Table Of ContentAldo Agosti
Stalin
Editori Riuniti
Libri di base
collana diretta da
Tullio De Mauro
Copyright 1983
by Editori Riuniti, Roma
Editori Riuniti
eBook realizzato da Filuck
(1998)
Aldo Agosti (Torre Pelice 1943) è professore ordinario di storia dei partiti
politici nell'università di Torino. Autore di numerose pubblicazioni sul
movimento operaio italiano e europeo, ha scritto per gli Editori Riuniti una
storia documentaria in tre volumi, La Terza Internazionale (Roma, 1979).
I. Dalla Georgia a Mosca
La rivoluzione d'ottobre
All'incirca un secolo fa la Russia era già un immenso impero, esteso dal
Mar Nero al Pacifico e dal Mar Glaciale Artico all'altipiano del Pamir.
Usciva da una guerra vittoriosa contro la Turchia (1878-1883). Faceva
sentire la sua voce autorevole nella politica europea e partecipava alle
conquiste coloniali espandendosi nell'Asia centrale: nessuno osava
contestarle la sua posizione di grande potenza. Ma dal punto di vista sociale
e civile le condizioni del paese erano molto arretrate. La popolazione era
formata per due terzi da contadini miserabili e analfabeti. Si erano
emancipati dalla condizione di servi della gleba grazie alla riforma dello zar
Alessandro II (1861). Tuttavia erano ancora affamati di terra, schiacciati
dai debiti e dalle tasse, oppressi dall'arbitrio dei proprietari terrieri più
ricchi e della burocrazia imperiale, sempre minacciati da carestie e
epidemie.
Sullo sfondo di questo scenario in gran parte ancora feudale il paese
cominciava in quegli anni a industrializzarsi. La costruzione di una rete
ferroviaria riceveva proprio allora un forte impulso. Molti investimenti in
denaro si concentravano nell'industria: erano soprattutto soldi dello Stato o
capitali messi a disposizione da potenze straniere interessate alla crescita
industriale russa. Non si può dire infatti che vi fosse nel paese una solida
borghesia imprenditoriale. Comunque, gli investimenti nell'industria
cominciavano a crescere con un ritmo assai rapido. Decine di migliaia di
contadini, spinti dall'aumento della popolazione, dalla miseria dei raccolti e
dal tormento delle tasse, abbandonavano i villaggi per affluire nelle
fabbriche e nelle miniere. La manodopera si concentrava nei grandi
stabilimenti molto più che nel resto dell'Europa occidentale e negli stessi
Stati Uniti; il proletariato di fabbrica russo era quindi una classe piuttosto
compatta e omogenea, e perciò più aperta all'influenza della propaganda
rivoluzionaria. I costi umani e sociali della industrializzazione si rivelavano
anche più alti di quelli che aveva sopportato la nascente classe operaia agli
inizi della rivoluzione industriale in Inghilterra e in Francia. Con salari di
fame, senza libertà sindacali, gli operai russi non godevano di condizioni di
vita migliori dei contadini.
Quanto al regime politico, mentre già prevalevano in quasi tutta
l'Europa sistemi costituzionali, in Russia dominava ancora l'assolutismo.
L'articolo I delle Leggi fondamentali dell'impero, promulgate nel 1892,
affermava: "L'imperatore di tutte le Russie è un monarca autocratico e
incondizionato. Dio stesso esige che si obbedisca al suo potere supremo
senza riserve né timori". Lo zar esercitava quindi un potere illimitato,
almeno sulla carta. Nei fatti, questo potere era in parte bilanciato da quello
della ristretta cerchia di aristocratici e militari. I diritti civili praticamente
non esistevano, e i partiti politici, proibiti per legge, potevano agire solo
nell'illegalità. Nella seconda metà degli anni cinquanta lo zar aveva avviato
una serie di riforme: aveva attenuato la censura sulla stampa, modificato il
sistema giudiziario, concesso una certa autonomia amministrativa alle
comunità locali, e soprattutto aveva abolito la servitù della gleba. Tuttavia,
ben presto le speranze suscitate da quelle riforme si erano spente. Vane si
erano rivelate le aspettative degli intellettuali che avevano creduto di
trasformare rapidamente la società "andando verso il popolo", come allora
si diceva, e predicando le idee di progresso fra i contadini. Molti dei
narodniki (populisti) si erano convertiti all'azione terroristica. Ma quando,
nel 1881, lo zar Alessandro II cadeva vittima di un attentato senza altro
effetto che di inasprire la repressione, il terrorismo aveva già cominciato a
dare segni di impotenza e di declino. Nello stesso periodo cominciavano
invece a diffondersi in Russia le idee marxiste, che ebbero in Georgij
Valentinovič Plechanov (1857-1918) il principale portavoce. Secondo lui, e
secondo altri più giovani intellettuali rivoluzionari, fra i quali ben presto
emerse Vladimir Ilič Ul'janov (Lenin), era il capitalismo la forza trainante
dell'economia del paese, e non i contadini ma gli operai rappresentavano la
forza del movimento rivoluzionario. Tuttavia il primo embrione di un
partito operaio, il Partito operaio socialdemocratico russo (Posdr), si
costituì clandestinamente soltanto nel 1898.
La popolazione della Russia era composta da gruppi etnici diversi, dai
polacchi ai finlandesi, dai tedeschi delle regioni baltiche alle genti turche,
persiane e mongole dell'Asia centrale: il gruppo propriamente russo, o
"grande russo", era poco più del quaranta per cento dei sudditi dello zar.
Nessuna delle nazioni non russe (con la sola eccezione della Finlandia)
godeva della minima autonomia. Sotto il regno di Alessandro III (1881-
1894) la politica di russificazione, cioè di soppressione delle tradizioni
nazionali e di imposizione della lingua e della cultura russe, divenne ancora
più intensa. Il potere assoluto dello zar, l'autocrazia, assumeva così anche i
caratteri della più odiosa oppressione nazionale.
In una delle province non russe dell'impero, la Georgia, e precisamente
nel villaggio di Gori, nacque il 21 dicembre 1879 Josif Vissarionovič
Džugašvili (1), che doveva diventare famoso con il nome di Stalin.
La Georgia era una piccola nazione con un'antica tradizione di cultura,
confinante con la Turchia e bagnata dal Mar Nero. Era stata sottratta al
dominio ottomano e persiano alla fine del XVIII secolo e annessa
all'impero zarista nel 1801. Il fatto di avere in comune con la Russia la
religione cristiano-ortodossa, e le ferite ancora vive lasciate dal dominio
turco avevano facilitato la penetrazione russa in Georgia. Tuttavia, forme di
resistenza armata contro i nuovi occupanti erano continuate nelle zone
montagnose del paese fin verso il 1860.
All'epoca in cui nacque Stalin, la Georgia era una regione povera e
arretrata. Fondava la sua economia quasi esclusivamente su una agricoltura
primitiva, dominata da rapporti semifeudali. Contava circa 700.000
abitanti, in gran parte contadini senza terra e poveri mezzadri, oppressi da
una piccola nobiltà priva di mezzi. Una modesta industria artigianale era
appena sufficiente a coprire i bisogni domestici. La servitù della gleba era
stata abolita soltanto fra il 1864 e il 1869. Entrambi i genitori di Stalin
erano nati ancora servi e quindi il giovane Džugašvili crebbe in un
ambiente e in un'atmosfera efficacemente descritti dal suo maggiore
biografo:
«Un crudo e aperto assoggettamento dell'uomo all'uomo, una rigida e
non dissimulata gerarchia sociale, una violenza quasi primordiale e
un'ugualmente primitiva mancanza di dignità umana contraddistinguevano
le forme di vita nate dalla servitù» (I. Deutscher, Stalin, Milano, 1969, pp.
42-43).»
Ribellioni contadine esplodevano periodicamente contro la piccola
nobiltà locale e i funzionari russi. Nelle città era viva l'ostilità contro la
minoranza armena, che controllava il commercio e il credito.
Negli anni dell'infanzia di Stalin, tuttavia, la situazione accennava già a
modificarsi. Si cominciavano a sfruttare le risorse del sottosuolo, con
l'estrazione del manganese nella provincia di Kutais. La costruzione di una
ferrovia da Tiflis al Caspio collegava la Georgia a Baku, dove era in pieno
sviluppo la produzione e la raffinazione del petrolio. Industrie di piccole e
medie dimensioni cominciavano a sorgere nelle città. Si costituivano i
primi nuclei di classe operaia e, grazie soprattutto alla propaganda dei
ferrovieri, prendevano a circolare idee socialiste. Il risveglio della
coscienza nazionale si univa così con l'aspirazione al mutamento sociale. I
circoli nazionalisti della Georgia, che erano molto vivaci, assumevano
posizioni sempre più radicali: non si limitavano a reclamare un'autonomia
culturale, ma sfidavano il potere centrale chiedendo libertà d'associazione e
di stampa e profonde riforme economiche e sociali. In tal modo essi
diventavano la base di un movimento socialista.
Poco si sa della famiglia e dei primi anni della vita di Stalin. I genitori,
abbiamo detto, erano persone di umilissima condizione sociale. Il padre,
Vissarion, esercitava il mestiere di ciabattino, che poi lasciò per entrare
come operaio in un calzaturificio di Tiflis. Era un uomo ignorante e di
temperamento violento: morì a quanto sembra in una rissa nel 1890. La
madre, Ekaterina Geladze, era una donna pia ed energica: fu lei che, contro
il parere del marito, si preoccupò di mandare il figlio a scuola e, rimasta
vedova, riuscì a mantenerlo agli studi lavorando da lavandaia e da sarta.
Josif crebbe in un'atmosfera di miseria e di durezza che certo lasciarono
un'impronta sul suo carattere: in questo senso la sua infanzia e la sua
adolescenza furono ben diverse da quelle degli altri maggiori protagonisti
della rivoluzione russa, che provenivano da famiglie relativamente
benestanti di funzionari, di proprietari terrieri o di intellettuali.
Nel 1888 il piccolo Džugašvili cominciò a frequentare la scuola
parrocchiale di Gori: non solo e non tanto perché la madre desiderava che
diventasse prete, ma soprattutto perché quella era l'unica forma di
istruzione possibile per un ragazzo della sua condizione sociale. Come
allievo si dimostrò diligente e di intelligenza pronta. Nei rapporti con i
compagni non era invece particolarmente socievole e mostrava un
temperamento riservato e suscettibile. I coetanei lo ricordano come
appassionato della letteratura epica e romantica georgiana: fu allora che
lesse un romanzo di Aleksandr Kazbegi, il cui protagonista, una specie di
Robin Hood locale, ispirò la scelta del più famoso dei suoi nomi di
battaglia, "Koba". Nel 1894, a quindici anni, Josif entrò come allievo nel
seminario teologico di Tiflis, la capitale della Georgia, dove ottenne una
piccola borsa di studio. Tutto quello che poteva sperare, al termine di sei
anni di studi faticosi, era un posto di parroco di campagna. Non avrebbe
certo potuto permettersi le spese del ginnasio e di un'università nella Russia
europea. Fra le materie di insegnamento c'erano teologia, sacre scritture,
letteratura, logica, matematica, storia, greco e latino. Il seminario era più
simile a una caserma che a una scuola: i monaci esercitavano la più stretta
sorveglianza su ogni aspetto della vita degli studenti, che dovevano
osservare una disciplina umiliante. E tuttavia, per essere la più importante
scuola superiore della Georgia, il seminario era un vivaio dei gruppi
intellettuali locali. Negli ultimi vent'anni era stato spesso teatro di
manifestazioni clamorose di nazionalismo, e in esso si erano già formati
numerosi dirigenti del futuro movimento socialdemocratico. Stalin fu
presto contagiato da questo ambiente ribelle. Già nel 1895 pubblicò versi di
contenuto patriottico su un giornale georgiano. Ampliò quindi l'orizzonte
delle sue letture gettandosi sui libri, naturalmente proibiti, dei grandi
romanzieri russi ed europei dell'Ottocento. Si iniziò alle teorie positiviste e
materialiste della storia e della natura su opere divulgative di biologia
ispirate ai princìpi di Charles Darwin (2), e su testi di economia e
sociologia. Infine entrò in contatto con i circoli radicali e marxisti della
città. Nel 1898 il giovane Džugašvili divenne membro del Mesame Dasi
(Terzo gruppo). Questa organizzazione, da movimento nazionalista
radicale, si stava trasformando nel nucleo principale del partito
socialdemocratico in Georgia e aveva fra i suoi dirigenti molti ex allievi del
seminario.
Ben presto Josif cominciò a partecipare a riunioni di operai, per lo più
ferrovieri. In questi gruppi i giovani intellettuali cercavano di compiere
opera di formazione e di propaganda marxista, e inoltre imparavano a
misurarsi con i problemi pratici, organizzativi delle lotte operaie. La
partecipazione all'attività politica allontanò sempre più Josif dagli studi
dogmatici e vuoti del seminario teologico, che tuttavia lasciarono
un'impronta evidente nello stile dei suoi scritti e nel suo stesso modo di
pensare. Nel 1899 egli abbandonò la scuola e rinunciò a presentarsi
all'esame finale. Per questo motivo fu formalmente espulso dal seminario.
I due anni seguenti furono un periodo importante nella sua formazione:
fu allora che acquistò una conoscenza non superficiale dei fondamenti del
marxismo e cominciò a familiarizzarsi con l'acceso dibattito che si svolgeva
fra le varie tendenze del marxismo russo.
Le regioni caucasiche, e la Georgia in particolare, erano un osservatorio
periferico ma importante per la vivacità dei fermenti intellettuali che le
percorrevano e per la rapidità dei progressi organizzativi del movimento
operaio. Nel Mesame Dasi prevaleva la corrente marxista più moderata, che
cercava spazi legali per la propaganda e l'organizzazione. Džugašvili si
schierò invece con la minoranza intransigente, che voleva ricorrere a
metodi più decisi di lotta. Partecipò all'organizzazione dei primi scioperi
dei ferrovieri: ne avrebbe poi parlato come del suo "battesimo
rivoluzionario". Cominciò anche a collaborare alla stampa clandestina.
Nel marzo del 1901, in seguito a una perquisizione operata dalla polizia
nel suo alloggio, lasciò l'impiego che aveva ottenuto all'osservatorio
astronomico di Tiflis e passò nella clandestinità. Da allora, per sedici anni,
visse sotto falso nome, spostandosi da un luogo all'altro, senza altra fonte di
sostentamento che i sussidi passatigli dal partito. Josif era ormai totalmente
dedito all'idea che aveva deciso di servire: era diventato un "rivoluzionario
di professione".
Nel novembre del 1901 fu eletto membro del comitato direttivo
cittadino del Partito operaio socialdemocratico russo. Subito dopo, pare in
seguito a contrasti insorti con i dirigenti locali, si trasferì nella cittadina di
Batum, un porto sul Mar Nero sede di un'industria in sviluppo e teatro di
dure lotte operaie. Koba, questo il nome con cui era più largamente noto, si
distinse come instancabile organizzatore di scioperi e di dimostrazioni, che
in un caso almeno furono represse nel sangue dall'esercito.
Nell'aprile del 1902 fu arrestato per la prima volta: rimase in carcere per
circa un anno e mezzo, e fu quindi assegnato per tre anni al confino nella
località di Novaja Uda, nella Siberia orientale. Poche settimane dopo aver
raggiunto la destinazione, riuscì a fuggire e fece ritorno a Tiflis. Era un
copione destinato a ripetersi. Fra il 1902 e il 1913 Koba fu arrestato otto
volte, e per sette volte fu mandato in esilio. Riuscì a scappare per ben sei
volte: segno dell'inefficienza del sistema penale zarista (un misto di
brutalità e di ambigua tolleranza), ma anche di una tempra di combattente
veramente d'acciaio: Stalin, lo pseudonimo che cominciò a usare verso il
1912, deriva appunto da stal, "acciaio".
Seguire le vicende della biografia di Stalin in questo periodo sarebbe
complicato, e lo faremo solo per sommi capi. Ma fin dal momento del suo
avventuroso ritorno dal primo esilio (nei primi mesi del 1904) appaiono in
modo netto alcune caratteristiche della sua personalità. Koba è
essenzialmente un organizzatore, un "pratico", come allora si diceva, più
che un intellettuale, anche se gli studi compiuti e il fatto di collaborare
regolarmente alla stampa di partito lo collocano in una posizione in qualche
modo intermedia fra le due categorie. La sua cultura resta quella di un
autodidatta, appresa da una scuola ostile per essere poi rivolta contro questa
e contro il mondo che essa rappresentava. Le letture extra-scolastiche non
hanno lasciato tracce visibili negli scritti di Stalin. Vi si cercherebbero
invano i ricordi letterari o i riferimenti alle tradizioni storiche delle grandi
rivoluzioni del passato che abbondano nelle opere di Marx, di Engels, di
Lenin, di Trotskij o di altri grandi protagonisti della storia del movimento
operaio. Koba scrive per un lettore poco istruito, per l'operaio, e il suo stile
è perciò sempre didattico, esplicativo, di una semplicità e di una rigidità da
manuale. Se fa qualche concessione alla retorica, lo fa prendendo in prestito
immagini e stile dal linguaggio religioso o da quello militare. Il suo
marxismo, più che uno strumento critico per l'analisi e la comprensione
della realtà, è una visione totale del mondo, una fede: gli aspetti che di
quella dottrina lo impressionano di più sono quelli che affrontano le
questioni generali e ideali. Ad esempio, la teoria del materialismo dialettico
che fa del marxismo "un sistema filosofico dal quale sgorga naturalmente il
socialismo proletario di Marx" (3). Oppure la teoria della lotta di classe,
che Stalin è portato a interpretare in termini semplificati, come
contrapposizione totale e irriducibile di due campi della società. Su questo
sfondo prende corpo un elemento fondamentale del suo pensiero: la
concezione del partito.
Koba si trovava in carcere, o forse già in esilio, quando verso l'autunno
del 1903 gli giunsero gli echi della scissione avvenuta nelle file del Posdr.
L'occasione della divisione, che nacque al II Congresso del partito (Londra,
luglio 1903) fu data da un articolo dello statuto in cui si definivano i doveri
dei membri dell'organizzazione. Vi era un'ala (Martov, Aksel'rod),
inizialmente minoritaria e perciò detta menscevica, la quale intendeva
attenersi al modello della socialdemocrazia occidentale. Il partito doveva
perciò essere formato da un nucleo di elementi attivi e avere un seguito di
simpatizzanti e sostenitori. Un'altra ala, rappresentata da Lenin e detta
bolscevica, cioè maggioritaria, voleva invece un'organizzazione di soli
rivoluzionari di professione, retta dalle regole della clandestinità. Queste
diverse concezioni dell'organizzazione corrispondevano in realtà a contrasti
più profondi nel modo di pensare il rapporto fra la classe operaia e la sua
avanguardia politica. Contrasti vi erano anche sulla natura della rivoluzione
che attendeva la Russia, sui compiti che spettavano al partito
socialdemocratico. La concezione bolscevica presentava il rischio, che fu
denunciato da personalità come la rivoluzionaria di origine polacca Rosa
Luxemburg (1870-1919) e come il russo Lev Davidovič Trotskij (1879-
1940) di una "dittatura del comitato centrale" sulle masse. Intanto però la
posizione bolscevica rispondeva indubbiamente molto meglio di quella
menscevica alle condizioni di lotta imposte dal regime poliziesco della
Russia zarista. Non appena si fu fatta un'idea chiara dei termini del
contrasto, Stalin si schierò senza esitazione con i bolscevichi. Il suo
temperamento intransigente, il suo attivismo e la sua tenacia lo portavano a
guardare con diffidenza e persino con disprezzo alle posizioni dei
menscevichi. Soprattutto, egli era un rappresentante tipico di quei
rivoluzionari di professione a cui la concezione del partito che aveva Lenin
assegnava un ruolo determinante. Nelle polemiche interne che presto si
accesero anche fra i socialdemocratici georgiani, fra i quali prevalevano i
menscevichi, Koba si distinse per l'asprezza dei suoi interventi. Spesso
tendeva a irrigidire e forzare le stesse posizioni di Lenin e della sua