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Umberto Apice
PROCESSO A PASOLINI
La rapina del Circeo
prefazione di Cesare Milanese
PALtMAR
PROCESSO A PASOLINI è un'inchie-
sta sul presunto reato di rapina a mano
armata, compiuto in contrada Mezza-
notte a San Felice al Circeo il 18 no-
vembre 1961, per cui Pier Paolo Pasolini
venne a trovarsi imputato. Umberto Api-
ce, con penna sapientemente e consa-
pevolmente bivalente, da giurista e da
scrittore, intende constatare il non ac-
cadimento del fatto: si trattò, in realtà,
di un artefatto giudiziario che contribuì
non poco ad alimentare su Pasolini la
nomea di personaggio moralmente
pericoloso, tale da riuscire a suscitare
contro di lui quel clima persecutorio che
lo ha fatto diventare «uomo da sbranare».
Tuttavia il senso interno e portante del-
la requisitoria storica di Apice va al
di là del fatto episodico che riguarda
la vicenda personale di Pasolini. La
rilettura di quegli anni vale anche come
rievocazione del ritratto di un'Italia
"dalle molte vite": la vita violenta di
Pasolini stesso, la dolce vita di Fellini,
la vita difficile di un film di Risi; e il pro-
cesso del Circeo, come prototipo dei
processi impostati contro Pasolini, di-
venta l'occasione per una requisitoria
che concerne questioni di principio in
termini di razionalità e di equità nella
gestione della giustizia.
Cesare Milanese
altre Storie
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Collana diretta da Marco Brando
Umberto Apice
PROCESSO A PASOLINI
La rapina del Circeo
prefazione di Cesare Milanese
PAL#MAK
© 2007 Palomar
di Alternative s.r.l.
Via Nicolai, 47 - 70122 Bari
www.edizioni-palomar.it
ISBN 978-88-7600-203-8
Fotocomposizione-. Linopuglia s.n.c. - Bari
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PREFAZIONE
Il reato di rapina a mano armata, compiuto in con-
trada Mezzanotte a San Felice al Circeo il 18 novembre
1961, per cui Pier Paolo Pasolini venne a trovarsi im-
putato, probabilmente non avvenne affatto. O alme-
no non avvenne nei termini della configurazione di rea-
to. Come reato fu del tutto inventato. Fu un artefatto
giudiziario che contribuì non poco ad alimentare su
Pasolini lu nomea di personaggio moralmente perico-
loso, tale da riuscire a suscitare contro di lui quel clima
persecutorio che lo ha ha fatto diventare «uomo da
sbranare», come ebbe a esprimersi, in sede processua-
le, Francesco Carnelutti, che fu il suo difensore.
Nel 1961 Pasolini aveva già pubblicato Ragazzi di
vita (il suo romanzo migliore), Le ceneri di Gramsci (la
sua raccolta poetica migliore) e aveva già girato Accat-
tone (il suo film migliore). Aveva quindi già dato il me-
glio di sé ed era diventato personaggio pubblico famo-
so. La sua maniera di aggredire provocatoriamente i
miti e i riti della società e della religione del suo tempo
sembrava fatta apposta per mobilitare intorno a lui il
morboso interesse degli speculatori di scandali a fini
ideologici e dei mitomani sbandati di va,rie specie. Difatti
il resto della sua vita e della sua opera si può considerare
una prosecuzione per la messa in atto di esperienze con-
cepite nelle sue prime opere più riuscite in un’enfasi
programmatica dell’«esercizio sistematico della provo-
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cazione», come ebbe a dire Enzo Siciliano, il suo biografo
ufficiale, e nel dar prova di un vivere amoralistico per po-
terne scrivere moralisticamente. Consiste in questo lo
“scandalo” cercato e professato da Pasolini, il parados-
so che costituirà la matrice dei suoi guai, che faranno
di lui dapprima «un uomo da sbranare» e in seguito «un
uomo che deve morire».
Probabilmente, come si è detto (o meglio come dice
Umberto Apice in questo suo libro), l’atto dimostrativo
(il voler provare cosa può provare un rapinatore a mano
armata e che cosa può provare la sua vittima per farne uso
in uno dei suoi romanzi o in uno dei suoi film) Pasolini
non lo commise affatto; e Apice, con penna sapiente-
mente e consapevolmente bivalente, da giurista e da
scrittore, smontando sistematicamente le macchinazio-
ni mentali e procedurali del processo (della serie dei pro-
cessi sviluppatisi su questo caso) e demolendo i disposi-
tivi di sentenza che furono emessi di conseguenza, in-
tende constatare proprio il non accadimento del fatto.
Tuttavia Pasolini poteva non aver commesso il fatto, ma
in realtà, per le conseguenze che tale processo produsse
sulla sua vita, fu come se lo avesse commesso lo stesso.
Il processo, detto della rapina del Circeo, a detta di
Apice, fu un “processo Fantomas”, che è durato sei
anni dal 1961 al 1967 in un susseguirsi di «sentenze
dove abbondano lapsus freudiani e falsi sillogismi»; che
si risolse alla fine, sentiamo come lo dice Apice: «Con
una sentenza di insufficienza di prove sulla rapina. È il
19 dicembre 1967. Viene scritta una pagina non glo-
riosa della Magistratura italiana: l’altalena delle deci-
sioni è balzata dalla consapevolezza al dubbio, dal dub-
bio all’amnistia. Si sono fatti ragionamenti lambiccati,
che tradiscono una triste verità: il convincimento dei
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giudici era che un personaggio come Pasolini, con la
sua carica di trasgressività, a dispetto di qualunque in-
verosimiglianza dell’accusa, non poteva essere manda-
to assolto con formula piena».
Apice delinea chiaramente l’intento del suo libro
con poche parole: «Il principale motivo che mi ha spin-
to a scrivere di quel processo è appunto il desiderio di
fare maggiore chiarezza, di fare, in qualche modo, più
“giustizia” di quanto non sia stata fatta. Ho voluto scri-
vere un libro che parla di un processo senza parlare ...
di diritto, e insieme ho voluto scrivere un libro che par-
la di un letterato, di un artista» senza parlare di lette-
ratura e senza parlare di arte. È così, ma non è del tut-
to così, Questo libro riceve la sua impronta qualifican-
te proprio perché si avvale della competenza giuridica
e della pcnctratività letteraria, di cui l’autore, sia per
“professione” c sia per “vocazione”, è istituzionalmen-
te e naturalmente dotato. Di più, questo suo libro si
snoda come un racconto storico e sociologico che con-
sente al lettore di ripercorrere daU’interno, in presa di-
retta e concreta, il panorama mentale e materiale, che ha
caratterizzato l’intero flusso d’epoca che va dagli anni
Cinquanta agli anni Sessanta, che furono, tra l’altro, i più
interessanti, i più problematici, i più creativi e soprat-
tutto i più densi di vita di tutto il secolo scorso: il tragi-
co Novecento. La rilettura di quegli anni, attraverso il
libro di Apice, al di là del suo intento tutto concentra-
to sul “caso pasoliniano esemplare” in questione, vale
anche come rievocazione del ritratto di un’Italia (è pro-
prio il caso di dirlo) “dalle molte vite”: la vita violenta
di Pasolini stesso, la dolce vita di Fellini (1960), la vita
difficile, ma sempre vita era, di un film di Risi (proprio
del 1961). Ed è proprio Pasolini ad ammettere che al-
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lora «la vita a Roma, con un minimo di sicurezza e di sol-
di in tasca, è stupenda».
Secondo Apice tutta la serie delle varie vicende pro-
cessuali da cui Pasolini è stato investito, prima e dopo
quella grottesca del Circeo, si rivela come pretesto di una
reattività, irrazionale e reazionaria, di una classe dirigente
incapace di adeguare i propri schemi mentali e istitu-
zionali sulla base delle trasformazioni materiali e morali
in atto nella società di tipo nuovo e diverso che si stava
affermando. Pasolini stesso si sentiva disorientato e
stravolto dal nuovo tipo di società da lui sempre accu-
sata di costituire una negazione, un’alienazione, una
corruzione dell’autenticità del vivere. Da qui i suoi pro-
verbiali J’accuse. Pasolini era uomo d’angoscia e l’an-
goscia è l’indizio più diretto della coscienza della con-
traddizione. Mosso dalla consapevolezza di questa con-
traddizione, si era messo fatalmente e “coscientemen-
te” in urto con i custodi dell’ordine fittizio costituito, il
quale, armato dei suoi dispositivi repressivi non trova-
va di meglio che mettere in atto iniziative censorie che
finivano per acuire le contrapposizioni e alimentare la
conflittualità invece che superarle, Pasolini, con le sue
prese di posizione, deliberatamente protestatarie, era di-
ventato così l’uomo-simbolo che offriva meglio di ogni
altro personaggio pubblico l’occasione per dar l’avvio
al decorso di una sicumera predicatoria e denigratoria
da bassa campagna politica e ideologica. Oggi si di-
rebbe da strumentalizzazione mediatica, che si avvale-
va di Pasolini come pretesto, ma che aveva per bersaglio
il formarsi di una coscienzialità e di una sensibilità cri-
tica che l’ipocrisia borghese non intendeva cogliere e che
pertanto avversava con tutti i mezzi e i modi a sua dis-
posizione.
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Description:Il 12 luglio 1963, la Corte di Appello di Roma dichiara amnistiato il reato contestato a Pier Paolo Pasolini: l'imputazione era di rapina a mano armata. Processo a Pasolini non è una biografia né un commento giuridico su una vicenda giudiziaria. È piuttosto una rilettura di un processo per molti