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Z E I T S C H R I FT FÜR KLASSISCHE PHILOLOGIE
Herausgegeben vom
Zentralinstitut für Alte Geschichte und Archäologie
der Akademie der Wissenschaften der DDR
Heft 2
1975
Band 119
AKADEMIE-VERLAG • BERLIN
EVP 18,— M
32912
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ZEITSCHRIFT „PHILOLOGUS"
Herausgeber: Zentralinstitut für Alte Geschichte und Archäologie der Akademie der Wissenschaften der DDR
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Erscheinungsweise: Die Zeitschrift „Philologus" erscheint jährlich in einem Band zu zwei Heften.
Bezugspreis je Band 48,— M zuzüglich Versandspesen (Preis für die DDR 36,— M).
Bestellnummer dieses Heftes: 1031/119/2.
© 1975 by Akademie-Verlag Berlin • Printed in the German Demoeratio Republic.
CARLO GALLAVOTTI
I GIAMBI DI P. OXY. 2310 ATTRIBUITI AD ARCHILOCO
Il POxy 2310, dopo la pubblicazione del Lobel (1954), è stato recepito senza
sospetto nelle edizioni di Archiloco, fino all'ultima di M. L. West (Iambi, 1971),
frr. 23—29. Il Lobel, Oxyrh. Pap. XXII p. 6, aveva addotto come prova per
l'attribuzione la coincidenza dell'emistichio 25, 2 xapJSfyv ìaiv[e]Tat con un verso
noto di Archiloco (fr. 41 Diehl); ma tale coincidenza ha soltanto il valore di un
indizio, e non di una prova, secondo il giusto rilievo di Davide Giordano (Aegyptus
1957 p. 210). Quindi, se viene a mancare la prova, perde valore anche l'altro
indizio desunto dalla possibile ma non obiettiva coincidenza di 26, 5—6 con gli
inizi di un distico noto (fr. 30 D.). Il Giordano ha capovolto ij problema dell'autore:
occorrono argomenti di forma e di contenuto, desunti dal testo del papiro, per
potere restituire qualche peso alle probabili o possibili coincidenze verbali1.
La metrica non presenta anomalie rispetto alle norme dei giambografi antichi
(come del resto non ne presenta il libro dei Giambi di Callimaco), tranne un punto
solo, ma rilevante. Se si ammette la lezione aù 8[è in 23, 18 alla fine del trimetro,
non si può fare a meno di sottolineare la stranezza della pausa sintattica in
clausola, al decimo elemento del trimetro; l'interpunzione è anche segnata nel
papiro (-uav ero-). Non abbiamo molto dei giambografi antichi e di Archiloco in
particolare; ma una pausa del genere è difficile ammettere in teoria nella metrica
arcaica, siano trimetri giambici od esametri dattilici. Nei trimetri dialogici
e discorsivi della commedia una pausa al decimo elemento è normale, e passa
inavvertita; ma già nel trimetro tragico ha un valore espressivo. In Eschilo
ricorre più volte un RI yàp o TI fi.-/] interrogativo oppure cppàaov, alla fine del tri-
metro e della frase; ma più ancora un aù 8è alle fine del trimetro, nella frase che
continua, decisamente spezza l'unità metrica (contro una delle sagge norme di
Knox2), ed ubbidisce ad un modulo retorico. Questo è l'effetto perseguito nello
stile teatrale di Eschilo, quando un aù 8è si pone alla fine del trimetro: Suppl. 772,
Prom. 961 e 1033 (ved. Agam. 556). La spinta a tale strutturazione del verso
proviene forse dai vocativi bisillabici, come TOxrep o cpiAot, che sono frequenti alla
fine dei trimetri nel dialogo della tragedia. Qualcosa di simile si riscontra nei
1 Per altra via, anche Aristide Colonna (BPEC VII 1959 pp. 51—53) ha sottratto ad Archiloco
il testo dei frr. 23—24, ravvisando nel POxy 2310 un'antologia di autori vari (con ciò si spie-
gherebbe l'inserimento di un titolo, o di una annotazione, che nel papiro era scritta in testa al
carme del fr. 25).
2 The Early Iambus, Philologus LXXXVII 1932 p. 22; si veda poi il commento di G. Morelli,
Studi sul trimetro giambico, in Maia XIII 1961, specialmente alle pp. 152 e 155, 160.
11 Zeitschrift „Philologus", 2
154 CABLO GALLA VOTTI
coliambi dei giambografi recenti. La pausa è poco sensibile in Cali. la. 4, 1 (eie,
où yàp rj^éwv, nati XapiTocSew, xaì. cu;), perché il vocativo costituisce piuttosto un
arco di raccordo per xaì aó, che va congiunto strettamente con eie, -/¡¡aéwv. Nella
canzone dei Coronistae di Fenice di Colofone, fr. 2, 9 Diehl (Só?, & ava£, So? xaì aù
itoXXà ¡JLOI, VUJJKPV)), la pausa è scarsamente rilevabile davanti al vocativo. Poco di
più si concede il mimo di Eroda (I 65, IV 19 e 35, 37, 46, 73, ecc.); analoghe
strutture ritmico-sintattiche sono introdotte anche in esametri dialogici, nell'età
alessandrina, come fa Teocrito (ved. I, ,1 e XV, 1—2). Per evitare l'incaglio metrico
di où 8[é nel fr. 23, bisognerebbe trascurare l'interpunzione segnata nel papiro, e
leggere l'avverbio ouSfvjv alla fine del trimetro come in Aesch. Pers. 480; ma nel
contesto la sintassi non ne guadagna.
Per il frasario sono da rilevare le coincidenze con Archiloco, oltre xapSi-qv
ìaiveTai. Si confronta 23, 19 elXe? aì^FO1- >'-«['• con il tetrametro epigrafico 96, 5
siXe^ aìyjxyi xaì; poi 24, 12 XU[A' àXòc; xaTÉxXuaev con l'elegia 13, 3—4 xaxà xì>[I,a ...
sxXuaev; infine 25, 6 Zeù? 'OXupticov con il tetrametro 122, 2 (simile 98, 13).
TOXTYJP
Sono già forse troppe le ripetizioni che farebbe Archiloco di sé stesso, nei pochi
versi superstiti del POxy 2310; ma direi che un'altra coincidenza si nasconde in
24, 6 dove il contesto può suggerire /oipàSa CTTo]X(xotCTiv è!;[aXeu|iivo]i<; rispetto al
fr. 231 ^oipàS' è^auXeufxevoi;. Si veda inoltre, qui avanti, il testo di 25, 3—4 rispetto
al fr. 43.
D'altra parte, di fronte a 19, 3 Tupavvi&o? è sorprendente in 23, 20 la forma
T[upav]yiir)v. Compare in Senofane fr. 3, 2 Diels per designare il dominio persiano su
Colofone, TupavvÌT);, nel pentametro, dove la forma pare impiegata per la comodità
di allungare, su modello del linguaggio epico, la vocale -i- nel suffisso -ITJ-. Note-
vole, per il lessico, è àp7raX[i]£o[x[ai in 24, 4 nel senso di „afferrare una notizia",
cpn la diatesi media; coincide con una glossa esichiana (¿cadevo? Sé^opu); pur-
troppo la diatesi media risulta dall'integrazione, e a rigore si potrebbe ammettere
un Kp7raX[i]£o(x[ev confrontando più direttamente Aesch. Eum. 983 e Sept. 243,
sempre in rapporto a notizie che giungono: ¡AY) VUV ... XCOXUTOÌCIV àprtaXi^ETE.
Nessun dubbio sussiste sulla scrittura di 23, 9 ¡j.yj Te-rpa^vy)? : eppure T£Tpe[xaivw è
un atticismo lessicale secondo i grammatici antichi, e tale lo conosciamo dalle
Nuvole di Aristofane (294 e 374) e più tardi, a prescindere dagli scritti ionici del
Corpus Hippocraticum. Secondo l'uso che ne fa Aristofane, è un vocabolo buffo
nel significato; e come termine medico significa il tremito (tstpqjj.0^). Pare anche
strano, da un tale tema del presente, derivare un aoristo TETpafjnfivT)? su analogia
di TSTpaÌvW.
In 23, 10 è accentato Ti&eu nel papiro, con il valore di -ri&sco: si può confrontare
con TÌSOU, se così si scrive in Aesch. Eum. 226; ma, con quell'accentazione, sembra
una forma analogica sull'imperativo contratto in -oo, ion. -su, da -éou, in relazione
alla forma dell'attivo (TÌ&EI: TI&EU come rotei: TCOIOU). Nel verso successivo la
preposizione eì? risulta dall'inserzione di -i- nel papiro, e quindi apparsene al
testo, anche se tale forma appare eccezionale in Archiloco davanti a consonante e
si vuole correggere in ic, (93, 6 sii; ©OCCTOV). Nello stesso verso la scrittura avoX^eiy]?
I Giambi di P. Oxy. 2310 attribuiti ad Archiloco 155
forse non è un itacismo, ma è dovuta all'analogia morfologica di tipo inverso a
quella di eùaefì-qc/. zùaifizia. ion. eòae(3tr) (in Empedocle); infatti è scritto àvoXfkiovTa.
anche in un carme esametrico anonimo di POxy 1794, 13; forse è un modo semi-
dotto di giustificare la productio di -i- in Hes. Op. 319 àvoXpiyi- Più grave appare
la productio di -i- nell'apparente patronimico di 29, 2 'Ap^y-iocSsw. Nome fittizio
è in 25, 8 Eupnea? (ved. K. Latte in Gnomon XXVII 1955 p. 493); per il nome del
bovaro, al v. 4, si può inventare OaX[avS-]twi od altro (ved. anche W. Peek in
Philologus IC 1955 p. 210). Notevole è in 24, 2 l'impiego del nome regionale èx
rop-ruviv)? per designare il territorio di Gortina, o il porto; tracce di lettere sopra il
rigo mi sembrano da leggere ISOCT, cioè Top-ruviScx; come scolio o variante. In Cali,
hy. 3, 189 l'etnico femminile è appunto Top-am?, che vale anche per la regione.
L'aggettivo TopTÓvioi; era per noi documentato in Thuc. II 85; sostantivato, come
qui, in Strab. X 476. La forma più antica del toponimo non è ropTuvT), ma TópTUva,
e prima ancora Tóp-ru?; Varrone dice Cortynia.
In 23, 9—10 il Lobel osservò l'insolita costruzione di [xeXTjaet. con dcjxcpc ; a ciò
rimedierebbe il West, introducendo un complemento di tempo (¿¡Acpì $' eò<g[pów)i,
„quando è notte"). Ma con à[jupi è espresso un complemento di riferimento, e non
il regime di ¡¿eX^asi; mi pare infatti che il contesto proponga la solita contrappo-
sizione sociale o politica fra àya-9-oi e xaxoi; quindi nel v. 8 si leggerà àv&pa>7rco[v
xaxwv (non xaxrjv), e nel v. 9 à[x<pl 8' eùcp[póvcov opp. eòepowv (cfr. G. Schiassi RFIC
XXXV 1957 p. 160).
C'è poi da notare una particolarità sintattica in 23, 16 dove è nominata la
formica; secondo la mia interpretazione, non si deve punteggiare dopo (juiJppji-,
all'inizio del verso; la parola non lega con la frase che precede, nei vv. 14—15.
Il semplice zoonimo è qui usato in funzione comparativa, come in Herod. 6, 14
xucov ÙXAXTSW; si veda anche fr. iamb. adesp. 19 Diehl: p) rcpòi; XÉOVTOC Sopxà?
à^cojxou [ià^'/)?- Gli esempi.più antichi sono in Alcm. 1, 86 rcocpcrévoi;... XéXaxa yXaùi;,
e in Theogn. 347 èyw 8è xucov ÈJTÉPY]aa ^apàSpTJV, e sempre con il verbo in prima
persona, come anche nelle laminette orfiche, epi<po<; èc, yak' énerov3. La frase ha
invece un aspetto di proverbio quando il verbo è in terza persona (ved. il com-
mento di Arist. Rhet. Ili 4 per Xéwv È7tópou(je). La maggiore audacia stilistica è in
Theocr. 14, 51 ¡JLUÌ; ... yeu^e^a mooou;, ma costruita su un detto proverbiale (De-
mosth. 50, 26 ¡AU? TCÌTTYJI; YSUS-RAT; cfr. Herod. 2, 62). Nel nostro carme il verbo
potrebbe essere in seconda persona, T[SWS. Mi pare però che lo stato del testo e
del papiro suggerisca di leggere in prima persona: ¡i.ù]pfi.7]i; Xóyoi vov T[sivojj.(ai),
„procedo dunque con giudizio, come la formica", per la via diritta che mena allo
scopo, l]&eÌ7)i 7tàp[a.
Infine l'analisi linguistica suggerisce un paio di rilievi rispetto all'usus archi-
locheo: anastrofe e articolo. L'anastrofe della preposizione qui si presenta alla
fine di trimetro sia in 23, 13 oi'wv arco sia in 24, 13 yepcrìv atxpjTÉcov ureo sia in 27, 8
3 Lamellae aureae orphicae A 11, ed. A. Olivieri, Bonn 1915, con bibliografia a p. 3; la formula
è volta alla seconda persona, imze<;, in altra laminetta (A2 5), ved. ibid. p. 16 e 20.
11*
156 CABLO GALLAVOTTI
]IG)V 8' uno, oltre ì]&eÌ7) 7ràp[a in 23, 16. Può essere un caso che non ne abbiamo un
solo esempio nell' Archiloco noto, mentre è un modulo stilistico molto caro ad
Eschilo (anche il 7ràpa ortotonico in fine di verso, come qui in 23, 16 se si legge con
il Lobel à>a)]ateÌ7) roxpfa). Questa disposizione verbale è tipica del trimetro tragico,
e fu rilevata come tale da Aristotele (Poet. 22, 5), perché conferisce distinzione al
linguaggio ricercato; perciò era volta in caricatura dai comici ateniesi. Quindi è
difficile in teoria attribuire tale modulo verbale al linguaggio di Archiloco, e
proprio nei trimetri, che per la loro composizione ritmica sono il più vicino
possibile alla prosa giornaliera e alla lingua comune (Poet. 4, 7). Quanto all'impiego
dell'articolo, questo appare limitato a determinate strutture sintattiche in Archi-
loco, oppure dimostra un preciso valore espressivo, quando non è un vero e
proprio pronome. Alcune sue presenze nelle moderne edizioni sono dovute a
citazioni corrotte della tradizione indiretta; invece i testi papiracei ed epigrafici di
Archiloco ce ne dimostrano meglio il vero usus. Ma nei carmi di questo papiro la
presenza dell'articolo mi sembra sovrabbondante, e solo in parte giustificabile nei
modi che ho detto. Non bisogna, naturalmente, introdurne per congettura, come
propone il West in 25, 3 (T[W]I MeXn)AÀ[v8p(O]I crà-9-Y), dove conviene supporre un
pronome, diversamente immaginando la compagine della frase: T[U]I ¡I.SÀ7;AA[T.T'
a]y eràib)). Ma si veda un brano conservato bene, in cui l'articolo chiaramente
spesseggia: 23, 8 cpà-riv [xiv TTJV Trpò<; àvfrpciyrtwv, 11 eit; TOUTO SY] TOI TY)C; àvoX^EÌT)?,
14—15 TÒV cpiXfeuvTa] (aiv 9tXéeiv, [TÒ]V 8' è^frpòv è^aipetv. Anche in quest'ultimo
caso, per cui si avrebbe in qualche modo da chiamare a confronto un verso di
Archiloco (126, 2 TÒV xax«? epSovxa, dovuto a una ragione di chiarezza sintattica),
il modello stilistico è da indicare in Esiodo, Op. 342: TÒV <ptXéovT' ini SOCLTOC xaXeìv,
TÒV 8' èx&pòv èàaat. In Archiloco ci attenderemmo piuttosto una struttura asciutta,
come è in Pindaro Pyth. 2, 83 cpiXov si'v) rpiXetv • totì 8' è^&pòv ... ÒTro&euaofi.au.
Lo stile di Archiloco è essenziale e compatto, e non così verboso come parrebbe
da questi carmi. Vero è che tale impressione potrebbe dipendere dall'incertezza
testuale, e dallo stato del papiro bisognoso di molti supplementi; quindi la valuta-
zione del linguaggio e dello stile di questi giambi sarà meglio condotta insieme all'
analisi del contenuto, almeno nei frr. 23—25 (perché 26—29 sono brandelli).
Specialmente nel fr. 23 si può seguire per un buon tratto lo sviluppo della com-
posizione e del concetto. I primi versi leggibili del fr. 23 sono la risposta che il
poeta dà a qualcuno (vv. 7—8): ... [à][xeipof4ai]' Y«va[i] ... Vuol dire „donnetta",
in senso ironico verso un uomo indeciso, come appare dal seguito del discorso fino
alla fine (vv. 8—21). E' un modulo già omerico (B 235, H 96 'AyMÌSet; OÙXÉT'
'Axouoi), che ritorna in Aesch. Agam. 1625, esattamente come qui, con un yuvai
all'inizio del trimetro e del discorso, rivolto ad Egisto dal coro tragico. Nel nostro
papiro il discorso è indirizzato ad un uomo; perché non abbia esitazioni a man-
tenere il governo dispotico della città, se vuole acquistare fama e ammirazione,
come l'ha già ottenuta occupando la città a mano armata. E' da respingere
assolutamente ogni esegesi allegorica (per cui la città conquistata con la spada
sarebbe la virtù di una donna espugnata da un uomo, o viceversa). Si tratta invece
I Giambi di P. Oxy. 2310 attribuiti ad Arohiloco 157
di un dispaccio di politica internazionale, in forma epistolare: lo scrivente assicura
il proprio favore, e il favore della propria città, al capo militare e recente gover-
natore dell'altra città; lo invita a non preoccuparsi delle voci che corrono e delle
maligne dicerie. Per la costituzione del testo seguo naturalmente le letture del
Lobel, rivedute in qualche punto dal West; e spettano al Lobel anche lezioni e
supplementi che non siano annotati nell'apparato.
yóva[I.], 9Ó.TI.V FI.èv TYJV —pòi; àv^PTÓ7TW[v y.axuv
[X7] T£Tpa(j,Yiv7)i<; [iTjSév, ¿¡j.<pl S'eù<g[póvcov
10 èf/.oi [xeX^o'ef [-&]ojxòv EX[a]ov -u&su.
zìe, TOUTO SYJ TOL TT^C, àvoX[Ì£t7]C; 8ox[écù
•^xeiv àvrjp TOT SELXOC; àp' è9aivó(i.7)v,
oujò 010? et,[A eyw [aJuTo? ouò oiwv arco.
STr]IFJTA(I.ai TOI TOV <piX[sij]y[Ta] ¡xèv <pfi]Xéei.y,
15 xò]v 8' sy^pov èyjì«.ÌQeiy -ce [xa]i xaxo[cppovéet,v.
¡xu]p[I.7)^ Xóywi yuv T[SÌVOJJL' 7wp[a.
7tó]Xiv Ss TAUTY)[V, -f)v X]a[p<ì)v è]7riaTpé[cpsa]t,
•8-EJTOÌ TTOT' àvSpe? è£e[7CÓP'9T)](TAV, AÙ S[è
r]fjV eLXec; «^¡jLyjt. xa[l ¡¿éy' è]^pa[o] x[X]éo<; •
20 XSLVYJC; avaaae xaì F[opav]YÌ7]v zyz,
Tc[o]X[Xot]a[i •9-]T)[V £]Y)XCOTÒ<; ¿[v-9-p]a>7ctùv easai.
8 ouor supra av&pojTc scr. P(apyrus) scil. àv9p<i)7cou<; / xaxSv suppl. G(allavotti): xaxìjv L(obel)
9 -(iTjvrj«; scr. P / eùcpfucùv vel. EÙ<p[póvcov suppl. G 10 xliteu notavit P: xfòeo scr. L 11 ei? scr.
P adiecto -l- / avoX^cir)? scr. P: vid. Hes. op. 319 àvoXptf) vocali -t- producta, et POxy 1794, 13
àvoXfkioMTa 13 lege lyomòz: tamen [ojuxoi; suppl. W(est) 14 tptÀEuvxa scr. G: -sovra L / -eeiv
hyperionicum scr. P, ut saepius traditur 15 supra xo]v litteram S scripsisse P videtur / xaxo-
[9povéetv ex. gr. suppl. G, alii alia 16 cave ne ante XóyoH distinguas / X[EÌVO(J.' Ì]9-£Ì7)L con. G: T[£SV8'
àÀT)]de[r] 7rap[a con L: ]S-ci7]Tcàp[ notavit P 17 Xa(3ùv ex. gr. con. G: .]a[ leg. W 18 tìejxoi vel
xa]yoi con. G: oujxoi con. L / -oavauSf notavit P: OU8[YJV possis deleta distinctione 19 X]T)V con.
L: v]Gv leg. W / vocalem -1- post w.yjxr) add. P / è]^pa[o suppl. Adrados scil. è^peo 21 TtoXXotai
con. Peek / suppl. W: xoi supra lineam scr. P / 7) supra eccoti scr. P scil. 'é<rr\ 1
. . . (alle tue perplessità così) rispondo: Donnetta! le chiacchere dei cittadini (volgari) non devi
temere, e quanto ai ben (pensanti) sarà cura mia. Sta tranquillo. Ma a tanta disgrazia sembro
giunto: apparivo davvero un vigliacco, e non quello che sono proprio io e di quale progenie! So
bene amare l'amico, ma odiare il nemico e (tramare). (Procedo) quindi con calcolo, come la formica,
(per la via diritta). Questa città, (che tu occupi e) sorvegli, i caporioni di una volta la (rovinarono) ;
ma tu l'hai presa con la spada, hai colto una (grande) gloria: comanda su di lei e mantieni (il
dominio) ; certo sarai invidiato da (molta) gente.
Il testo mi pare chiaro nei concetti, ed anche nelle strutture sintattiche. Un
dubbio può sussistere per il aù Sè del v. 18, come ho detto a principio; ma l'inter-
puzione è assicurata dal papiro stesso. E' incerto per la sintassi l'inizio dell'ultimo
verso ; la lezione 7toXXo?AI [V ha il vantaggio di impiegare un dativo di forma lunga,
in "Oicri, che è consono alla grammatica archilochea; una congettura come izoXKolc,
158
CARLO GALLAVOTTI
8è S]Y)[V sarebbe intesa ad eliminare l'asindeto e quindi a smorzare un poco lo stile
enfatico del finale. Ma non c'è dubbio che lo stile di questo brano è alquanto
teatrale; potrebbe figurare come una rhesis tragica in un dramma di argomento
politico. Presuppone almeno l'esperienza linguistica e oratoria del teatro nel
quinto secolo; e come elementi specifici del linguaggio eschileo ho indicato l'iniziale
yuvou al v. 8, il tipico attacco cri Sé al v. 18, inoltre l'anastrofe della preposizione
in fine di verso (13 foro, e 16 irapa). Anche maggiori perplessità deve suscitare il
contenuto: poco si attaglia ad Archiloco la figura del consigliere politico di un
potente; e ancor meno conciliabile, con quel che sappiamo di lui, appare l'incita-
mento che egli stesso darebbe a qualcuno, perché conservi il governo dispotico di
una città (a parte i frr. 19 ou fioi ruyew e 115 vìiv Sè AeoxpiXo?). Non pare pos-
sibile che la città qui nominata sia nell'isola di Paro o altrove, al tempo di Archi-
loco; ma forse al tempo di Mnesiepe, nel terzo secolo.
Non minori perplessità, per lo stile e il contenuto, fanno sorgere i frr. 24 e 25. Il
primo di questi due carmi è un bigliettino di diciotto versi, scritto a un amico
giovane, e socio in affari, appena è giunta la notizia del suo ritorno da un lungo
viaggio in mare. L'amico proviene da Creta, dove era arrivato, nel porto di
Gortina, „due giorni prima": 7rpò Tpi-nr)<; (cfr. Hom. I 363), se così posso risolvere,
nel v. 3, la dubbia lezione del papiro descritta dal Lobel (xgoxTiT.ir:) e trascritta dal
West (..oTY]T.y). E' necessario presentare un tentativo di ricostruzione anche dei
versi più malandati, per vedere, almeno, ciò che il papiro effettivamente sug-
gerisce circa la successione e la disposizione dei concetti. Mi giovo naturalmente
di alcuni nessi già intuiti da altri (Adrados per il v. 2, Giordano per 8 àxoóaaq,
Steffen per 11 8' av àXXov, Peek per 18 <X5TI<;). Comincia così4:
riaXat, TCO-&7)TÒ<;] VY]Ì aùv g[[I.]txpyji fiéyav
TTOVTOV 7TEPYIA]A<; fjX&Ec, èx ROPTUVIY]?,
•5)1 Tckolov 7R]PÒ TQÌT[Y)]<; [S]TCEATAIB].
cpTjfiY) yàp ijxs], xat TÓ8' àp7raX[i]£o[i.[ai,
5 Saov te <pa>v% xp]Y)yu7)? à<pix[eTO,
yoipàSa <TTo]X[i,oi<nv è£[aXeu[i.évo]i<;
ÓOTavxa vuv irpóJxeipa, xaì 7r[ap]e<jT[à]$7)<;.
Poi parla della merce, e dice: (Godo) dell'annuncio, e (poco) m'importa del
carico, (se si è salvato) o perduto; (a questo) c'è rimedio; „ma non avrei potuto
trovare un altro amico (simile, se) il flutto marino ti avesse inghiottito, (o se poi
1 Un tentativo di ricostruzione del carme è stato or ora pubblicato anche da M. L. West
(Studies in Greek Elegy and Iambus, Berlin—New York 1974, p. 121 s.): riscontro al v. 11 tptXov,
12 TOIOUTOV, inoltre 15 ÀV]&ST (ma riferito alla giovinezza dell'amico). Al v. 5 il y.p]r(yu7]T; del Lasserre,
che dovrebbe essere la „buona" novella, viene dal West riferito alla nave. La notizia „buona" è
detta nei vv. 6—7, ed è preannunciata dal pronome dittico róSe nel v. 4; invece il West riferisce
TÓSE a ciò che precede, come se fosse TOÙTO.
I Giambi di P. Oxy. 2310 attribuiti ad Archiloco 159
catturato) da bande di (predoni) armati tu avessi perduto la giovinezza splendida".
Quindi l'ultima quartina: „(Ma ora tutto rifiorisce), e un dio ti ha salvato, (perché
nessuno vedesse te cadavere), e veda me derelitto; (così sono risorto), e mentre
giacevo nelle tenebre, (ecco che di nuovo) alla luce (smagliante) mi ritrovo".
/«ipcù 8' àxjouaac;" cg[o]priwv Sé [xoi [ii[X]si,
eÌt' oùv èacj&yj, ^óv8p]oc; e'ót' à7ra>XsTO.
¡j.aXXó]v •
10 to'jtwv yàp icrih ècm ¡i.r^/avTj
tpiXov 8' àv aX]Xoy oìmv' eupoi^Tqv iyòì
toioutov, el a]è xu;jl' i'Aoc, xaTÉxXuaev,
1]mira. Xv)ict]ò>v /epaiv aìyjj.rjxéoyj (Sto
Xy]<p&si? 7Cot' TjJpTjv àyX[a]riv a7i:[&>]Xsg[a<;.
15 vuv 7CÓ.VT' ÈTrav]^!, xai ce •9-e[ò<; è]pu<r<xTO
l±-q •zie; ah vexpóv], xà(i.è fiouvM&évr' Ì8y)[l].
aÙTÒt; S' ¿v£ctt"/]]v, sv £ócpwi Sè xeifievo(<;)
ì) Xeuxòv aÙTi?] 9a[oc, xJaTeaTa-STjV.
Un giudizio completo non si può formulare sulla qualità del carme, perché,
mancando tutta la parte sinistra dei versi, la composizione viene da noi rico-
struita all'ingrosso. Ma la sostanza e la successione dei concetti risultano abba-
stanza evidenti; sembra una lettera d'affari, che vuole essere carica di passione.
Il motivo principale della lettera (v. 2 èx ... v. 18 è? cpàoc; xotTeaTààtojv)
sembra che mescoli insieme il benvenuto di Alceo per il fratello (Z 27: ^X&e? èx
TCptxTwv yà<;) con l'erotismo di Saffo (fr. 48 L.-P. : ... ov 8' e^u^a? £ji.av <ppéva
xaiofiévav to&cùi). E' una poesia di parole, e non di affetti; la cosa più bella è il
vocabolo del v. 4 àp7taXi£o}i[ai, se non si legge àpmxXiCofi.[ev, come ho detto. Il resto
sono motivi, ridotti a moduli verbali, che divennero banali nella tradizione
poetica: il flutto marino, il pericolo dei pirati, la giovinezza splendida (per
àyXa7]v cfr. specialmente Bacch. 5, 154 e Simon. 105, già citati dal Lobel insieme
a IG I suppl. 446a; ma si noti come l'espressione risulti qui caricata retoricamente
mediante l'inversione dell'aggettivo, ancor più di àyXarjv wXeaav r^v in Simonide).
Di ben altra passione vive il bigliettino di Catullo c. 9 per l'amico che ritorna
(e anche Orazio carm. II 7). Del resto, la povertà linguistica della composizione,
o peggio, il suo gusto decadente, mi sembrano documentati in maniera obiettiva
dalle ripetizioni verbali alla fine dei versi: non solo 9 àitcóXexo e 14 inùikzac/.c,, ma si
notino specialmente le ripetizioni di èaTa-ibjv a fine di verso, variate nel composto
e nella persona, in riferimento alla nave, all'amico, e a sé stesso: 3 È7ts<TTàib),
7 7rape<7Taìb)<;, 18 xaTs<rrdcib]v. Dell'anastrofe nel v. 13 ho già detto; ma ancor più
risalta, se si mette a confronto con la formula omerica, che è Suafievécov
Ù7tò
Xspaiv (T 62) o magari yzpah uno Tpwwv (A 827): qui c'è invece il preziosismo di un
yspaìv aixji.7)TÉwv u7to, che ha il genitivo inserito fra preposizione e regime; ed anche
qui il suggerimento sembra offerto da Aesch. Cho. 86: twvSe aù(i|3ouXoi rapi..
E' stucchevole persino la frequenza di xolì (vv. 4, 7, 15, 16).