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sui libri e sull’insiemedelle attività della
Società editrice il Mulino
possono consultare il sito Internet:
www.mulino.it
Carl Schmitt
Sul Leviatano
Introduzione di Carlo Galli
Società editrice il Mulino
ISBN 978-88-15-26794-8
Copyright © 1938, 1965, 1982byKlett-Cotta-J.G.Cotta’scheBuchhand¬
lung NachfolgerGmbH, Stuttgart. Copyright © 2011 by Società editrice
il Mulino, Bologna. Traduzione ed edizione italiana a cura di Carlo Galli.
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INDICE
Introduzione. Schmitt e Hobbes: una strana
coppia?, di Carlo Galli P- 7
I. Il Leviatano nella dottrina dello Stato
di Thomas Hobbes 35
IL II compimento della riforma 129
Appendice bibliografica 169
Indice dei nomi 179
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INTRODUZIONE
SCHMITT E HOBBES: UNA STRANA COPPIA?
1. È un testo intricato, quello che Schmitt licenzia alle
stampe il giorno del suo cinquantesimo compleanno; un
intrigo di rovi, molti, in cui sono nascosti anche qualche
fiore e qualche frutto. E quindi è un testo che afferra - ma
con le sue spine -, che è intrigante e respingente, che incu¬
riosisce e che allontana. Un enigma, per certi versi; un testo
cifrato ed esoterico proprio nel suo non nascondere nulla,
nel suo esibire impudicamente le proprie contraddizioni
come un messaggio nella bottiglia che rechi l’avvertenza
«scritto nelle fauci del Leviatano» (ma meglio sarebbe
parlare di Behemoth, il mostro biblico e cabalistico del
caos, della divisione e della pluralità, sulla scorta del libro
di Franz Neumann del 1942) - o almeno, questo è ciò
che dirà successivamente Schmitt (in Ex Captivitate Salus,
1945-1947), nel tentativo di accreditarsi come un resisten¬
te dell’«esiliointerno» che proprio in questo libro (come
Ernst Jünger in Alle scogliere di marmo, 1939) avrebbe
giocato a rimpiattino col nazismo, eludendo e ingannando
Per la vasta bibliografia (su Schmitt, su Hobbes e sull’antisemitismodi
Schmitt) cheèqui presupposta, mi sia consentitocitare: C. Galli, Introdu¬
zione a C. Schmitt, Scrittisu Thomas Hobbes, Milano, Giuffrè, 1986; Id.,
Genealogiadellapolitica. CariSchmittelacrisidelpensieropoliticomoderno,
IIed. Bologna, Il Mulino,2010 (cap. XIV); Id., LosguardodiGiano. Saggi
su Cari Schmitt, Bologna, Il Mulino, 2008 (cap. IV); Id., Contingenza e
necessitànellaragionepoliticamoderna,Roma-Bari,Laterza,2009 (cap. II).
A cui si aggiunga È. Balibar, Le Hobbes deSchmitt, leSchmitt de Hobbes,
in Id., Violence et civilité, Paris, Galilée, 2010, pp. 323-381 (prefazione a
Le Léviathan dans la doctrine de l’Étatde Thomas Hobbes. Sens et échec
d’unsymbolepolitique, Paris, Seuil, 2002).
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il tiranno (del quale peraltro si descrive come prigioniero,
come il Benito Cereno di Herman Melville). Certo, anche
se non si vuole assecondare la narrazione schmittiana, non
si può non vedere che questo è un testo contorto, difficile
nella sua apparente semplicità (il che è una costante della
produzione di Schmitt), ma quasi privo delle folgoranti
formule lessicali e concettuali che caratterizzano la scrittura
e l’argomentazione schmittiana, qui insolitamente cauta,
ambigua e reticente, scopertamente mimetica rispetto
all’ambienteesterno (l’antisemitismoe l’anticattolicesimo
del nazismo). Se questo è un esercizio «straussiano» di
conformismo - in realtà un messaggio coperto che va al di
là dell’ossequioservile agli infernali padroni che Schmitt si
era scelto, che non lo amavano (sia per motivi intellettuali,
essendo egli troppo legato alla statualità, inviso ai teorici
del popolo e della razza, sia per motivi politici contingen¬
ti, connessi alle lotte di potere dentro e fuori il ministero
della Giustizia) e che egli, pur sconfitto, cercava in tutti i
modi di convincere della propria affidabilità si tratterà
-,
in ogni caso di decifrare il significato esoterico di questo
così sgradevole essoterismo.
Ma non è solo verso il nazismo che Schmitt gioca a
rimpiattino, o almeno non è questa la cosa più importante
da capire: forse l’insinceritàdi Schmitt verso il regime e
verso se stesso resterà sempre indecifrabile, dal punto di
vista biografico (il che non toglie nulla alle responsabili¬
tà pubbliche - intellettuali, storiche e politiche - di un
uomo che invece vi si è sempre sottratto). È soprattutto
con Hobbes che Schmitt gioca a rimpiattino: lo prende e
ne è preso, lo rovescia e ne è rovesciato, lo critica e ne è
criticato. Questo libro è il gioco di specchi in cui l’ulti¬
mo pensatore politico della moderna tradizione europea
fronteggia il primo, e decostruendolo ne viene catturato;
nell’impotenzapolitica di Hobbes Schmitt misura la pro¬
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pria; nel suo fallimento davanti alla concretezza sospetta
il proprio; nell’allungarsi come uno spettro nell’ombra
del Leviatano su Hobbes (una citazione da Lucano) egli
prefigura il proprio destino; nell’ambiguitàdi Hobbes vede
quella dello Stato e la propria, cioè quella del critico della
forma politica moderna in crisi, che non sa andare oltre il
rimpianto per quella.
Nulla di strano, quindi, se il libro è stato interpretato in
molti modi: è Schmitt stesso che, proprio mentre lo chiude
con uno dei suoi motti celebri, lo lascia di fatto incompiuto,
e apre la via sia alla successiva strategia di identificazione
con Hobbes - tanto fortunata quanto azzardata, ennesimo
elusivo gioco di specchi, abile montaggio scenico - quanto
alla nuova interpretazione di Hobbes del 1963 e del 1965,
tutta giocata anche questa sul tema centrale del libro del
1938, cioè quello della «concretezza». Una concretezza
sempre ricercata da Schmitt - in proprio e attraverso Hob¬
bes - come segno e pegno di ordine, e sempre sfuggente,
sempre elusiva; sempre contrastata dalla sua antitesi, cioè
dall’astrattezzagiuridificante che cerca solo la sicurezza e
così, mentre si sottrae al rischio del ‘politico’,lascia spazio
al disordine radicale.
2. Molte sono le vie schmittiane verso la «concretezza»,
concetto affine a quelli di «contingenza» e di «complessità»:
la decisione sovrana sull’eccezione,la rappresentazione cat¬
tolica, la costituzione, il ‘politico’,lo Stato totale, la teoria
dell’ordineconcreto, il Nomos, lojuspublicum europaeum,
il kat’echon(il freno che rallenta le dinamiche entropiche
della secolarizzazione moderna). Esaminarle tutte significa
percorrere l’interopensiero di Schmitt, nella sua complessi¬
tà, nelle sue incertezze, nella sua paradossale coerenza. Qui
basti dire cheper quanto tutte rivolte contro il razionalismo
politico moderno, contro l’individualismo, il liberalismo,
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il parlamentarismo, non sono antimoderne in quanto tali.
E sono anzi diverse modalità - più o meno felici, più o
meno potenti, più o meno credibili - di un’unicaricerca:
quella di pensare la politica come contingenza e al tempo
stesso come forma, come energia e come ordine non in sé
conchiuso, come immanenza ma non come aderenza supina
al progressismo moderno. La ricerca, cioè, di stare nella
modernità interpretandola come secolarizzazione e non
come laicizzazione, ovvero senza condividerne lo spirito
contraddittorio: emancipatorio e rivoluzionario ma anche
neutralizzante, universalistico ma anche tecnicistico, paci¬
ficatone ma anche iperconflittuale (di una conflittualità,
cioè, selvaggia e ciecamente automatica, che non è quella
a cui pensa Schmitt col suo concetto di ‘politico’).La scel¬
ta, insomma, di abitare il Moderno con la consapevolezza
della sua origine nichilistica - della sua origine dal ‘poli¬
tico’,l’abisso della conflittualità - e del suo svolgimento
aporetico (la politica moderna si propone di eliminare la
politica e di trasformarla integralmente in calcolo, in diritto,
ma al tempo stesso si vede esplodere fra le mani la guerra
civile mondiale); da cui deriva la necessità che tale «sapere
dell’origine»si esponga ai rischi e alle contraddizioni della
modernità; che insomma l’ordinepolitico non sia pensato
come «sicurezza» ma come una forma (un ordine, quindi)
non chiusa ma capace di controllare il ‘politico’proprio
perché sa di esserne percorsa, senza essere consegnata a
esso (il ‘politico’,infatti, è violenza sovrana, non violenza
endemica). Una forma aperta al conflitto, che, parados¬
salmente, trova proprio in tale apertura - che la rende
contingente e concreta - il freno che evita la deriva tecnica,
universalistica e insieme pan-conflittuale, cui la modernità
è per Schmitt destinata.
Il libro del 1938 si situa nel punto di passaggio fra la
mai decollata teoria dell’ordineconcreto (elaborata fra il
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