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ISBN9 78-88-6857-044-6
Nativitas
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GIACOMO LEOPARDI
Scrivimi
se mi vuoi bene
LETTERE E PAGINE
FRA NATALE E ANNO NUOVO
A CURA DI FILIPPO ELLI E VALERIO ROSSI
INTERLINEA
© Novara 2016, Interlinea srl edizioni
via Mattei 21, 28100 Novara, tel. 0321 1992282
www.interlinea.com [email protected]
Stampato da Italgrafica, Novara
ISBN 978-88-6857-044-6
In copertina: Giacomo Leopardi in un ritratto di A. Ferrazzi, 1820 c.
(Casa Leopardi, Recanati, particolare)
Premessa
Gesù, Gesù già nacque
già nacque il Redentor
A undici anni, Leopardi divide il suo tempo fra spen-
sierati giochi con gli amati fratelli Carlo e Pao lina e la
rigida e versatile istruzione impostagli dall’abate Sanchi-
ni. I suoi giovani e vispi occhi azzurri già osservano il
mondo con fare timoroso e appassionato; già si elevano
talvolta verso il cielo stellato, velandosi di lacrime per
l’indefinita ma netta malinconia che sente dentro al petto
e che nasce dal suo riconoscersi uomo. Giacomo chiede;
Giacomo ha già iniziato la sua faticosa ricerca esistenzia-
le; ma, nella sua straordinaria sensibilità ed erudizione, è
pur sempre un bambino e le sue parole non sono ancora
in grado di render conto della forma del suo pensiero
in divenire. La parola è ancora ben lontana dall’essere
riflessione e arte; la poesia non è ancora letteratura; si
tratta piuttosto di un gioco, di un’esercitazione erudita
da sfoggiare di fronte agli ospiti di casa Leopardi, per
accarezzare l’orgoglio del fiero Monaldo.
In questa ottica nascono i versi Per il Santo Natale:
un esercizio poetico su argomento religioso, come tanti
in quel periodo, retaggio di una rigida educazione gesui-
tica e di una madre «non superstiziosa, ma saldissima
ed esattissima nella credenza cristiana». Il tono solenne
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con cui un Leopardi ancora fanciullo acclama la venuta
di Cristo, «pacifico Signore / al mondo apportatore / di
alma felicità», non è poi così diverso dal celebre ed epico
sfogo contro l’odiata minestra, «cibo negletto e vile», o
dalla descrizione appassionata e romantica della paura
di un povero pastorello di fronte alla tempesta che tutto
distrugge con «terrore e tremito». Uguale discorso vale
per il poemetto I re magi, di solo un anno successivo, per
il breve testo latino In nativitate Iesu, o per la prosa gio-
vanile sui pastori, «che scambievolmente s’invitano per
adorare il nato Bambino». Difficile scorgere dietro tutto
questo lo zelo religioso di un bambino di undici anni, ma
certo già si manifestano i primi segni di una vocazione
poetica in fieri, come lui stesso riconoscerà qualche anno
più tardi nel Discorso di un italiano intorno alla poesia ro-
mantica: «Io stesso mi ricordo di avere nella fanciullezza
appreso coll’immaginativa la sensazione d’un suono così
dolce che tale non s’ode in questo mondo; io mi ricordo
d’essermi figurate nella fantasia, guardando alcuni pa-
stori e pecorelle dipinte sul cielo d’una mia stanza, tali
bellezze di vita pastorale che se fosse conceduta a noi
così fatta vita, questa già non sarebbe terra, ma paradiso,
e albergo non d’uomini ma d’immortali; io senza fallo
[...] mi crederei divino poeta se quelle immagini che vidi
e quei moti che sentii nella fanciullezza, sapessi e ritrargli
al vivo nelle scritture e suscitarli quali e quali in altrui».
Passano gli anni e gli esili riferimenti natalizi scompa-
iono dalle poesie e dalle riflessioni leopardiane, di pari
passo con l’allontanamento da ogni concezione cristia-
na della vita. La conversione filosofica del 1819 spazza
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via gli ultimi residui di una religione ormai sentita come
mera superstizione e seguita fino a quel punto per il solo
ossequio alle regole educative di donna Adelaide.
Eppure Leopardi, proprio nel momento in cui si di-
stacca da quel cristianesimo in cui è stato educato, ci ap-
pare pur sempre uomo di profonda religiosità. Già Divo
Barsotti, in un’illuminante analisi del pensiero del poeta
di Recanati, aveva individuato questo elemento: «Nega-
re la religione del Leopardi è negare la sua poesia […].
Il suo rifiuto non è assoluto, è volontà di purezza: egli
non può accettare come Dio un idolo, e tale gli appare il
Dio della fede religiosa, il Dio dei cristiani. Tutto il suo
cammino è ricerca del vero Dio. […] La ricerca non è
già una presenza segreta di Dio nel cuore dell’uomo?»
E in effetti Leopardi ci appare come un uomo in cer-
ca: di Dio, di se stesso, di una risposta per le sue più
profonde domande. «Che fai tu luna in ciel, dimmi, che
fai?» Proprio per questo motivo i suoi versi sono e ri-
marranno immortali: per quella ricerca religiosa di cui
sono testimonianza, per quell’anelito che appartiene an-
che al più disilluso dei cuori umani.
Conferma di ciò si ha nelle lettere qui riportate, in-
dirizzate ai familiari e agli amici più cari, selezione delle
tante inviate a vari destinatari durante il periodo delle
festività natalizie. Così vediamo Leopardi trascorrere il
suo Natale scrivendo a Pietro Giordani a proposito di
pubblicazioni, manoscritti ed editori, senza fare alcun
riferimento alla giornata che sta vivendo, comportando-
si come se fosse un giorno qualsiasi dell’anno, immerso
nelle occupazioni quotidiane che travagliano la sua esi-
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stenza. Sono testi che, se da un lato faticano a restituire
il clima di attesa che da sempre rende unica la festa del
venticinque dicembre, dall’altro lato mostrano una volta
di più un uomo che grida la sua richiesta affettuosa di
amore, come è evidente soprattutto negli scritti indiriz-
zati all’amico Antonio Ranieri e, in particolare, nell’ulti-
ma, accorata e insieme desolata, epistola al padre, qui ri-
portata: «Iddio conceda a tutti loro nelle prossime feste
quell’allegrezza che io difficilmente proverò».
Desiderio di amore e, insieme, di «allegrezza», che
in determinati momenti dell’anno rendono la mente e il
cuore più pronti, affinando lo sguardo e l’attenzione. Il
periodo natalizio è proprio uno di questi momenti. Del
resto lo stesso Leopardi conosce bene il valore e il potere
delle ricorrenze; quando, pur trattandosi di un giorno
comune a tutti gli altri, una «bella e amabile illusione» ci
rende viva e vicina almeno «un’ombra del passato, onde
è medicato in parte il tristo pensiero dell’annullamento
di ciò che fu, e sollevato il dolore di molte perdite, pa-
rendo che quelle ricorrenze facciano che ciò che è pas-
sato, e che più non torna, non sia spento né perduto del
tutto».
La voce apparentemente distaccata del poeta diventa
davvero la voce di ogni uomo, la nostra stessa voce, e nel
leggere le sue parole non possiamo fare a meno di sen-
tirci in cammino con lui, su una strada incerta che punta
però alla medesima meta.
F.E e V.R.