Table Of ContentSegretissimo n. 117
Del 24 febbraio 1966
Edward S. Aarons
Sam Durell a doppio regime
titolo originale: Assignment the girl in the gondola, 1963
Traduzione di Bruno Just Lazzari
Copertina di Carlo Jacono
Indice
©
Segreti di ieri
Letture
Trama
Personaggi principali
Edward S. Aarons
Opere
In italiano
1
Il generale stava morendo.
Si chiamava Giuliano de Pollini, nome illustre noto già nell'antichità a quei veneti che, per sfuggire
alle orde barbariche, avevano fondato, in mezzo alla laguna, la città tutto oro e rosa, dai canali di
smeraldo, che aveva preso il nome di Venezia.
Gli antenati del generale erano stati commercianti, dogi, cardinali, ammiragli. Lui era vissuto in
compagnia dei loro fantasmi per quasi tutta la vita, in quel palazzo pieno di ricordi.
Pollini aprì gli occhi e guardò il suo assassino. Non soffriva e la sua mente era del tutto lucida.
– Era inutile. Un gesto superfluo...
– Non credo. Mi rincresce...
– Eppure mi avevate fatto credere che fossimo amici!
– Voi prendete per realtà i vostri desideri, povero vecchio!
Il suo assassino aveva l’aspetto di un essere disincarnato, di un'ombra che sgusciava dietro
l’immenso letto scolpito, sul quale il generale era disteso. Col pugnale piantato nel ventre, in cui era
affondato di colpo, Pollini non osava muoversi: era quello l'unico modo per non soffrire.
– Avete ancora un po' di tempo davanti a voi, Giuliano – disse l’assassino. – Dovreste parlare.
– Di che cosa?
– Fino a che punto mi avete tradito, telefonando mentre vi voltavo le spalle, quando incominciavo
a fidarmi di voi? Avremmo potuto diventare ricchi, avremmo potuto stare tranquilli...
Pollini aveva voglia di ridere.
Chiuse gli occhi.
Nulla aveva più importanza. Strano: dopo aver partecipato a tante guerre, sarebbe morto nel letto
dei suoi antenati! Aveva caldo, si sentiva bene. La sua mente andava alla deriva: poteva vedere
l’immensa camera scura, i corridoi del palazzo avito, la bellezza della sua Venezia che adorava in
quei mesi di primavera. Mite, forse timido, era sempre stato costretto a occupare posti -importanti,
posti in cui bisogna esercitare la propria autorità, in cui la violenza è di prammatica. Ma lui si era
sempre sforzato di non disonorare il suo nome illustre. Morire per mano di un sicario o di un
mascalzone non era una novità nella sua famiglia.
– Avete perso. Sono io il vincitore – rispose Pollini. Finalmente ho potuto fare qualcosa che dà. un
senso alla mia vita: ho evitato a milioni di innocenti la morte alla quale li destinavate.
– Ne siete sicuro?
Pollini tossì. Un dolore acuto gli straziò le viscere.
– Non potevo ammettere ciò che mi avevate detto, Non era un segreto da confidarmi... Ho
telefonato all’agente della N.A.T.O. che è in collegamento col Ministero della Difesa.
– Siete riuscito a pescarlo?
– Ho cercato... Credo... Ma poi. siete tornato voi e mi avete interrotto. Vi siete arrabbiato al punto
da uccidermi.
– Infatti, generale. Avevate rovinato tutto.
– Può darsi, ma... È talmente difficile!
L’assassino rise silenziosamente.
– Vi ho chiesto di aiutarmi, in memoria dei bei vecchi tempi. A voi non interessava. Voi siete
ricco, tranquillo. Allora, vi ho spiegato... Il vostro stupido idealismo vi ha spinto a tradirmi, eh? Ma
non mi fermerete!
– Non ci sarà la sorpresa, non ci saranno morti improvvise...
– Siete stupido, povero vecchio!
Il grande palazzo era silenzioso. Non c’era traffico lungo il canale.
Il generale udiva vagamente, in distanza, il rombo dei motoscafi, dalla parte di San Marco. In quel
preciso istante, sua moglie, che non sospettava di nulla, stava ricevendo alcuni diplomatici nel salone
che aveva arredato lei stessa, secondo il suo gusto di francese; Da lontano giungeva un brusio di
voci. Pollini tornò a sorridere, lieto del segreto che circondava la sua morte,
Aveva colto l’occasione quando si era presentata: (era entrato un domestico e il suo visitatore, che
non ci teneva a essere visto, era stato costretto a sgusciare nella stanza attigua. In quel momento, lui
aveva deciso di mettere qualcuno al corrente di ciò che aveva saputo. Aveva avuto il tempo di
chiamare Harris, l’addetto americano presso i servizi della N.A.T.O.
Ma Harris aveva capito? Harris gli aveva consigliato di telefonare a Roma, al Ministero della
Difesa. L’americano non gli era sembrato molto edotto sull’organismo a cui conveniva rivolgersi in
quella circostanza. Pollini si rendeva conto che le proprie frasi erano state un po' confuse.
L’emozione gli aveva fatto sempre perdere un po' la testa, e poi era troppo vecchio, ormai, per cose
del genere. Forse Harris aveva creduto che il generale avesse bevuto troppo champagne o fosse
vittima di un incubo. Pollini si era allora rassegnato a chiamare Roma. Bisognava assolutamente
mettere qualcuno al corrente del terrificante complotto. Non importava se era reale o no. E in quel
momento l’assassino era rientrato dalla stanza vicina e l'aveva sorpreso con la cornetta in mano. ll
pugnale era apparso in un lampo e aveva inferto un colpo terribile dal basso in alto. A Pollini pareva
ancora d’udire il tremendo fruscio dei tessuti recisi dalla lama, in fondo alle sue viscere...
Ora il telefono era fuori dalla sua portata.
– Avete fatto male, generale; Mi ero fidato di voi e mi avete tradito. Ora non vi resta molto tempo
da vivere. Niente male, eh, questa pugnalata un po’ speciale? Ma è un colpo piuttosto antico... Che
cosa avete detto a Harris? Vi ho sentito fare il mio nome.
– Come avrei potuto tenere per me il vostro segreto, senza perdere la mia dignità d’uomo?
– replicò Pollini. – Ciò che ho detto ad Harris; è sufficiente ai farvi incastrare.
– Avremmo potuto essere ricchi, lontano da qui...
– Col mondo distrutto in quattro giorni?
– Non completamente distrutto, soltanto i nostri nemici.
Pollini si alzò dal letto e si trascinò faticosamente verso la scrivania, su cui era posato il telefono.
Stupito, il suo assassino lo seguì con gli occhi. Pollini respirava a stento e la ferita lo faceva
soffrire spaventosamente. Gli occhi gli si appannarono.
– Chi vorreste chiamare? – domandò l'assassino, con beffarda curiosità.
– Un americano – mormorò Pollini. – Non Harris. Un certo Sam Durell. Saprà bene impedirvelo,
lui...
Il generale tentò di allungare la mano, ma stavolta lo sforzo gli provocò un altro strappo nelle
viscere. Il sangue irruppe, insieme a un dolore spaventoso. Fu come un'esplosione di fuoco, che non
tardò a cedere davanti al gelo del nulla eterno. E il generale Giuliano de Pollini chiuse gli occhi per
sempre.
^
2
Da quando era arrivato a Venezia, tre giorni prima, Durell era rinchiuso nella sua camera della
pensione Murelli, e quella reclusione forzata gli pesava. La pensione era modesta, situata su uno
stretto canale. Eppure, poco dopo il suo arrivo, Durell si era accorto che da quella pensione si
godeva una vista magnifica. La vista era rappresentata da Ursula e alleviava notevolmente. Il peso
dell’attesa. Nel suo mestiere, il saper aspettare con pazienza non era solo una virtù: spesso era una
questione di vita o di morte. Ursula gli rendeva la vita più facile. Era pittrice e passava tre quarti del
suo tempo sul balcone vicino a contemplare il piccolo canale su cui si affacciava la pensione
Murelli.
Sospettando che la sua presenza non fosse del tutto fortuita, Durell aveva immediatamente
domandato a Zumella di guardare se per caso Ursula non figurasse nei suoi archivi. L’Interpol gli
aveva fatto sapere che era candida come la neve, almeno dal punto di vista particolarissimo di
quell'organismo poliziesco. Frequentava la scuola di Belle Arti: lo aveva confidato a Sam un giorno
in cui avevano fatto colazione insieme: non esattamente «insieme», si corresse Durell dentro di sé.
Erano arrivati contemporaneamente sui due balconi attigui, si erano salutati e avevano scambiatole
frasi insignificanti che possono dire due turisti che s’incontrano in una città straniera piena di
attrattive.
Durante i tre giorni nei quali aveva atteso una telefonata di Harris, Sam non aveva avuto nulla da
fare, tranne che pensare a Ursula.
Tutta la bellezza e il mistero di Venezia erano riuniti in quella ragazza. Comunque, la faccenda era
di spettanza di Harry Harris; si trattava di un profugo albanese di nome Shkoeder e dell’assassinio di
Pollini. Finché Shkoeder non usciva dal suo nascondiglio per spiegare che cosa era andato a fare da
Pollini, era meglio starsene tranquilli e aspettare.
Il terzo giorno, verso le otto di sera, Sam uscì sul balcone; ma disgraziatamente il tempo stava
cambiando. Il tempo era stato sempre splendido, da quando un aereo della B.E.A. lo aveva condotto da
Londra. Proprio nella capitale inglese, infatti, la N.A.T.O. si era messa in rapporto con la sezione «K»
della C.I.A. e aveva chiesto che le venisse inviato un agente in grado di trattare con Gregori Shkoeder.
Alla N.A.T.O. erano convinti che il profugo albanese potesse avere qualcosa d’interessante da
raccontare. Quella sera, dunque, sembrava volesse piovere; un vento freddo faceva rabbrividire
l’Adriatico e gli dava l’aspetto di una carta velina blu leggermente sgualcita.
– Buonasera – fece la ragazza.
Aveva in mano la tavolozza; il cavalletto era appoggiato alla balaustrata di ferro del balcone
coperto di glicine. Sotto, sulla terrazza a fior d’acqua, erano già stati approntati tavoli per il pranzo.
Non c’era molta luce, ma la ragazza insisteva ugualmente a dare pennellate sulle tele… Il risultato
non era molto apprezzabile, ma ciò nonostante lei lavorava con molta applicazione.
– Buonasera, Ursula – rispose Durell, in inglese.
La ragazza sorrise. Aveva la bocca grande e ben disegnata, i denti solidi e bianchi, gli occhi di
topazio, i capelli neri, tagliati corti.
– Dormite molto, Sam. Non sarete mica uno di quegli industriali pieni di quattrini, che vengono in
vacanza per riposare?
Il suo accento era delizioso.
– Non esattamente.
– Oh!, come siete misterioso – ribatté lei con aria seccata. – A volte si ha l’impressione che vi
nascondiate per sfuggire a qualcun'o, o a qualcosa! Non sarete mica un gangster americano ricercato
dalla polizia, spero.
– No di certo.
– Allora, può darsi che apparteniate alla polizia...
– Che cosa vi fa pensare una cosa simile, Ursula? Sono un industriale, ecco tutto.
– Non un industriale comune, però. Avete l’aria di essere una persona... come posso dire?... una
persona molto pericolosa.
– Non per voi, Ursula.
La ragazza esaminò la tela inclinando un po’ Il viso rotondo e giovanile; poi, sempre con voce
soave, chiese:
– Vi capita mai di andare a caccia, signor Durell?
– Sam – corresse lui. Mi chiamavate così, poco fa.
– Sì? Ah! mi americanizzo, divento. disinvolta, non è vero?
– Proprio così! Comunque, talvolta vado a caccia.
– Soprattutto di qualche selvaggina piuttosto particolare, scommetto.
Sam non aprì bocca e si limito a osservarla. La ragazza riprese:
– Si direbbe che preferite la caccia all'uomo. Lo si legge sul vostro viso e questo mi spaventa.
Siete crudele. Come artista, io noto sempre ciò che si nasconde sotto la pelle e la carne. Sotto la
vostra maschera s'intuisce l’acciaio. Il vostro sorriso non significa un bel niente, vero?
– Siete una ragazza molto romantica, Ursula!
– Cerco di essere realista, per quanto riguarda voi...
– Credete che valga la pena di essere realisti? È primavera e siamo a Venezia...
– Oh! Sono abituata a questo tipo di bellezza. D'altronde, sono quasi innamorata;
– Di Venezia?
La ragazza spalancò i grandi occhi sognanti.
– Ma di voi, naturalmente, caro Sam!
Durell si chiese se quella ragazza fosse molto ingenua o troppo scaltra. Non si fidava di nessuno.
«È uno degli inconvenienti del mestiere», pensò con una piccola smorfia di dispetto.
Durell era vicedirettore della sezione. «K» della CIA, Conduceva una guerra oscura e silenziosa
in tutti gli angoli del mondo. Era abituato al pericolo c non credeva a nulla. La sua scheda, negli
archivi del K.G.B., al numero due della via Dhzerzhinskv, a Mosca, era già da molto tempo
contrassegnata da una striscia rossa: significava «uomo da uccidere».
Durell era alto, muscoloso, con alcune ciocche grige nella folta chioma bruna, alle tempie.
L’azzurro dei suoi occhi era così scuro da sembrare nero. Durell era un «caimano» di Bayou-Pêche-
Rouge, un paese sul Mississippi, nella Luisiana.
La sua camera, nella pensione Murelli era grande e tranquilla, sotto il balcone che dava sul canale
si trovava una terrazza a mattonelle, con una tenda di colori vivaci e con dei tavoli rotondi e delle
sedie cromate: la terrazza e chiusa da una ringhiera su cui arrampicava l’inevitabile glicine da un
muro che una persona dotata: di agilità poteva facilmente usare per raggiungere la finestra di Durell:
e questo non garbava affatto a Sam. Aveva esaminato accuratamente la camera per assicurarsi che
non fosse provvista di microfoni o di altri trucchi, ma poiché nulla faceva presagire una catastrofe
imminente, si era rassegnato ad aspettare l’arrivo di Zumella, che doveva metterlo al corrente.
Zumella apparteneva all'Interpol, ma lavorava anche per la sezione «K». Era corpulento, con un
naso aquilino, alla romana, e una testa solo parzialmente coperta da alcuni lunghi e preziosi ciuffi
neri. Non sapeva granché della missione che era stata affidata a Durell.
– Vi spiegherà tutto Harry Harris – aveva dichiarato con voce ansimante, lasciandosi cadere di
peso su una delle sedie traballanti della camera. – La faccenda è collegata con l’assassinio di
Pollini. Una cosa scandalosa, non vi pare? Il vecchio Pollini era una brava persona.
Aveva fatto la campagna di Albania, come generale. Però era soprattutto un ottimo amministratore;
alla N.A.T.O. aveva fatto del buon lavoro. La sua morte è più che una perdita; è quasi una catastrofe.
Soprattutto a causa dei tempi in cui viviamo, capite? Sono ricorsi a voi perché l’assassinio di quel
poveraccio di Pollini fa pensare all'opera di un professionista, di una persona esperta in questo
genere di attentati. Voi e io conosciamo benissimo questa tecnica. E conosciamo anche un assassino
fuori serie, non è vero? Ho riconosciuto subito la sua zampata.
– Zumella sospirò e si pizzicò il labbro. – È un colpo di Helmuth Dinov, o di uno dei suoi
discepoli. Un assassino fuori serie. L'asso degli assi. È strano che abbia dato tanta importanza a
Pollini, eh?
Nella camera tranquilla, Durell, che ascoltava il mormorio dei. clienti seduti sulla terrazza del
canale, ebbe l’impressione di ricevere un colpo nel ventre. La sua faccia rimase impassibile; sapeva
che Zumella lo stava spiando con aria sorniona.
– Helmuth Dinov? – domandò a mezza voce. – Ne siete sicuro?
– Conosco il suo modo di operare, mio caro!
– È stato visto a Venezia?
– Non recentemente.
– E, ciò nonostante, siete così sicuro? – insistette Durell.
– È qui. Lui o uno dei sicari formati da lui. Silenzioso e invisibile. Credo però che si tratti del
maestro in persona. Come mai Pollini, nel suo vecchio palazzo patrizio, era così importante da
meritarsi l’intervento personale di Dinov? Ecco perché vi abbiamo fatto venir qua.
– Comincio a capire – mormorò Durell.
Negli archivi della sezione «K», dietro la facciata del numero 20 di Annapolis Street, a
Washington, in una cartella azzurra c’era un incartamento sottile e discreto, riguardante un assassino
ben noto. Da un pezzo Durell sapeva a memoria le informazioni che vi erano contenute:
«DINOV, Helmuth 47 G-225,
ref. B 77 (Ostenda – Berlino est)
Ucraino d'origine tedesca, colonnello K.G.B. ex. comandante del M.V.D. (Ref. Vienna 10-5-52.)
Età: quarantanove anni; nato a Kiev.
Nel corso della Seconda Guerra mondiale, dirige la guerriglia durante l’occupazione nazista in Ucraina.
Due anni di prigione dopo il ritorno dell'esercito Rosso. Liberato dopo
la morte di Stalin. Nessun capo d’accusa a suo carico. Campo 573, Uztent Bezh – Sarebbe stato ucciso durante la rivolta di
Budapest, per rappresaglia esecuzione in massa dei ribelli. Ma sarebbe stato in seguito segnalato nel Congo, all’Avana, a
Manila. Connotati sconosciuti. Titoli di studio: dottore in medicina. Sarebbe attualmente alla testa della Brigata Azzurra
numero 4.»
Durell percorse mentalmente l'incartamento sostenendo lo sguardo affabile e bonario di Zumella. Il
poliziotto italiano aprì le mani in un gesto di ignoranza.
– Deve trattarsi di un affare importante. Grave forse. Un delitto politico è sempre un rischio,
L'assassinio è un’arma a doppio taglio. Ma, ai loro occhi, la posta doveva essere tale da
giustificarlo...
– E il movente? – domandò Durell.
– Non sappiamo quale sia. Harry Harris si metterà in contatto con voi. Non è stato rubato nulla fra
le carte di Pollini. Tutto è in ordine. Al momento del delitto, in un’altra ala del palazzo, la giovane
francese che il generale aveva sposato, stava dando un ricevimento. Non ha udito nulla e ha scoperto
il delitto molto più tardi, quando Pollini aveva già cessato di vivere. Immagino che vorrete vederla.
Ha preso la cosa con una certa serenità. Non abbiamo notato nulla di importante, tranne che
l'albanese Gregori Shkoeder ha fatto visita al generale tre volte, la settimana scorsa; e anche quella
sera si era recato al palazzo.
Durell ascoltava pazientemente, sapendo che Zumella amava tenere in sospeso i suoi ascoltatori.
Si alzò e. andò a dare un`occhiata dal balcone. Non c’era più nessuno sulla terrazza sottostante, Una
gondola scivolava sullo stretto canale, trasportando due turisti che spalancavano tanto d'occhi persi
in ammirazione della penombra crepuscolare.
– Quell’albanese, Shkoeder, è arrivato a bordo di un battello da pesca, quindici giorni fa, col
figlio. Ha chiesto il diritto d'asilo riservato ai profughi politici. Era colonnello nei servizi della
sicurezza militare, nella regione di Debrec.
– Non sappiamo molto dell'Albania, in questo momento – replicò Durell.
– Esatto. Shkoeder ha avuto vari abboccamenti col generale Pollini e l’ha visto più volte. Pollini
gli aveva dato appuntamento anche la sera della tragedia. Poi ha telefonato a Harris, qui a Venezia.
Secondo Harris i discorsi del generale erano incoerenti Pollini non ha precisato che cosa gli aveva
detto Shkoeder. Ora, soltanto l’albanese potrebbe dircelo.
– E dov’è ora, questo Shkoeder?
– Scomparso. Harris lo sta cercando. Ma se Shkoeder non ha ucciso Pollini, ha bisogno di noi: è
un rinnegato, non dimenticatelo; un giorno o l’altro verrà a trovarvi. L’Albania è il paese delle
vendette sanguinose e interminabili. Forse suoi ex-amici sono alle sue calcagna.
– Pollini era il tipo da montarsi la testa facilmente?
– No; non aveva la minima immaginazione. Harris afferma che era emozionatissimo e in preda al
panico, quando gli ha telefonato. Insisteva perché si intervenisse entro cinque giorni; altrimenti...
– Altrimenti, che cosa?
Zumella si strinse nelle spalle, con aria afflitta.
– Nel mondo d’oggi, passiamo il nostro tempo a mantenere in piedi la baracca, a impedire che
crolli. Ma il disastro può succedere in qualsiasi momento. Lo sapete bene quanto me, mio caro
amico; le ore cruciali che avete vissuto sono impresse sul vostro volto.
– Non finirà dunque mai questa storia! – mormorò Durell.
La giovane Ursula lo strappò ai pensieri in cui l’aveva immerso la visita di Zumella.
– Come siete silenzioso, mio caro Sam – disse la ragazza. – Vi ho forse urtato?
– In che modo?
– Confessandovi che ero innamorata di voi.
Lui guardò gli occhi luminosi della ragazza. Ursula aveva la carnagione chiara e la figura snella
delle italiane del nord, e un profilo da cammeo. Sam notò ancora una volta il seno sodo di Ursula, le
cosce lunghe e forti e la vita sottile: la ragazza indossava un paio di calzoni e una camicia da uomo.
Sam aveva rilevato il suo indirizzo sul registro della pensione; veniva da un piccolo villaggio nei
pressi di un la– go, nella Lombardia. Era verosimile. Zumella non aveva scoperto nulla sul conto di
Ursula, nei suoi archivi.
– Be? Vi scandalizzo? – insistette lei, inarcando le sopracciglia.
– Che c’è di strano, a Venezia, in primavera, se stando vicino ad un uomo seducente mi innamoro
di lui? Eh? Che c'è di strano?
– Voi non mi conoscete.
Ursula scoppiò a ridere.
– Ah! Come siete puritano, perbacco! – esclamò osservando Sam a lungo, finché lo sguardo
azzurro fisso su di lei non la fece arrossire. Distolse lo sguardo e, ripiegando il cavalletto, aggiunse:
– È tardi. Troppo buio per veder qualcosa.
– Restate ancora un istante, Ursula.
– No. Ho l’impressione di essermi resa ridicola. Una donna non dovrebbe mai parlare così.
Scommetto che vi state burlando di me.
– Al contrario...
Ma rinunciò subito a parlare; balzò al di là della balaustrata che separava i due balconi e
raggiunse la ragazza. Lei si alzò di scatto, come un uccello spaventato, ma aveva «lo sguardo
stranamente brillante, felice, pieno di speranza. Un sorrisetto apparve sulle sue labbra. Sam la baciò
e lei gli ricambiò il bacio appassionatamente abbracciandolo e attirandolo a sé.
– Sam, caro...
In quel momento nella camera di Durell, il telefono si mise a squillare. Durell respinse subito la
ragazza. Lei cercò di trattenerlo un istante, e lui fu costretto a scioglierle le mani annodate dietro alla
propria nuca.
– Mi rincresce, Ursula.
– Lascialo suonare – mormorò lei selvaggiamente.
– Devo rispondere.
– Per tre giorni sei stato solo; nessuno ti ha telefonato, non hai visto nessuno. E quando finalmente
mi decido a...
– Può essere importante. Sono veramente desolato.
– Desolato? ~ esclamò Ursula, facendo un passo indietro, con gli occhi fiammeggianti d’ira.
– Siete un imbecille! Andate! Andate a rispondere a quel telefono idiota! E non rivolgetemi mai più
la parola!
Durell fu sul punto di imprecare. La ragazza si voltò, raccolse con stizza i tubetti di colore e i
pennelli, Sam alzò le spalle, tornò in camera sua e avanzò deciso nell’oscurità, verso il telefono che
continuava a trillare.
Era Harry Harris.
– Sei tu, caimano?
– Sì.
– Perché hai messo tanto a rispondere?
– Ero sul balcone.
– Sotto la pioggia?
– Non l’avevo notata – fece Durell con voce tagliente – Che c’è?
– Ho ritrovato l’amico Shkoeder.` Abbiamo fissato un appuntamento. Mi ha chiamato lui, come
speravamo. Nota bene che potrebbe essere un tranello. Dobbiamo sbrigarci.
Durell non aprì bocca.
– Mi ascolti, Sam?
– Sono tutto orecchi.
– Ho pensato che ti avrebbe piacere uscire dal tuo buco. Devi esserti scocciato, ad aspettare!
Dalla camera vicina veniva un gran baccano. Probabilmente la ragazza stava scaraventando il
cavalletto c la tela contro le pareti, fuori di sé dalla rabbia. Sulle labbra di Sam apparve un
sorrisetto.
– Meno di quanto credi. Dove ci troviamo?
Harris glielo disse e, trenta secondi dopo, Durell lasciava la pensione Murelli e si dirigeva verso
il luogo dell’appuntamento.