
instancabilmente. Non c'è pericolo che, cosi facendo, perda
se stessa anziché ritrovarsi?
Questioni troppo grosse davvero. Che dunque lo si
comprenderà, se propone di ritornare ora alla semplice
esperienza.
Procedetti di qualche passo e attesi su, tranne l'ingresso
risegato, tutto era buio. Poi, comparvero pareti di cemento,
diverse stanzette aperte, putrelle in ferro orizzontali e
verticali. Per terra ce erano giornali e roba vecchia. Uno
poteva proseguire da una parte o dall'altra. Accesi la
lampadina. In uno spazio vicino gocciava acqua, regolare,
sonora.
Gli esempi, volentieri. Nel campo dell'asciutto, cenere e
capelli, le bucce pelli stracci cocci bottiglie ritagli pelliccia,
mescolati per giunta, della spazzatura, inoltre tutto il
granuloso e il friabile, e quanto mai vi si frantumi sbricioli
sfogli spacchi in modo fatiscente spugnoso scheggiante
sfilacciante, oppure quanto di ciprioso calcinoso fuligginoso
spira, si posa deposita e depone. Tanto, in primo luogo. Poi,
viene la chiazza macchia zacchera, tanto rappresa che
impregnata, di latte succo colore inchiostro orina. Son esse a
segnare i confini verso il vasto paesaggio dell'umido e
dell'unto, e da li il cammino fino al bagnato e al grasso non è
più molto lungo. Ora, sono quivi degni di menzione unguento
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