Table Of ContentIl	«mal	di	vivere»	risale	al	XVIII	secolo,	ma	il	malessere	che	designa	esiste
da	quando	l’uomo	cerca	di	dare	un	senso	alla	sua	esistenza.	Già	nell’Antichità	i
medici	 descrivevano	 pazienti	 colpiti	 da	 sindromi	 depressive	 e	 proponevano
rimedi	a	base	di	piante	per	guarirli.	I	filosofi	si	interrogavano	sull’ambivalenza
di	 queste	 «affezioni	 dell’anima»,	 caratterizzate	 da	 stanchezza,	 accidia,
malinconia,	 noia,	 inquietudine,	 spleen,	 nichilismo,	 nausea,	 angoscia,
depressione.	 Il	 mal	 di	 vivere	 ha	 preso	 forme	 diverse	 nel	 corso	 dei	 secoli,
tutte	 sempre	 legate	 al	 malessere	 della	 condizione	 umana.	 Da	 Lucrezio	 a
Schopenhauer,	 numerose	 menti	 illuminate	 hanno	 analizzato	 la	 malinconia
e	molti	vi	hanno	visto	il	temperamento	per	eccellenza	dei	«grandi	uomini».	Da
Eschilo	a	Cioran	passando	per	Shakespeare,	il	mal	di	vivere	ha	ispirato	i	più
grandi	autori	della	cultura	occidentale.	Dall’impossibile	rivolta	di	Prometeo
contro	il	destino,	all’angoscia	dell’uomo	contemporaneo	che	affronta	le	trappole
della	libertà,	questo	libro	svela	come	il	mal	di	vivere	sia	il	pegno	da	pagare	per	i
progressi	della	civiltà.
	
	
Georges	Minois,	professore	di	storia,	ha	scritto	numerose	sintesi	sulla	storia
della	cultura	occidentale.	In	particolare	ricordiamo:	Storia	dell'ateismo	(Editori
Riuniti,	2000),	La	Chiesa	e	la	guerra	(Dedalo	2003),	Storia	del	riso	e	della
derisione	(Dedalo	2004).
	
	
In	copertina:
Heinrich	Vogeler,	Sensucht,	1908,
Privatbesitz.
La	nostra	società	rifiuta	i	pessimisti,	i	depressi,	gli	angosciati.
Il	mal	di	vivere	è	quindi	una	malattia	dei	tempi	moderni	che	bisogna
curare	a	colpi	di	antidepressivi?
Oppure,	come	ci	insegnano	i	grandi	malinconici	della	storia,	è	la	sola
ragione	 di	 vita,	 in	 quanto	 segno	 del	 progresso	 del	 pensiero	 e	 della
coscienza?	La	grandezza	dell’uomo,	in	fondo,	sta	anche	nelle	sue	ferite.
Scansione,	Ocr	e	conversione	a	cura	di	Natjus
Ladri	di	Biblioteche
Storia	e	civiltà
61
Georges	Minois
Storia	del	mal	di	vivere
Dalla	malinconia	alla	depressione
©	2003,	Edition	de	la	Martinière
	
Titolo	originale:	Histoire	du	mal	de	vivre.	De	la	mélancolie	à	la	dépression
Traduzione	di	Manuela	Carbone
	
	
Volume	 pubblicato	 con	 il	 contributo	 del	 Ministero	 degli	 Affari	 Esteri
francese	e	il	Ministero	della	Cultura	francese	-	Centre	National	du	Livre.
	
	
	
©	2005	Edizioni	Dedalo	srl,	Bari
www.edizionidedalo.it
	
Tutti	i	diritti	sono	riservati.
Riproduzione	vietata	ai	sensi	di	legge	(art.	171	della	legge	22	aprile	1941,	n.
633)
Capitolo	primo
In	principio	era	la	fatica	di	vivere
	
	
	
	
	
Un	 Egizio,	 all’alba	 della	 civiltà	 di	 quattromila	 anni	 fa,	 disgustato	 dallo
spettacolo	del	mondo,	scrive	le	sue	riflessioni	sotto	forma	di	dialogo	della	sua
anima.	Le	sue	parole	superano	i	confini	del	tempo:
La	mia	anima	si	affanna	inutilmente	a	cercare	di	persuadere	un	infelice
a	 restare	 in	 vita	 e	 a	 impedirmi	 di	 raggiungere	 la	 morte	 prima	 del
dovuto.	 Mostrami	 piuttosto	 quanto	 è	 bello	 il	 tramonto!	 E	 forse	 così
terribile?	La	vita	ha	una	durata	limitata:	persino	gli	alberi	finiscono	per
cadere.	Potrebbero	sparire	i	mali,	ma	non	la	mia	infelicità.	Colui	che	miete
uomini	 mi	 porterà	 via	 comunque,	 senza	 riguardo,	 magari	 insieme	 a	 un
criminale	 qualunque,	 dicendo:	 «Ti	 porto	 via,	 poiché	 il	 tuo	 destino	 è	 di
morire,	anche	se	il	tuo	nome	continuerà	a	vivere...»’	(papiro	Berlino	3024).
Questo	testo,	conosciuto	con	il	titolo	Ode	del	disperato,	lunga	litania	di	uno
scriba	 anonimo	 che	 aspira	 alla	 propria	 mòrte,	 è	 la	 più	 antica	 espressione
individuale	del	mal	di	vivere	che	ci	sia	stata	trasmessa:
La	morte	è	oggi	davanti	a	me	come	la	salute	per	l’infermo	Come	uscire
fuori	da	una	malattia.
La	morte	è	oggi	davanti	a	me
Come	l’odore	della	mirra
Come	sedersi	sotto	la	vela	in	un	giorno	di	vento.
La	morte	è	oggi	dinanzi	a	me
Come	il	profumo	del	loto
Come	sedersi	sull’orlo	dell’ebbrezza.
La	morte	è	oggi	dinanzi	a	me
Come	la	fine	della	pioggia
Come	un	uomo	che	ritorna	a	casa	dopo	una	campagna	oltremare.
La	morte	è	oggi	dinanzi	a	me
Come	quando	il	cielo	si	rasserena
Come	il	desiderio	che	è	in	un	uomo	di	rivedere	la	propria	casa	dopo
innumerevoli	anni	di	prigionia2.
Questo	Amleto	del	Medio	Regno	non	è	un	caso	unico	di	quell’epoca.	Papiri	e
geroglifici	testimoniano	che	i	disperati	si	suicidavano	nella	valle	del	Nilo:	alcuni
si	gettavano	in	pasto	ai	coccodrilli,	altri	si	lasciavano	annegare,	altri	ancora	si
sferravano	un	colpo	d’ascia	o	di	spada3.
Soffrire,	invecchiare,	morire,	per	cosa	poi?	Le	prime	manifestazioni	del	mal
di	 vivere	 derivano	 dall’esperienza	 delle	 difficoltà	 dell’esistenza	 e	 ne
conserviamo	 numerose	 testimonianze	 nell’antico	 Vicino	 Oriente.	 Ad	 Akkad,
l’antica	Mesopotamia,	alcune	tavolette	rinvenute	fanno	eco	al	tedio	dello	scriba
egizio,	come	il	Dialogo	pessimista	fra	il	padrone	e	il	suo	servitori,	colmo	di
osservazioni	 disincantate	 e	 il	 Dialogo	 sulla	 miseria	 umana,	 che	 stigmatizza
l'ingiustizia	universale:	«La	folla	loda	la	parola	di	un	uomo	preminente,	esperto
in	crimini,	ma	avvilisce	l’essere	umile	che	non	ha	commesso	violenza	alcuna.	Il
malfattore	è	giustificato,	mentre	il	giusto	viene	cacciato.	Il	bandito	riceve	l’oro,
il	debole	rimane	affamato.	La	potenza	del	cattivo	viene	fortificata	ancora	di	più,
mentre	l’invalido,	il	debole,	viene	schiacciato»5.
Amara	constatazione	che	porta	a	una	visione	dell’esistenza	ben	diversa	dalle
confortanti	rassicurazioni	fornite	dalla	saggezza	tradizionale.	Questa	giustizia
immanente	è	una	menzogna,	ripetono	i	testi	di	saggezza	babilonese:	sono	i	più
furbi	a	prosperare,	non	i	più	virtuosi.	L’uomo	che	riflette	non	può	che	essere
pessimista.	Persino	l’eroe	Gilgamesh	fallisce	nella	sua	ricerca	della	«pianta	della
vita»,	che	gli	avrebbe	permesso	di	sfuggire	al	dolore,	alla	vecchiaia	e	alla	morte.
Il	male	è	ovunque	e	già	se	ne	cercano	le	cause.	I	miti	babilonesi	attribuiscono
le	 sofferenze	 dell’umanità	 a	 divinità	 misteriose.	 La	 vita	 d’oltretomba,	 negli
inferi,	non	sarà	migliore6.	Davanti	a	simili	prospettive,	come	stupirsi	del	fatto
che	i	Babilonesi	abbiano	sofferto	di	disturbi	che	ricordano	la	nostra	depressione
ansiosa?	Un	sacerdote	descrive	così	la	condizione	di	un	penitente:	«Malattia,
languore,	 indebolimento,	 sofferenza	 si	 sono	 impadroniti	 di	 lui.	 Lamenti	 e
sospiri,	oppressione,	angoscia,	paura,	tremore	si	sono	impossessati	-	straziandoli
-	dei	suoi	desideri»7.
Presso	 i	 Persiani	 la	 stessa	 amarezza	 trapela	 dalla	 lettura	 di	 Erodoto,	 che
riporta	queste	parole	di	Artaban	in	un	dialogo	con	Serse,	il	quale,	mostrandogli
le	sue	armate,	afferma:	«Fra	un	secolo	nessuno	di	quegli	uomini	sarà	vivo».