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Questo ebook è stato condiviso per celebrare il
Centenario della Rivoluzione russa
1917-2017
Guy Mettan
Russofobia. Mille anni di diffidenza
introduzione di
Franco Cardini
INDICE
Copertina
Frontespizio
Occhiello
Colophon
Nota dell’editore
Introduzione
Russofobia o russofollia?
Note1
La forza di un pregiudizio
La russofobia ovvero la Russia a portata di tutti
Note2
Come i cani di Pavlov: il riflesso russofobo
Note3
Ucraina 2014, un’agghiacciante acriticità
Note4
Piccola genealogia della russofobia
Una guerra di religione che si protrae dai tempi di Carlo Magno
Note5
La russofobia francese e il mito del dispotismo orientale
Note6
La russofobia inglese ovvero l’ossessione dell’impero
Note7
La russofobia tedesca: dal Lebensraum all’ostracismo della memoria
Note8
La russofobia americana ovvero la dittatura della libertà
Note9
Russofobia:istruzioni per l’uso
Le parole e la grammatica della neolingua antirussa
Note10
La costruzione del cattivo e il mito dell’orso feroce
Note11
Conclusioni: l’Occidente e lo specchio russo, lineamenti di un contro-mito
Note12
Note sulla traslitterazione
Bibliografia
Novità
sine ira, at studio
Collana diretta da Luciano Canfora
Traduzione dal francese di Stefano Micunco
Editing Virginia Pili
Redazione Eleonora Pascuzzo, Paolo Bianchi Realizzazione Ebook Claudia Pasquali
Progetto grafico e copertina Laura Peretti
General Invest Spa ha contribuito alla pubblicazione di questo volume Teti S.r.l.
viale Manzoni, 39 • 00185, Roma Tel. 06.58179056–06.58334070 • Fax 06.233236789
www.sandrotetieditore.it • [email protected]
Titolo originale: Russie-Occident, une guerre de mille ans. La russophobie de Charlemagne à la crise
ukrainienne • © 2015 Éditions des Syrtes Copyright © 2016 Sandro Teti Editore Tutti i diritti sono riservati
Qualsiasi forma di riproduzione, se non autorizzata, è vietata ISBN:9788888249964
NOTA DELL’EDITORE
Ho vissuto, respirato e toccato l’Unione Sovietica dall’interno, appena ventenne,
lavorando a Mosca tra il 1981 e il 1985, nella redazione italiana, una delle 59 in
altrettante lingue straniere, dell’Agenzia di stampa Novosti. Quegli anni
passarono alla storia come il “periodo dei funerali”, segnato dalla scomparsa,
con cadenza quasi annuale dei capi dello Stato, i segretari generali del Pcus.
Prima se ne andò Leonid Brežnev, poi Jurij Andropov e infine Konstantin
Černenko; fino a quando, nel 1985, si insediò Michail Gorbačëv che diede il via
alla Perestrojka e al conseguente Termidoro sovietico.
Credevo che il livore e l’astio che all’epoca investivano l’Urss fossero di natura
ideologica e anticomunista; non immaginavo che in Occidente esistesse invece
un vero e proprio pregiudizio, diffuso e radicato, contro la Russia e il suo
popolo.
Con gli anni ho dovuto ricredermi.
In realtà, nel periodo che seguì l’implosione dell’Urss, europei e statunitensi
hanno tenuto un atteggiamento bonario e paternalistico nei confronti della
Russia, poiché era un Paese alla deriva, docile, inerme e in preda al caos,
all’indigenza e ai contraccolpi di un capitalismo criminale. Con l’ascesa al
potere di Vladimir Putin, quando la Russia si è rimessa in piedi e ha recuperato
la propria indipendenza e dignità sulla scena mondiale, è riemersa virulenta la
russofobia. Un sentimento che nella comunicazione di massa non può più essere
camuffato da anticomunismo, e non può più nascondersi dietro una veste
ideologica. Sebbene la sua economia sia peculiare e si differenzi da quella
europea e statunitense, la Russia di oggi non è né comunista né socialista.
Scrostata la patina dell’antisovietismo permane la prevalente radice russofobica
dello sguardo occidentale verso Mosca.
Il libro di Guy Mettan è importante non solo per denunciare questo fenomeno,
che minaccia la stabilità e la pace, ma ha anche il merito di smontare il castello
di pregiudizi su cui si fonda la russofobia, descrivendone il percorso storico che
inizia da Carlo Magno per arrivare fino ai giorni nostri.
INTRODUZIONE “UNNI”: COSÌ NEL
PARLAR COMUNE DEGLI ITALIANI,
DURANTE IL RISORGIMENTO E LA PRIMA
GUERRA MONDIALE E POI A FORTIORI
PIÙ TARDI, A CAUSA DEL
NAZIONALSOCIALISMO, SI AMAVA
DEFINIRE – A SPROPOSITO – I TEDESCHI.
“UNNO” ERA, NEL QUADRO DI QUELLE
INTENZIONI, SINONIMO DI BARBARO, DI
FEROCE DISTRUTTORE, DI NEMICO
DISUMANO: SE SI VUOLE, UN
PEGGIORATIVO DI “VANDALO”.
Ma i vandali, quanto meno, erano una popolazione in effetti germanica. Non così
gli unni, che altro non erano se non i chunoi delle fonti bizantine e gli hsiung-nu
di quelle cinesi: il popolo nomade delle steppe studiati dal grande studioso russo
Lev Gumilëv. Appartenenti all’ampio gruppo interculturale dei Reitervölker, che
annoverava alcuni gruppi d’idioma indoeuropeo e altri d’idioma ugrofinnico, gli
unni erano in realtà prevalentemente degli uralo-altaici, per quanto nel V secolo
il loro grande e geniale capo Attila si fosse posto alla guida di una federazione di
genti che comprendeva turcomongoli e indogermanici. Tuttavia, non si può certo
dire che Attila avesse qualcosa a che fare con quelli che, secoli dopo, sarebbero
stati definiti “tedeschi”.
Tantomeno i russi, nobile ramo della grande nazione slava a sua volta scaturita
dal ramo satem del tronco indoeuropeo, abbastanza affini pertanto agli indiani, ai
persiani, ai greci e ai balti – meno, a quanto pare, ai romani, ai germanici e ai
celti (sebbene a proposito di questi ultimi, la discussione continui molto accesa),
hanno a che fare con i sarmati nonostante questi ultimi, antica popolazione
nordiranica imparentata con gli sciti e con le genti del Caucaso (soprattutto gli
alano-osseti), siano essi stessi classificabili come indoeuropei del gruppo satem.