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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA 
 
DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI 
 
 
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN 
STORIA DELLA FILOSOFIA 
CICLO XXVI 
 
RAZIONALISMO E GIUSNATURALISMO IN GUGLIELMO DI OCKHAM. 
Scienza morale e teoria del diritto naturale. Intrecci e sovrapposizioni. 
 
 
 
 
RELATORE e COORDINATORE             DOTTORANDA   
Chiar.mo Prof. Guido Alliney                                                    Dott.ssa Cristina Salanitri 
 
 
 
ANNO 2013/14
2 
 
 
 
 
 
 
Ringraziamenti 
Desidero ringraziare di cuore gli studiosi che hanno accompagnato il mio percorso di 
ricerca, Guido Alliney – Relatore della Tesi – che non mi ha fatto mancare il suo 
supporto e l’opportunità di un costruttivo confronto,  Alessandro Ghisalberti, Roberto 
Lambertini, Concetto Martello e Franco Todescan che mi hanno offerto utili e preziosi 
suggerimenti.
3 
INDICE 
INTRODUZIONE                         p. 4 
                   
CAPITOLO I - RAGIONE, SCIENZA MORALE, DIRITTO NATURALE 
1.1 La nozione teologico-giuridica di ius naturale nel medioevo latino     p. 27 
        
1.2 L’opera teologica e filosofica prima dell’esilio: volontà e retta      
      ragione nella scienza morale                                        p. 42 
1.3 I primi dibattiti, l’intervento di Giovanni XXII e il coinvolgimento     
      di Ockham nella disputa                                          p. 66 
CAPITOLO II – IUS POLI e IUS FORI 
2.1 I temi e le fonti dell’Opus nonaginta dierum                                         p. 76 
2.2 Esegesi biblica, dominium commune, dominium proprium                  p. 100 
2.3 Il richiamo al ruolo della ragione: l’origine del diritto di proprietà     
      nella teoria del triplex tempus                                                                  p. 117          
2.4 Sul triplice significato di ‘giustizia’                     p. 130  
2.5 Tra teologia e politica: il tema della regalità di Cristo                           p. 134  
CAPITOLO III – MORALE E DIRITTO NEL PENSIERO POLITICO 
3.1 La scelta del dialogo                        p. 147 
3.2 Ockham teorico del diritto soggettivo?                    p. 172  
3.3 La teoria del diritto naturale                      p. 185 
3.4 L’idea di libertà. Dalla scienza morale al pensiero politico                     p. 221  
3.5 “Quale potere e da quale diritto?” La libertà del Cristiano nel        
      Dialogus                                               p. 245 
CONCLUSIONI                                      p. 265 
BIBLIOGRAFIA                                      p. 274
4 
   Una metafisica dei costumi è 
quindi assolutamente necessaria 
non solo per ragioni speculative, 
al  fine  di  scoprire  la  fonte dei 
princìpi  pratici  a  priori  della 
nostra  ragione,  ma  perché  i 
costumi  stessi  sono  esposti  a 
ogni sorta di corruzione fin che 
manca questo filo conduttore e 
questa  regola  del  nostro  retto 
giudizio. 
Immanuel  Kant,  Fondazione  della 
metafisica dei costumi, trad. it. di 
Paolo Chiodi, UTET, Torino 2006, p. 
46.  
 
INTRODUZIONE 
 
Il  pensiero  giuridico  del  XIX  e  del  XX  secolo  non  sempre  è  stato 
favorevole alla teoria del diritto naturale. Con il cosiddetto ‘positivismo 
giuridico’  si  è  affermata  l’esigenza  di  una  dottrina  giuridica  autonoma 
fondata  su  etiche  individualistiche  e  tendenzialmente  scettiche  che  – 
ignorando  il  valore oggettivo  e  universale  del  diritto  naturale  –  hanno 
tentato un superamento del tradizionale ‘giusnaturalismo’ senza ottenere, 
tuttavia, grande supporto da parte del sapere filosofico, tradizionalmente 
fedele ad una concezione oggettiva della Giustizia. Il carattere universale e 
immutabile attribuito allo ius naturale non ha evitato tuttavia che esso, 
attraverso i secoli, abbia potuto costituire un banco di prova sul quale i 
filosofi  si  sono  spesso  cimentati  fornendo  molteplici  e  non  sempre 
univoche interpretazioni. Nel passaggio dal medioevo all’età moderna si 
assiste infatti ad una trasformazione della classica idea del diritto naturale 
in una teoria dei diritti naturali riconosciuti al singolo come titolare di una 
pluralità di situazioni giuridiche soggettive che gli avrebbero permesso di 
rivendicare  una  maggiore  libertà  nei  confronti  degli  emergenti  Stati 
Nazionali. 
Queste  dottrine  tendenzialmente  libertarie  non  troverebbero  però 
molti  riscontri  nelle  teorie  degli  scolastici  medievali.  Nonostante 
autorevoli studi abbiano individuato in alcuni testi medievali una prima
5 
formulazione di una teoria del diritto soggettivo1, resta da chiedersi se la 
nozione di ius naturale, già presente nella giurisprudenza romana e la sua 
riformulazione  per  opera  dei  primi  interpreti  cristiani,  possa  essere 
identificata con l’idea più moderna e complessa dei diritti ‘soggettivi’ che 
ha fornito di nuovi significati il tradizionale linguaggio giuridico. Sembra 
inoltre che il termine declinato al plurale, iura naturalia, fosse presente 
nelle opere giuridiche del medioevo latino, stando a indicare una prima 
articolazione del concetto in una pluralità di iura et libertates ovvero di 
diritti  individuali;  la  Glossa  di  Accursio,  nel  XIII  secolo,  aveva  infatti 
assimilato  tali  diritti  alla  definizione  già  contenuta  nelle  Institutiones 
giustinianee  che  rimandava  alle  leggi  naturali  immutabili  volute  dalla 
Provvidenza  divina2.  Si  aggiunga  che  l’individualismo  moderno  avrebbe 
introdotto anche una nuova nozione di proprietà intesa come un diritto 
naturale,  soggettivo  e  assoluto.  Questa  definizione  non  apparteneva 
tuttavia  alla  scienza  giuridica  romana,  né  la  prima  riflessione  cristiana 
aveva  ammesso  che  la  proprietà  fosse  già  presente  nello  stato  di 
innocenza prelapsario3; essa aveva invece recepito dalla stessa tradizione 
romana l’idea di un diritto naturale distinto dallo ius gentium e dallo ius 
civile.  
La riflessione sull’idea del diritto naturale diventava molto importante 
tra il XIII e il XIV secolo, in occasione della controversia sorta intorno alla 
corretta interpretazione della Regula francescana. In seno all’Ordine dei 
Minori si erano sviluppate diverse tesi circa le volontà di Francesco d’Assisi 
in  merito  alla  povertà  dei  frati.  Si  era  assistito  ad  un  moltiplicarsi  di 
opinioni  su  una  questione  centrale:  una  povertà  assoluta  era 
assolutamente  indispensabile  per  realizzare  l’ideale  di  perfezione 
                                                           
1 La tesi è riconducibile ai numerosi studi di M. Villey tra cui: La formazione del pensiero giuridico 
moderno, introd. di F. D’Agostino, Jaca Book, Milano 1986. Più recentemente Brian Tierney ha rivisto 
queste tesi alla luce di una teoria dei ‘diritti soggettivi’ che sarebbe stata già presente nel pensiero dei 
decretisti medievali. Cfr. B. Tierney, The Idea of Natural Rights. Studies on Natural Rights, Natural Law 
and Church Law (1150-1625), Scholars Press for Emory University, Atlanta 1997 
2  «Sed  naturalia  quidem  iura,  quae  apud  omnes  gentes  peraeque  servantur,  divina  quadam 
providentia constituta, semper firma atque immutabilia permanent». Corpus Iuris Civilis, Institutiones, 
1.2., Editio Stereotypa, vol. I, Institutiones recognovit P. Krueger, Digesta recognovit T. Mommsen, 
Berolini Apud Weidmannos, 1872, p. 4. La problematica è messa in rilievo nel libro di D. Quaglioni, La 
giustizia nel Medioevo e nella prima età moderna, Il Mulino, Bologna 2004, pp. 43-44 
3 Cfr. M. Villey, Notes sur le Concept de Propriété, in: Equality and Freedom: Past, Present and Future, 
Franz Steiner Verlag GMBH, Wiesbaden 1977, pp. 70-71
6 
evangelica4?  La  questione  pauperistica  intrecciava  insieme  motivi  etici, 
teologici e giuridici. Le prime teorizzazioni francescane5 avevano portato 
ad una definizione di nozioni giuridiche nuove, introducendo distinzioni 
semantiche  tra  dominium,  ius  utendi  e  usus  facti;  ma  ciò  che  in  tale 
contesto veniva sottolineato era la riconducibilità del dominium alla sfera 
del diritto umano positivo, secondo una tradizione che apparteneva già 
alla  cultura  giuridica  romana  e  che  era  stata  pienamente  recepita  dai 
decretisti e canonisti medievali. Seguendo l’esegesi biblica dei Padri della 
Chiesa, la giustizia naturale risultava strettamente connessa con il diritto 
divino e manteneva un valore oggettivo (id quod iustum est); secondo il 
cristianesimo  delle  origini  agli  uomini  veniva  riconosciuta  una  sfera  di 
libertà  e  uguaglianza  in  cui  la  comunione  originaria  dei  beni  stava  a 
garanzia di quest’ordine naturale voluto da Dio, benché dopo la colpa 
adamitica  il  diritto  umano  fosse  divenuto  necessario  per  legittimare  il 
dominium su beni o persone. Il Decreto di Graziano nel XII secolo aveva 
mantenuto  questa  distinzione:  «Iure  divino  omnia  sunt  communia 
omnibus, iure vero constitutionis hoc meum, illud alterius est»6. 
Scopo principale di questa ricerca è analizzare le opere di Guglielmo di 
Ockham, uno dei maggiori filosofi e teologi del Trecento7, per capire come 
egli affrontò la questione8. In particolare, la ricerca si propone di studiare 
                                                           
4 Cfr. R. Lambertini, A. Tabarroni, Dopo Francesco: l’eredità difficile, Postfazione di J. Miethke, 
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1989 
5 Tra i primi interpreti, ebbe un ruolo di primo piano Bonaventura da Bagnoregio con la Apologia 
Pauperum contra calumniatorem, traduzione italiana di S. Martignoni, La difesa dei poveri contro il 
calunniatore, Introduzione di A. Stendardi, Città Nuova Editrice, Roma 2005 
6 Decretum Gratiani, Dist. VIII, c. I. p. 15. Per le citazioni dal Decreto di Graziano si fa riferimento al 
Corpus Iuris Canonici, ed. Aemilius Friedberg, pars prior, Ex Officina Bernhardi Tauchnitz, Lipsiae 1879  
7 Per introdurre la figura di Guglielmo di Ockham ci gioviamo della puntuale presentazione che ne ha 
dato Franco Alessio; ci sembra importante collocare il pensiero del filosofo inglese nel clima che 
caratterizzò tutto il dibattito filosofico dopo la condanna di alcune tesi aristoteliche voluta da Tempier 
nel  1277:  «La  solidarietà  fra  l’Occam  filosofo,  politico  e  teologo  legherebbe  come  in  un  unico 
movimento Occam e il “corso” della società europea: saremmo di fronte alla espressione, alla coscienza 
critica e riflessa più alta e più acuta che ci offra il Trecento, […]. […] la dottrina di Occam si profilava 
essenzialmente  come “la dottrina di un credente”, elaborata certo secondo il criterio della ‘economia’, 
ma costantemente e direttamente dominata in ogni sua regione – dalla logica alla filosofia naturale alla 
politica – da una preoccupazione centrale squisitamente teologica: la difesa della libertà di Dio». F. 
Alessio, Guglielmo d’Occam, in: La filosofia medievale: i secoli XIII e XIV, vol. VI della Storia della Filosofia 
diretta da M. Dal Pra, Casa Editrice F. Vallardi SEI, Milano 1976, pp. 321-322 
8 Cogliamo un suggerimento di Paul Vignaux: «La spiegazione del concetto come elemento di un 
linguaggio naturale porta a far dipendere il valore di questa spiegazione dalla solidità di un ordine della 
natura  che,  secondo  il  giudizio  più  diffuso,  viene  messo  in  causa  dall’occamismo,  nonostante 
paradossalmente Ockham tenga in grande considerazione il diritto naturale nelle “opere politiche” della 
sua  carriera  di  polemista  antipapale,  e  nonostante la  sua  dottrina  della  giustificazione  supponga
7 
il  modo  in  cui  il  filosofo  francescano  trattò  di  ius  naturale,  non  solo 
componendo  l’Opus  nonaginta  dierum  nel  contesto  della  disputa  sulla 
paupertas evangelica – nella quale fu coinvolto dal 1328 – ma soprattutto 
nelle opere politiche successive, scritte a partire dal 1332-33, nelle quali 
egli  avrebbe  abbandonato  i  temi  pauperistici  mostrando  un  maggiore 
interesse per le tematiche ecclesiologiche e politiche che analizzavano i 
poteri delle autorità sovrane chiamate al governo temporale e spirituale 
della Cristianità, seguendo una tendenza molto diffusa a cavallo tra il XIII e 
il XIV secolo. In questo contesto, Ockham avrebbe posto una particolare 
attenzione  anche  ai  limiti  normativi  rivendicati  per  arginare  possibili 
sconfinamenti  di  tali  poteri,  assumendo  una  prospettiva  che  già  una 
consolidata tradizione giuridica aveva introdotto, riconoscendo nel diritto 
naturale la giusta misura di ogni legge umana. 
Un approccio diffuso, negli studi sul pensiero medievale e moderno, è la 
distinzione  (che  spesso  tende  a  diventare  opposizione)  tra  etiche 
razionalistiche (o intellettualistiche) ed etiche volontaristiche. In genere, a 
queste diverse concezioni dottrinali si accompagnano riflessioni sui sistemi 
politici e giuridici. Emergerebbe così un’opposizione tra la concezione che 
riconosce  alle  leggi  la  loro  razionalità,  difende  il  primato  del  diritto 
naturale e la libertà dell’individuo all’interno di un sistema garantito da 
leggi giuste, e quella che invece insiste sulla convenzionalità del diritto 
positivo,  espressione  di  etiche  volontaristiche  che  vengono  associate 
spesso a un’idea di libertà intesa come immunità da obbligazioni morali 
oggettivamente  vincolanti9.  Pur  ammettendo  alcune  distinzioni,  questa 
ricerca nasce dall’esigenza di ridefinire i termini della questione al fine di 
ristabilire  un  maggior  accordo  tra  le  due  concezioni  dottrinali,  nel 
tentativo di sottrarre il cosiddetto ‘volontarismo’ medievale dalle accuse 
che tendono ad individuare in esso la radice ideologica di etiche scettiche, 
soggettivistiche o arbitrarie che secondo alcuni studiosi sarebbero il frutto 
di una ‘filiazione’ avvenuta nel corso dell’età moderna e contemporanea. 
Si tratterebbe di uno schema storiografico che convince poco, poiché oggi 
sembra  chiaro  che  le  dottrine  filosofiche  e  politiche  medievali  vadano 
contestualizzate nella realtà storica alla quale appartenevano, evitando di 
arricchirle  di  significati  estranei  all’autore  che  le  aveva  elaborate.  Un 
esempio di questo tipo ci è fornito dalle opposte soluzioni che i critici 
                                                                                                                                                                                                 
l’esistenza di valori etici che dipendono da una disciplina razionale. Qual è quindi, nel suo pensiero (ed in 
quello dei suoi discepoli, fino a Gabriel Biel), la posizione di un ordine stabilito de potentia Dei ordinata 
da un Dio che ne rimane il Signore – potentia absoluta?» P. Vignaux, La problematica del nominalismo 
medievale può chiarire alcuni problemi filosofici attuali?, in Medioevo in discussione. Temi, problemi, 
interpretazioni del pensiero medievale, a cura di G. Briguglia, Edizioni Unicopli, Milano 2001, pp. 251-252 
9 Cfr. M. Barberis, Libertà, Il Mulino, Bologna 1999, p. 17
8 
dell’opera politica di Marsilio da Padova hanno proposto e dall’efficace 
tentativo  di  discussione  critica  grazie  alla  quale  la  vexata  quaestio  ha 
trovato oggi una sua chiarificazione10. 
Anche  per  Ockham,  dunque,  riteniamo  utile  rivedere  alcuni  luoghi 
comuni che contribuiscono poco a chiarire il suo pensiero sulla scienza 
morale. Ricordando il filosofo Guido Calogero, si deve ammettere che la 
volontà sceglie liberamente ma l’autonomia decisionale dipende sempre 
da una «visione delle cose che le suggerisce la conoscenza»11. Da questa 
convinzione  riteniamo  giusto  partire  nello  studio  della  filosofia  morale 
ockhamiana. 
In primo luogo, si cercherà di chiarire se il volontarismo attribuito al 
filosofo  inglese  si  coniughi  con  un’etica  razionalistica,  cercando  un 
riscontro nei numerosi studi esistenti12. Si analizzeranno alcuni brani tratti 
dall’opera filosofica e teologica del Venerabilis Inceptor13 contenenti la sua 
dottrina morale; si concentrerà l’attenzione sul ruolo della recta ratio, al 
fine  di  comprendere  se  anche  Ockham  si  situi  sulla  stessa  linea  già 
tracciata da alcuni teologi del tempo riguardo alla possibilità di conoscere 
con certezza i princìpi pratici universali. In più, si cercherà di dare una 
risposta  alla  domanda  riguardante  il  complesso  rapporto  esistente  tra 
filosofia e teologia  secondo la prospettiva assunta dal filosofo, avendo 
                                                           
10 Grazie a un noto articolo di Gregorio Piaia nel quale lo studioso raccomandava di non «spiegare 
certe dottrine alla luce di altre dottrine elaborate in seguito, riconducendo le prime alle seconde sulla 
base di un ideale filo “logico” che spesso non trova affatto riscontro nella realtà storica, costituita da una 
fitta trama di rapporti di interazione fra idee filosofico-politiche ed eventi politici e socio-economici». G. 
Piaia, Democrazia o totalitarismo in Marsilio da Padova, in «Medioevo», II (1976), pp. 363-376 
11 G. Calogero, Etica, Giuridica, Politica, in Lezioni di Filosofia, vol. II, Einaudi, Torino 1960, p. 25 
12 Cfr. L. Urban, William of Ockham’s Theological Ethics, in: «Franciscan Studies», XXXIII (1973), pp. 
310-350; L. Freppert, The Basis of Morality According to William Ockham, Franciscan Herald Press, 
Chicago 1988; J. Kilcullen, Natural Law and Will in Ockham, in «History of Philosophy Yearbook», I, 
(1993), pp. 1-25; A. Ghisalberti, Guglielmo di Ockham, Vita e Pensiero, Milano 1972; Id., La fondazione 
dell’etica in Guglielmo di Ockham, in Etica e Politica. Le teorie dei frati mendicanti nel Due e Trecento. 
Atti del XXVI Convegno Internazionale, Assisi 15-17 Ottobre 1998, CISAM, Spoleto 1999, pp. 61-89; A. 
Ghisalberti, F. Todescan, L. Zanolli (a cura di), Guglielmo di Ockham, introduzione bibliografica di A. 
Ghisalberti, CEDAM, Padova 2007  
13  Ockham  fu  conosciuto  dai  moderni  con  l’appellativo  ‘venerabilis  inceptor  viae  modernae’, 
intendendo il termine ‘inceptor’ come ‘maestro’, secondo la definizione che ne diede nel XV secolo il 
filosofo tedesco Bartolomeo di Usingen nella disputa programmatica del 1497 tenuta presso l’Università 
di Erfurt, benché fosse noto a tutti che le vicende legate al soggiorno forzato ad Avignone impedirono ad 
Ockham di conseguire tale titolo. Cfr. H.A. Oberman, Via antiqua e via moderna: preambolo tardo 
medievale alle origini teoriche della riforma, in: Sopra la volta del mondo. Onnipotenza e potenza 
assoluta di Dio tra medioevo e età moderna, Pierluigi Lubrina Editore, Bergamo 1986, pp. 57-59. A 
proposito dell’ockhamismo del filosofo di Usingen si legga: S. Knuuttila, Trutfetter, Usingen and Erfurtian 
Ockhamism, in Was ist philosophie im mittelalter?, J.A. Aertsen, A. Speer (ed.), Walter de Gruyter, 
Berlin-New York 1998, (Miscellanea Madiaevalia, 26, pp. 818-823)
9 
come punto di partenza l’analisi della sua filosofia morale razionale; se è 
vero che gli scritti di Ockham sulla filosofia naturale erano orientati verso 
una logica non-realista che privilegiava l’intuizione sensibile del particolare 
e rivendicavano una libertà di giudizio in merito a questioni filosofiche che 
non mettevano in discussione verità di fede, è anche vero che la sua teoria 
della conoscenza teneva in grande considerazione l’apporto della notitia 
intuitiva in merito all’evidenza dei princìpi, alla loro intelligibilità, anche 
quando  il  discorso  si  concentrava  sui  princìpi  pratici  universali  e 
immutabili. Secondo una convinzione diffusa tra i maestri ‘dialettici’, la 
teologia condivideva con la filosofia morale un carattere speculativo; per 
questo i maestri medievali riconoscevano a tali discipline una superiorità 
rispetto alle altre scienze. Sarà interessante indagare sulla riflessione del 
filosofo  inglese  per  capire  quali  risposte  egli  diede  al  problema, 
consapevoli che il Dialogus inter magistrum et discipulum ci permetterà di 
gettare uno sguardo in più sulla scienza morale già trattata nelle opere 
scritte prima dell’esilio, oltre che sulla concezione politica ockhamiana. 
In questa prospettiva appare necessario il riferimento ad alcuni studi 
che  permettono  di  chiarire  meglio  la  vexata  quaestio  sul  modo  di 
intendere  volontarismo  e  razionalismo14.  Ricordando  i  rapporti  tra  la 
scolastica  medievale  e  il  cosiddetto  giusnaturalismo,  compresa  la  sua 
traduzione  in  epoca  moderna,  occorrerà  innanzitutto  concentrarsi 
sull’origine dell’idea di ius naturale e sul suo sviluppo ad opera dei teologi 
e dei filosofi medievali. Si potrà quindi evidenziare la posizione di Ockham 
in merito a tale questione, cercando i nessi con la sua filosofia morale 
razionale,  poiché  qualsiasi  teoria  giusnaturalistica  non  può  prescindere 
dalla considerazione del ruolo determinante della ragione attraverso la 
quale si rendono evidenti i princìpi primi del diritto naturale. Per cogliere 
l’originalità  della  dottrina  morale  del  filosofo  inglese,  bisogna 
abbandonare  il  luogo  comune  che  lo  presenta  come  un  tipico 
‘volontarista’,  così  come  è  stato  fatto  con  altri  filosofi  come  Suárez  e 
Grozio. Questa ricerca analizza in primo luogo la nozione di ‘ragione’, il 
valore  centrale  che  Ockham  le  riconosceva  in  ogni  aspetto  della  sua 
riflessione  filosofica,  preoccupandosi  di  distinguere  tra  la  pura  ragione 
naturale  (teoretica)  e  la  retta  ragione  (pratica);  ma  qui  è  l’etica 
ockhamiana a suscitare il nostro particolare interesse. Come si vedrà, egli 
afferma costantemente che la volontà da sola non sceglie rettamente ma 
necessita  la  guida  di  una  regola  direttiva  esterna  identificabile  con  i 
                                                           
14 Cfr. D.W. Clark, Voluntarism and Rationalism in the Ethics of Ockham, in: «Franciscan Studies», 
XXXI (1971), pp. 72-87; L. Urban, William of Ockham’s Theological Ethics, op. cit., pp. 310-350; A. 
Ghisalberti, La fondazione dell’etica in Guglielmo di Ockham, op. cit., pp. 61-89
10 
dettami della ragione. Inoltre, l’identificazione da lui operata tra intelletto 
e  volontà  –  intese  come  due  funzioni  distinte  della  stessa  sostanza 
razionale  –  ci  sembra  utile  per  suffragare  la  tesi  di  una  possibile 
convergenza tra volontarismo e razionalismo15. 
Per  capire  meglio  il  contesto  in  cui  si  inserisce  l’opera  del  filosofo 
inglese occorre soffermarsi brevemente sui caratteri distintivi dell’epoca 
in  cui  egli  visse.  Il  Trecento  si  mostrava  un  secolo  particolarmente 
fecondo,  ricco  di  idee  e  di  novità  in  campo  culturale.  La  tradizionale 
cultura scolastica subiva un’evoluzione orientata a sviluppare tematiche 
che,  attraverso  la  logica,  aprivano  nuove  possibilità  di  indagine  nella 
scienza  della  natura,  senza  tuttavia  rinunciare  a  discussioni  su  aspetti 
teologici e morali che mantenevano un ruolo primario all’interno delle 
scuole universitarie del tempo. A partire dal XIII secolo, esponenti degli 
Ordini  Mendicanti  erano  entrati  nelle  maggiori  università  europee 
inserendosi  nei  vivaci  dibattiti  sui  problemi  epistemologici  e  logici  che 
avrebbero caratterizzato la cultura scolastica tra XIII e XIV secolo. Una 
delle problematiche più dibattute riguardava la distinzione tra conoscenza 
intuitiva e astrattiva che metteva in luce la possibilità di una conoscenza 
diretta e immediata del singolare, in contrapposizione alla dottrina che 
valorizzava  esclusivamente  la  conoscenza  dell’universale  mediata  dalle 
species16.  
Le dottrine elaborate dai maestri domenicani e francescani, pur nella 
loro diversità, tendevano in genere a rendere possibile la ricezione delle 
idee aristoteliche nel contesto di una tradizione culturale profondamente 
intrisa di agostinismo. L’opera del francescano Bonaventura da Bagnoregio 
restava invece una delle maggiori espressioni dell’agostinismo medievale 
orientato spesso in funzione antiperipatetica, poiché insisteva sui limiti 
della speculatio filosofica se ad essa non si accompagna la luce della fede 
che illumina il cammino verso la conoscenza della verità17. Secondo la 
dottrina che Bonaventura aveva elaborato, dunque, filosofia e teologia 
non possono mantenersi autonome ma collaborano insieme per giungere 
alla  conoscenza  di  Dio.  La  ricerca  di  un  rapporto  armonioso  tra  verità 
razionale e verità di fede aveva caratterizzato la trasmissione della cultura 
                                                           
15 Sulla scienza morale ockhamiana si rimanda al capitolo I, § 1.2 di questo lavoro  
16 Cfr. C. Berubé, La connaissance de l’individuel au Moyen Age, PUF, Montréal-Paris 1964; L. Cova, 
Francesco di Meyronnes e Walter Catton nella controversia scolastica sulla «notitia intuitiva de re non 
existente», in «Medioevo», II (1976), pp. 227-251 
17 Cfr. T. Gregory, Bonaventura e l’agostinismo, in: La filosofia medievale: i secoli XIII e XIV, op. cit., 
pp. 69-77