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DI
STORIAL ETTERARIAE POLITICA
XVIII
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BENEDETrro CROCE
POESIAE NONP OE,SIA
NOTE
SULLA LETTERATURA EUROPEA
DEL SECOLO DECIMONONO
BARI
GIUS. LATERZA & FIGLI
TIPOGRAFl·RDITOIU-LIBRAI
1923
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PROPRIETÀ LlllTTEKARIA
IIARZO MCMXXlll • 62381
AVVERTENZA
Avevo pensato di venire riesaminando la lettera
tura del secolo decimonono, sia per rendere esplicite
conclusioni ancora implicite presso gli scrittori che di
essa hanno trattato, sia per dimostrarne altre in modo pili
esatto, sia per confutare pregiudizt -correnti o proporre
qualche giudizio nuovo, ma soprattutto per riportare
sempre la considerazione alla poesia, che è (quan
tunque di tal cosa parecchi che fan mestiere di critici
facilmente si dimentichino) ciò che deve formare l'as
sunto proprio della critica e storia letteraria. Altri studi
mi hanno impedito, e m'iqipediscono, di condurre a
termine questo, che avevo cominciato; e io raccolgo
intanto le note che mi trovo di aver segnate e spar
samente pubblicate su alcuni dei poeti e letterati del se
colo decimonono, pur senza deporre la speranza di
compierle e proseguirle un giorno e fornire un quadro
abbastanza pieno di quel secolo di poesia. Superfluo
dire che la scelta degli autori compresi nel presente
volume non è stata determinata da altra ragione se
non che essi mi è accaduto di rileggere per primi. E
sarà anche superfluo ripetere che come le mie note non
6 POESIA E NON POESIA
pretendono sostituire i molti e pregevoli lavori esistenti
sui singoli autori, ma anzi rannodarvisi per svolgerli
e, dove occorra, rettificarli, cosi non pretendono esau
rire gli argomenti di cui trattano, ma soltanto risolvere,
come ho detto, alcuni problemi, fermare alcuni punti
che rimanevano dubbi, e dare l'avviamento a indagini
ulteriori. Tale, del resto, è il carattere di ogni studio che
sia inteso in modo scientifico; e la critica letteraria
deve anch'essa sempre meglio appropriarselo per farsi
sempre piu, a suo modo, scientifica, abbandonando certe
abitudini che ancora serba di arbitrario individualismo,
di artistico capriccio e di falsa genialità. Né m' ~mporta
che, per intanto, gl' inintelligenti dicano che io, in luogo
di critica della poesia, offro critica della critica; perché
gl' intelligenti ben sanno che la critica della poesia
non può non formare tutt'uno con la critica della cri
tica della poesia.
Napoli, marzo 1922.
c.
B.
I
ALFIERI
È
stato talvolta segnato l'inizio della nuova letteratura
italiana nel Parini; ma il Parini è di mente e d'animo
uomo del Settecento, del periodo razionalistico e delle ri
forme; e settecentesca sebbene elegantissima è l'arte sua,
didascalica e ironica nei suoi toni maggiori, erotica e ga
lante nei minori. Il vero inizio·(quando si guardi al moto
delle idee e alla qualità dei sentimenti) è in Vittorio .Al
fieri, che tocca corde le quali vibreranno a lungo nel secolo
decimonono, dal Foscolo e dal Leopardi fino al Carducci:
in Vittorio Alfieri, che io non posso considerare se non
come strettamente affine ai contemporanei Sturmer und
Drltnger di Germania, i quali s'ispirarono come lui alle
pagine di Plutarco e risentirono profonda l'efficacia del
Rousseau, neanche a lui estranea. Al pari degli Stu1·mer
und Drltnger, egli è fortemente individualista; e indivi
dualismo è il suo amore per la libertà e il frenetico odio
alla tirannia, cosi indeterminato nel suo contenuto poli
tico, perché egli aborre con la stessa risolutezza re e de
magoghi e patrizi di repubblica (l' e oscena libertà posticcia>
di Venezia e le e sessanta parrucche d' idioti > di Genova),
e non cerca nella sua vita altro stato, e non persegue nella
8 POESIA E NON POESIA
sua arte altro ideale, che quello del « liber'uomo >, che possa
cioè muoversi, parlare, operare, attuare il proprio pensiero
e la propria vocazione, non oppresso e soffocato da veruna
forza estranea, non contrastato o impacciato da verun osta
colo. Come gli altri consapevoli o inconsapevoli roussoviani,
moventi ali' assalto delle bastiglie morali, le sue passioni
sono estreme per violenza; e, quasi per dar loro qualche leni
mento, egli ama la solitudine, si abbandona con voluttà alla
malinconia, sente l'incanto degli spettacoli naturali, delle
montagne, delle acque, delle spiagge. Il freddo intellettua
lismo, e Voltaire che lo rappresenta, gli ripugnano, e non
sopporta il e lepido stile >, la leggi era e facile prosa degli
illuministi, ben adatta alla divulgazione, ma che per ciò
appunto a lui sembrava che prostituisse «la viri! nostr'arte>.
E se egli non è tutto Shakespeare, come erano i suoi affini
tedeschi, se presto intermise la lettura che aveva comin
ciata di quel poeta, non è già perché esso non gli piacesse,
ma anzi perché gli piaceva troppo: « quanto piu (scrive)
mi andava a sangue quell'autore, tanto pili me ne volli
astenere>: cioè per non correre il rischio d'imitarlo, e per
serbarsi spontaneamente shakespeariano. C'è perfino qual
che concetto sul cattolicismo, di lui non cattolico, che an
ticipa lo Chateaubriand (il quale veramente non si è potuto
mai sapere se poi fosse sul serio cattolico). Alludo a quel
singolare sonetto, che comincia: « Alto, devoto, mistico in
gegnoso, Grato alla vista, all'ascoltar soave, Di puri inni
celesti armonioso È il nostro culto: amabilmente grave ... >,
e pil'i. oltre ha il verso: « Dell'uom gli arcani appien sol
Roma intende>.
Si deve dunque, a mio avviso, considerare l'Alfieri come
un protoromantico: il che non vuol dire propriamente ro
mantico, come ora si è preso il vezzo di chiamarlo, con
fondendo ben distinti periodi spirituali. Del romantico al-
1'A lfieri mancarono tratti essenziali, l'ansia religiosa sul fine
I· ALFIERI 9
e il valore della vita, l'interessamento per la storia, e il
compiacimento per gli aspetti particolari e realistici delle
cose. Anche la sua autobiografia sta sulla linea delle con
fessioni alla Rousseau, ricca di passione e scarsa di senso
storico cosi rispetto al proprio tempo come alla sua vita
medesima. Di questo suo limite, e della incapacità a ri
trarre, come diceva, < la vera e scalza triste natura nostra>,
la patologia individuale e sociale, ebbe consapevolezza. < E
carmi e prose in vario stil finora Io scrissi, abil non dico,
ardimentoso; Storie non mai. .. >. L'epica, l'oratoria, la
tragedia, la filosofia cioè le riflessioni morali e politiche:
ecco il suo campo: < Arti tutte divine, in cui, ritratto L'uom
qual potria pur essere, s'innalza Al ciel chi scrive e il leg
gitore a un tratto>.
Tale, all'incirca, la collocazione del!' Alfieri nella mo
derna storia mentale e morale. Ma per intendere e giudi
care l'arte di lui, per risolvere il quesito, anch'esso storico,
del suo svolgimento estetico, bisogna farsi presente la par
ticolare conformazione di quell'anima. Perché l'Alfieri, prima
che poeta o al tempo stesso che poeta, era uomo di passione
cosi ardente (<furore> è la parola che pili spesso torna
nelle sue pagine) da rivolgersi diritto all'azione e alla pra
tica, guidato da inflessibile fermezza di proposito. Azione
e pratica, la quale certamente non si attuava altrove che
nella parola e nelle carte, ma azione era nondimeno, se
tale è essenzialmente l'oratoria. L'anelito alla libertà e l'abor
rimento per la tirannia gli avevano ingenerato nel!' imma
ginazione un fantasma pauroso, il Tiranno, che non è già
un fantasma poetico, ma un incubo passionale, una sorta
di condensazione della pili nera nequizia umana, che ha
luogo in un determinato individuo non si sa perché, se non
forse per incoercibile potere di attrazione e agglomeramento.
Sono colpevoli i suoi tiranni? Non si oserebbe affèrmarlo;
o non piu colpevoli, certo, di chi ba la disgrazia di essere
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preso da un'infezione, dall'idrofobia o dal tetano. « Ah
forse voi dite il vero! ,. - esclama il tiranno Timofa,ne verso
i suoi congiunti ed amici, che procurano di richiamarlo ai
doveri del cittadino -, « ma non v' ha piu detti, E sien
pur forti, che dal mio proposto Svolger possanmi ornai.
Buon cittadino Piu non poss'io tornare. A me di vita Parte
or s'è fatta la immutabil, sola, Alta mia voglia: di regnar ...
Fratello, tel dissi io già: corregger me sol puoi Col ferro:
invano ogni altro mezzo ... >. Un altro di quei tiranni, Po
lifonte, nella Merope, - anche lui non figlio, non sposo, non
padre, e tutto tiranno >, che non vede e altro che regno >, -
sospira alla fine del primo atto, stanco sotto il cumulo
della sua propria ineluttabile malvagità: e Oh quanta è im
presa il mantenerti, o trono!>. Ad abbattere con un colpo
di mazza ferrata il Tiranno, tanto piu a lui odioso perché
se lo rappresentava in modo da dovergli riuscire necessa
riamente incomprensibile, l'Alfieri costrusse la sua tragedia,
nella nota forma, senza confidenti, senza episodi, senza in
termezzi di amori, scheletrica, precisa e rapida come una
macchina, tagliente col ben noto stile. Stile che ha an
ch'esso del proposito, dell' in testamento, della fissazione; e
poiché egli non tollerava, come si è visto, la lepidezza e
la leggerezza della prosa illuministica, e poiché gli moveva
nausea la correlativa poesia cantarellante di quel tempo,
che in Italia, e non solo in Italia, era la metastasiana, il
suo dramma e lo stile di esso sono il rovescio violento del
melodramma metastasiano (come ebbero già a notare, credo
pei primi, la signora di Stael e Guglielmo Schlegel); e le
cabalette e ariette, con cui i suoi personaggi, al pari di
quei del Metastasio, palesano sé stessi, stridono in digri•
gnamenti di denti e suoni aspri e rotti. E quando per av
ventura la sua ira si volge al sarcasmo e ali' irrisione, come
nelle satire e nel JJ1isogallo,i l cipiglio tragico si cangia in
comico, ma resta pur sempre cipiglio: onde quel suo co-