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Memorie estorte
“a uno smemorato
Vita di Gillo Pontecorvo
ISBN 88-07-17033-7
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re Mogrsta Gillo Pontecorvo e la Biennale di Venezia per l'uso
Di mestiere faccio il critico cinematografico, ma questo non è
un libro di cinema né, tantomeno, di critica. È il racconto— fatto in
una terza persona sotto cui si nascondono una prima persona che
racconta, dimentica, ricostruisce i ricordi di settantanove anni di
vita, e una prima persona che ascolta, provoca, chiede — di una sto-
ria molto speciale, che si dà il caso sia quella di un signore, Gillo
Pontecorvo, che è stato “anche” un grande regista di cinema.
L'idea di dedicargli un libro che non fosse solo o soprattutto un
libro di cinema, ma molto di più un libro su un personaggio sin-
golare e sulla sua vita piena di incontri, di passioni e di avventure,
mi è venuta quando ormai da qualche anno ero diventata amica
di Gillo, avevo lavorato per un po’ con lui alla Mostra del cinema
di Venezia durante la sua direzione, avevo mangiato l'ottima pasta
e fagioli di Picci, gli avevo prestato delle cassette di film che altri-
menti lui non si sarebbe mai sognato di andare a vedere, avevo
viaggiato con lui alla ricerca di film per il suo festival, avevo pas-
sato interi pomeriggi di primavera sul prato della sua casa di Naz-
zano, a mezz'ora da Roma, a guardarlo spostare una macchia di
narcisi gialli da un punto all’altro, secondo un suo misterioso e im-
perscrutabile disegno estetico capace di tenerlo sveglio la notte a
immaginare nuove soluzioni quasi fosse un mago dei giardini co-
me Capability Brown e di spedirlo da Roma alla campagna in un
blitz di due ore.
Gillo ha riluttato a lungo. Devo immaginare che non si trat-
tasse di diffidenza nei miei confronti, vista l'amicizia e la fiducia
che mi ha generalmente dimostrato. Forse non si trattava nean-
che, come si potrebbe pensare, di modestia. Si trattava invece, io
credo, di una profonda autoironia, che è infatti emersa come il
tono e il leitmotiv di tutti i ricordi che insieme abbiamo rico-
struito. Dico ricostruito perché tirarli fuori da Gillo non è stato
facile — ed ecco quindi il perché del titolo, da lui fortemente vo-
luto. Non è stato facile un po’ perché gli anni della sua vita sono
tanti e, per una serie di casi e di coincidenze, affollati di persone
e di eventi. Un po’ perché la malattia che lo ha colpito nel ’91 ha
contribuito ad accentuare una sua tendenza naturale alla rimo-
zione. Un po’ perché, come Pinocchio nel paese dei balocchi, Gil-
lo nel paese delle storie si distrae, si diverte a raccontare l’ultimo
episodio ameno che lo riguarda — ma in definitiva ha poca voglia
di parlare sul serio di se stesso.
È stata una grande fatica. Sull’arco di due anni, quando i suoi
impegni di lavoro e i miei ci concedevano un raro pomeriggio li-
bero, inforcavo il mio motorino, affrontavo il traffico dei Lun-
gotevere, salivo (contromano) via Paolo Frisi, una tranquilla stra-
dina dei Parioli. E una volta arrivata a destinazione e acceso il
registratore, avrei voluto semplicemente buttarmi su un comodo
divano: se non fosse che nell’accogliente casa Pontecorvo in que-
sti anni il salotto ha funzionato come sede distaccata prima del-
la Biennale cinema, poi dell'Ente cinema di cui Gillo è attual-
mente il presidente. E i divani - quello ricoperto di un vecchio
kilim, quello rivestito di un velluto rosso che Gillo considera di
un colore unico al mondo, e quindi preziosissimo, e quindi in-
toccabile — sono sempre stati ricoperti da fax importantissimi, da
cartelline che era impensabile spostare, da appunti a matita nel-
l'inconfondibile e incomprensibile grafia pontecorviana. E una
volta, sotto il cuscino a cui ho tentato goffamente di appoggiar-
mi, c'era persino una Grolla d’oro, bella ma scomoda...
Comfort, dunque, poco, divertimento molto. Seduta in pizzo
al divano di kilim, mentre Gillo se ne stava abbandonato sulla
sua poltrona di velluto rosa sotto gli scaffali dei libri e le foto pol-
verose — di lui con Picasso, di lui con Sartre, di lui con Brando,
di lui con un pesce più alto di lui, di sua moglie Picci e dei bam-
bini -, quando non ci siamo persi in chiacchiere amicali, in ris-
se sugli argomenti del giorno (sì, litighiamo), in confidenze tan-
to esilaranti quanto destinate a essere dimenticate (che però han-
no deliziato le amiche generose che, sotto il vincolo della discre-
zione, hanno trascritto alcuni dei nastri), abbiamo così, disordi-
natamente e coloritamente, rievocato settantanove anni di vita
(compiuti il 19 novembre 1998).
Quando un ricordo era incompleto, quando mancava un tas-
sello alla ricostruzione, ci si offriva una gamma di soluzioni.
1. Ci penseremo la prossima volta. 2. Chiedilo a Montaldo che se
lo ricorda. 3. Chiedilo a Franco (Giraldi) che come sopra. 4. (Per
cose più pubbliche) Chiedilo a Tullio (Kezich). 5. (La più prati-
cata) Chiediamolo a Picci.
Nella pace borghese di via Paolo Frisi si levava allora l'urlo
guerresco di Gillo, “Picci!”. E Picci - che purtroppo qualche vol-
ta non c'era — compariva dolcissima e gentile dalla sua stanza,
pronta a rimettere in sesto un ricordo, una data, il nome di una
strada, ma anche a ridimensionare un’incazzatura, un’esagera-
zione, un'eccessiva modestia. Quando non cera, il lavoro era in-
dubbiamente più duro.
Racconto tutto questo per spiegare che in realtà Memorie estor-
te a uno smemorato non è una biografia, né tantomeno un’auto-
biografia affidata alla penna (al computer) di un altro. Questo pic-
colo libro è, o vorrebbe essere, un ritratto in cui il soggetto ha po-
sato davanti al suo ritrattista, una testimonianza, un moderno ro-
manzo picaresco, persino — ambizione ovviamente non da poco —
un piccolo racconto morale: la storia di una bella vita, comincia-
ta negli agi e nel privilegio della grande casa della famiglia Pon-
tecorvo, proseguita in mezzo agli stravolgimenti della guerra, al-
le scoperte politiche, all'impegno, alla rivelazione del cinema, agli
amori, alle delusioni “ideali”, ai bambini, alla musica, alla ma-
niacale attrazione perle donne, alle amicizie sparse in tutto il mon-
do, e approdata agli incarichi ufficiali di questi ultimi tempi — la
direzione per cinque anni di Venezia, l'Ente cinema —, ma vissuta
sempre con la leggerezza, l'ironia, l'entusiasmo, l'onestà, la fan-
ciullesca capacità di reinventarsi, la francescana semplicità di un
uomo che ha saputo vivere da ricco e da povero, che si è guada-
gnato il pane giocando a tennis e facendo film, che ha combattu-
to nella guerra partigiana e girato Caroselli, indifferente al dena-
ro, sempre coerente con un’ideologia più morale che politica.
Sembra un santino? Non lo è. Con Gillo, in dieci anni di ami-
cizia che rispetto alla sua lunga vita non sono granché, me ne ren-
do conto, ho avuto occasione di litigare e qualche volta di dirgli
che i suoi comportamenti mi avevano delusa. Ma resta l'allegria
che emana dalla sua persona — a testimonianza del fatto che una
bella vita porta felicità a chi la vive e a chi la segue da osservatore.
Il racconto di questi settantanove anni di Gillo potrà dunque
essere parziale o incompleto, ma lo è apposta. Sotto la terza per-
sona volevo che si sentisse la sua voce — con qualche “a parte” tut-
to mio. Sotto la biografia volevo che ci fosse la favola vera di una
vita. Sotto i ricordi volevo che uscisse quello che io penso sia un
insegnamento non da poco: che non importano tanto il successo,
i soldi, la fama (tutte cose che Gillo ha avuto e qualche volta per-
duto), ma la passione, l'entusiasmo, la capacità di vivere con in-
tensità le cose grandi e piccole della vita — dalla lotta di Liberazio-
ne ai narcisi un po’ scamuffi del suo collinoso terreno di Nazzano.
Roma, gennaio 1999 i.B.