Table Of ContentORIZZONTI TEORICI E INTERPRETATIVI, TRA PERCORSI DI MATRICE
FRANCESE, ARCHEOLOGIA POST-PROCESSUALE E TENDENZE ITALIANE:
CONSIDERAZIONI E INDIRIZZI DI RICERCA PER LO STUDIO DELLE NECROPOLI*
1. Orizzonti teorici e interpretativi
I presupposti teorici delle considerazioni che saranno svolte in queste
pagine sono stati da me illustrati nell’ambito di un recente articolo, in cui si
proponeva un quadro di sintesi su alcune tendenze attuali nell’interpretazio-
ne delle necropoli (CUOZZO 1996). Il punto di partenza è la valorizzazione
dell’emergere di un fenomeno di convergenza tra diversi filoni dell’archeolo-
gia europea che, a partire da tradizioni differenti, sono approdati a prospet
tive teoriche e metodologiche affini. Questa prospettiva sembra avvicinare,
soprattutto, da un lato una serie di studiosi – francesi, svizzeri, italiani, ecc. –
che si sono rivolti allo studio delle mentalità e dell’immaginario collettivo,
nel quadro di una ‘antropologia del mondo antico’, dall’altro, l’archeologia
post-processuale, nata in ambito britannico dalla critica radicale alla New
Archeology e al processualismo (CUOZZO 1996, p. 2).
La diversità di impatto in campo archeologico di questi due filoni è
dovuta alle differenti premesse e ai differenti obiettivi. Per quanto riguarda
gli studi di antropologia del mondo antico e di psicologia della storia, un
ruolo fondamentale è stato svolto dal Centre des recherches comparées sur les
sociétés anciennes, diretto da J.P. Vernant, sulla base del lavoro pionieristico
di L. Gernet, nell’ambito di un approccio socio-antropologico e storico di
stampo francese, le cui complesse basi teoriche hanno radici nella tradizione
sociologica, filosofica, storica, antropologica, linguistica di matrice struttu
ralista o struttural-marxista, nella psicologia della storia di I. Meyerson, nella
scuola storica delle «Annales» e acquistano accenti peculiari nel lavoro dei
diversi autori (soprattutto J.P. Vernant, P. Vidal Naquet, M. Detienne, A.
Schnapp, F. Lissarrague, C. Mossè, N. Loraux, F. Frontisi, A. Schnapp-
Gourbeillon ed altri) 1. Un ruolo rilevante va ascritto, inoltre, agli studi della
scuola di Losanna di C. Bérard (cfr. note 1-2).
In ambito italiano, secondo la prospettiva delineata in queste pagine,
sarà privilegiata la ricerca teorica portata avanti, in particolare, dalle scuole
campane, di Napoli e Salerno, orientata ad una feconda saldatura tra marxi-
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smo e strutturalismo, tra discipline del mondo antico e orizzonti socio-antro-
pologici nel quadro di un costante rapporto dialettico con diversi filoni di
matrice francese e di un importante dialogo tra archeologia, storia antica –
che ha conosciuto un primo interlocutore di grande apertura teorica socio
antropologica, nella figura di E. Lepore – ed altri ambiti teorici (sull’argo-
mento, D’AGOSTINO 1991, pp. 58-59; D’AGOSTINO, CERCHIAI, 1999; MONTE-
PAONE 1999, pp. 7-9) 2.
Le premesse di questo e numerosi altri indirizzi archeologici italiani
attuali sono da riconoscere sia nell’importante contributo di tradizione marxi-
sta-gramsciana, maturato, soprattutto a partire dal lavoro di R. Bianchi Bandi
nelli e dal dibattito nell’ambito di Dialoghi d’Archeologia (tra mondo classico,
preistoria, protostoria, storia antica, ecc.) – in modi e con esiti differenziati –
nel percorso scientifico di diversi studiosi, che sono da considerare all’origi-
ne di alcune delle principali “scuole” archeologiche oggi identificabili, sia nel
costante e costruttivo confronto con la ricerca storica che si avvale di più
referenti di rilievo (su tali argomenti, cfr. in particolare MANACORDA 1982;
D’AGOSTINO 1991; da ultimo TERRENATO 1998 con bibliografia; cfr. nota 4).
Se gli studi di antropologia del mondo antico e di psicologia della sto
ria hanno interessato molteplici temi riguardanti il mondo greco, in partico
lare Atene – dal mito alla concezione dell’uomo, alle forme di pensiero, dal-
l’uso del corpo all’uso dello spazio e dei monumenti, all’indagine sulle men
talità e i loro cambiamenti, alle forme e trasformazioni politico-economiche,
sociali, religiose – tuttavia, l’adozione di questo approccio in ambito specifi
camente archeologico è stata limitata a pochi settori specifici: le analisi ico-
nografico-iconologiche sulla imagérie del mondo antico, in particolare del
mondo classico (pittura vascolare o tombale; scultura; ecc.) o più raramente
gli studi di ideologia funeraria e interpretazione delle necropoli o sulla con
cezione e l’uso delle “forme spaziali” (cfr. note 1-2).
Secondo J.P. Vernant – che sembra sintetizzare già nel 1965, in modo
illuminante, i principali aspetti della prospettiva qui delineata ed anche molti
dei temi discussi, poi, dall’archeologia post-processuale – la finalità principa
le deve essere la ricerca sull’uomo, l’uomo antico, nell’ambito del suo conte
sto socio-culturale, «…di cui è il creatore e insieme il prodotto» e il tentativo,
attraverso le opere, di comprenderne il linguaggio, entrando in comunica
zione con «i contenuti mentali, le forme di pensiero e di sensibilità, i modi di
organizzazione del volere e degli atti» (VERNANT 1965; 3a ed. it. 1984, pp. 3-4).
In tale ottica, l’indagine sul passato si configura come una difficile con
quista di carattere interpretativo, da attuare attraverso un complesso lavoro
di lettura e decodificazione, alla ricerca dei molteplici linguaggi e dei codici
che presiedono all’immaginario sociale veicolato da ogni forma di cultura
materiale. Le potenzialità ermeneutiche in campo archeologico di tali ap
procci sono testimoniate da importanti edizioni di scuola francese e italiana
che si pongono su una linea teorico-metodologica affine (cfr. note 1-4): in
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primo luogo, per gli ambiti che si è scelto di privilegiare in queste pagine, le
letture dell’immaginario figurato attico nei vari contributi raccolti ne La Cité
des images (1984) o il simile approccio alla pittura italica di Pontrandolfo-
Rouveret (1982; 1992) ed etrusca di d’Agostino, Cerchiai (1999) o per l’uso
e la costruzione del passato il recente lavoro di A. Schnapp (1993). Nel cam
po degli studi di ideologia funeraria, un ruolo centrale nel panorama italiano
e una particolare apertura teorica connessa ad una posizione di tipo proble
matico già dagli anni ’70, devono essere attribuiti, in primo luogo, a B. d’Ago-
stino (in particolare, D’AGOSTINO 1977; 1985; 1990a; 1996; D’AGOSTINO,
SCHNAPP 1982; D’AGOSTINO c.s. con bibliografia; cfr. nota 2) 3. Sull’argomento
si tornerà più avanti.
A partire da un percorso e da obiettivi differenti, l’archeologia post
processuale, già nei testi programmatici di I. Hodder ed altri (M. Shanks, C.
Tilley, J. Barrett, ecc. o di autori di posizione affine come M. Leone) si è
esplicitamente e sistematicamente proposta come finalità la rilettura e la rie
laborazione teorica di tutti i campi della ricerca archeologica e l’avvio di una
riflessione critica dell’archeologia su sé stessa, sui suoi fondamenti epistemo
logici e tecnico-metodologici. Al neopositivismo della New Archaeology sono
stati contrapposti una apertura teorica alle scienze sociali e un accentuato
dibattito critico, sperimentando le suggestioni provenienti da molteplici re
ferenti di stampo filosofico e socio-antropologico, di volta in volta, esplicita
ti e discussi; tutto ciò secondo un percorso che dal neo-marxismo e dallo
strutturalismo, attraverso la “Teoria Critica” e la teoria sociale, porta alle
prospettive post-moderne dei diversi indirizzi post-strutturalisti, alle teorie
della “pratica” (practice) e dell’“azione sociale” (agency), all’ermeneutica,
alla fenomenologia (in particolare, HODDER 1986; 1999, con bibliografia;
SHANKS-TILLEY 1987; LEONE et al. 1987; BARRETT 1988; TILLEY 1990; MORRIS
1994; JOHNSON 1999; in sintesi, CUOZZO 1996).
Pertanto se è vero che il post-processualismo britannico ha spesso ri
preso e rivisitato ambiti teorici (soprattutto marxismo, strutturalismo e filoni
da essi derivati) le cui potenzialità interpretative erano già state esplorate e
dibattute da tempo in altri paesi europei, l’importanza di questa tendenza
anglofona è nello sviluppo sistematico delle possibilità e suggestioni offerte
da questa complessità di apporti teorico-metodologici, nella prospettiva di
una archeologia compiutamente storico-sociale «bridging humanity and
science» (HODDER 1999, pp. 20 ss.).
Il clima di convergenze non occasionali tra diversi filoni europei – già
sottolineato da vari autori delle diverse scuole (in particolare: HODDER 1986;
SHANKS 1995; 1999; MORRIS 1995; D’AGOSTINO, CERCHIAI 1999) – appare evi
dente non solo nelle scelte teoriche ma anche nell’affermazione di un ap
proccio problematico e interpretativo alla ricerca archeologica e nella condi
visione – con accenti e caratteristiche peculiari in ciascun filone – di numero
se tematiche: la centralità del contesto storico e sociale; il rapporto tra strut-
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tura e ideologie; i linguaggi simbolici e i codici di simbolizzazione; l’immagi-
nario collettivo e le forme di comunicazione sociale; lo studio delle mentali
tà; il ruolo attivo delle varie forme di cultura materiale nella costruzione
sociale, ecc.
Per quanto riguarda l’archeologia post-processuale, gli argomenti prin
cipali affrontati tra gli anni ’80 e ’90, possono essere così sintetizzati:
– le modalità di azione delle ideologie, le forme di potere e di legittimazione,
le strategie di resistenza e di negoziazione sociale;
– il ruolo attivo della cultura materiale;
– il rapporto tra struttura, pratica sociale e individuo come agente sociale
attivo; il dibattito sull’agency e sul suo ruolo negli studi sulla cultura materia
le, sull’uso dello spazio, sulla produzione, riproduzione e il cambiamento
sociale;
– la lettura della cultura materiale e l’indagine sul processo di significazione
(«Material culture as a text»), tra strutturalismo e post-strutturalismo;
– la tematica del gender nelle società del passato e del presente;
– il rapporto tra dimensione contestuale, storia e archeologia;
– la riflessione critica sul rapporto tra passato e presente, sulla costruzione
sociale del passato, sui temi del linguaggio e della scrittura archeologica; il
dibattito sul ruolo dell’archeologia nella società attuale, sull’impegno politi
co e sociale dell’archeologo (value commitment) e sull’apertura ad altre voci
in archeologia (archeologie indigene o delle minoranze etniche; archeologia
femminista; ecc.);
– la riflessione avviata negli anni ’90, ispirata da un lato alle teorie della
practice (P. Bourdieu; A. Giddens; ecc.) e a vari orizzonti post-strutturalisti,
dall’altro alla fenomenologia, con l’attenzione all’uso del corpo (Archaeology
of body and practice), alla sfera delle percezioni e del campo emotivo (in
sintesi: HODDER 1999, con bibliografia; HODDER, PREUCEL 1996; CUOZZO 1996;
TERRENATO 1998).
In particolare, le tendenze più recenti hanno privilegiato sia temi con
nessi alla costruzione delle identità – nei campi sociale, etnico, di genere,
ecc. –, ai linguaggi simbolici, alle modalità di funzionamento della pratica o
dell’azione nel modellare e perpetuare l’universo sociale attraverso l’uso del
lo spazio, del tempo, del corpo umano come «potente strumento di comuni
cazione», sia aspetti legati al versante delle percezioni ed alla “fenomenolo
gia del paesaggio” (ad esempio, SHANKS 1995; THOMAS 1991; 1996; PARKER
PEARSON 1999; JONES 1997; il dibattito in HALL 1998; VAN DOMMELEN 1998;
DÍAZ-ANDREU 1998).
Tuttavia, più che ripercorrere le direzioni teoriche dell’archeologia post
processuale, come si è detto, da me discusse di recente (CUOZZO 1996), inten
do soffermarmi su alcune questioni e alcuni indirizzi problematici di ricerca
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che si sono rivelati notevolmente importanti nel campo dell’interpretazione
delle necropoli e, in particolare, per lo studio del caso archeologico proposto
più avanti: le necropoli orientalizzanti di Pontecagnano (CUOZZO 1994a; c.s.).
1.1 IL RUOLO ATTIVO DELLA CULTURA MATERIALE
La prima questione – il ruolo attivo della cultura materiale – rappre
senta uno dei punti di partenza e di arrivo più importanti del lavoro di I.
Hodder e del dibattito all’interno dell’archeologia post-processuale (in parti
colare, HODDER 1982a; 1982b; 1986; 1999; SHANKS, TILLEY 1987; BARRETT
1988; TILLEY 1990; SHANKS 1999; PARKER PEARSON 1982; 1993; 1999; CUOZ-
ZO 1996).
La cultura materiale, in tutte le sue forme, è considerata non soltanto
come prodotto, ma soprattutto come componente prioritaria della costru
zione sociale e della acculturazione pratica attraverso le potenti metafore
della comunicazione non verbale. Se è vero che la ripetizione continua della
simbologia materiale nelle routines delle pratiche quotidiane/sociali/rituali
ha un ruolo fondamentale nel perpetuare il controllo dell’organizzazione
spazio-temporale, conferendo potere e legittimazione, tuttavia, il mondo
materiale costituisce anche una sede privilegiata di negoziazione, rielabora
zione o resistenza e può acquistare un ruolo fondamentale nell’affermazione
di differenti mentalità, identità, ideologie (per il background teorico, cfr., in
sintesi: CUOZZO 1996, pp. 12-18).
1.2 COMPRESENZA DI PIÙ IDEOLOLOGIE ALL’INTERNO DELLO STESSO CONTESTO
La seconda questione – strettamente connessa alla prima – riguarda il
ruolo delle ideologie e, soprattutto, la possibilità della coesistenza di più ideo
logie nell’ambito dello stesso contesto. La compresenza di differenti ideolo
gie problematizza l’evidenza archeologica e comporta la possibilità della coe
sistenza di modi di rappresentazione conflittuali nella cultura materiale, rive
lando dinamiche complesse, fluide e multiformi, di carattere rituale, politi
co, sociale, etnico, di genere o connesse a specifiche condizioni individuali
che sembrano trovare espressione talvolta in modo contrastante o, addirittu
ra, fuorviante. Non a caso qui si utilizza il plurale, parlando di ideologie
piuttosto che di ideologia.
Su questo argomento già da tempo si è espressa l’antropologia di ma
trice struttural-marxista, simbolica e post-strutturalista e, più di recente, in
campo archeologico vari studiosi di ambito post-processuale hanno conside
rato la cultura materiale come strumento attivo del confronto e/o del conflit
to tra più ideologie in competizione prodotte da diversi “gruppi di interes
se”: all’ideologia del gruppo o dei gruppi dominanti si contrappongono quelle
dei subalterni o di altri ceti/classi d’età/ generi che costituiscono la propria
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identità o premono per una promozione sociale, nell’ambito di complesse
dinamiche di potere e/o negoziazione o resistenza.
Tale posizione si distingue da quella del marxismo classico connetten
dosi, piuttosto alla riflessione teorica di Althusser, di Gramsci, della Scuola
di Francoforte, di vari filoni antropologici cd. struttural-marxisti (sull’argo-
mento, GODELIER 1999), simbolici o interpretativi (C. Geertz), della teoria
sociale (della pratica e dell’azione sociale) da Weber a Bourdieu, F. Barth e A.
Giddens (in sintesi, HODDER 1986; MILLER et al. 1989; MCGUIRE, PAYNTER
1991; CUOZZO 1996).
In questa ottica, uno stesso oggetto/rituale/comportamento può essere
investito di significati completamente diversi anche all’interno dello stesso
contesto e il suo significato è ambiguo e polivalente, può essere letto e riela
borato in molteplici direzioni. La possibilità di rintracciare più ideologie e
modi rappresentazione tra loro in contraddizione nello studio della cultura
materiale apre nuove prospettive ma propone anche ulteriori problemi.
Lo studio del costume funerario rappresenta un esempio illuminante.
In primo luogo è necessario verificare se, in base al/ai sistemi di valori vigenti
in quel contesto, sia o meno attribuita priorità ad aspetti della composizione/
stratificazione sociale o, al contrario, siano altri fattori ad essere privilegiati
(per es., di tipo politico; privato; religioso; ecc.); in secondo luogo andranno
indagate le modalità di azione delle ideologie.
Gli effetti di inversione e mistificazione provocati dalla contempora
nea presenza di ideologie diverse all’interno di un medesimo contesto sepol
crale sono stati dimostrati in modo eclatante da Parker Pearson (1982) nella
sua analisi etnoarcheologica sul costume funerario moderno di Cambridge:
all’ideologia egalitaria ed al carattere privato del lutto espressi dalle sepoltu
re della gran parte della società britannica contemporanea si contrappongo
no le diverse ideologie funerarie di minoranze sociali e/o etniche, in primo luo
go, in modo vistoso e fuorviante, l’appariscente comportamento di componenti
discriminate e marginali come gli zingari, che sembra aderire esclusivamente
a dinamiche interne al gruppo (per risultati simili in Italia, Guidi et al. 1995).
Un secondo aspetto del problema riguarda le modalità di azione delle
ideologie: le tre possibilità identificate da A. Giddens nelle strategie sociali 1.
negazione, 2. rappresentazione parziale di sezioni sociali, 3. naturalizzazio
ne, non vanno considerate necessariamente alternative ma possono identifi
care, all’interno dello stesso contesto, l’azione contraddittoria di più gruppi
o segmenti sociali (sull’argomento, CUOZZO 1996, p. 24, con bibliografia).
Nel primo caso, se l’ideologia dominante è diretta alla negazione nel costu
me funerario della stratificazione e/o del conflitto all’interno della società,
cioè sotto l’azione di ideologie di tipo egualitario – come sembra dimostrato,
per esempio, per Roma e il Lazio o per Atene nel V sec. a.C. (COLONNA 1977a;
D’AGOSTINO 2000; MORRIS 1999) – in assenza di altra documentazione, le
necropoli non possono restituire informazioni sui rapporti sociali.
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Nel secondo caso, quando gli interessi di uno o più gruppi siano rap
presentati come universali, il costume funerario può essere diretto, in vari
modi, alla distorsione dei rapporti sociali vigenti: un buon esempio è fornito
dall’importante questione della rappresentatività demografica e/o sociale delle
necropoli e delle strategie funerarie discriminate che riservano il Formal Burial
solo a determinati soggetti sulla base della classe d’età e/o del genere e/o della
condizione sociale. Questo problema, già proposto da alcuni studi di paleo
demografia, è stato introdotto nella discussione archeologica da Morris (1987;
1999): la rilettura dei sepolcreti di Atene e dell’Attica tra il periodo sub
miceneo e l’età arcaica porta ad ipotizzare che in alcune fasi cronologiche
fossero operanti rigidi meccanismi di selettività nell’accesso alla sepoltura
formale destinata a circa un quarto della componente adulta come esito di
«un sistema funerario che divideva la popolazione tra una élite visibile e un’am-
pia maggioranza invisibile» (MORRIS 1995, p. 53; WHITLEY 1991; D’AGOSTINO,
D’ONOFRIO 1993).
Strategie funerarie che prevedono la segregazione spaziale sulla base
del genere e limitazioni nel corredo per la componente femminile sono state
di recente descritte, per esempio, da Parker Pearson (1993). Al contrario, in
altri contesti, complessi rituali archeologicamente invisibili o che implicano
un completo scarto di comportamento rispetto alla norma possono distin
guere il vertice della gerarchia sociale (D’AGOSTINO 1977; 1985; PARKER PEARSON
1982; 1993; GUIDI et al. 1995). Nella terza possibilità identificata da Giddens,
infine, le ideologie sono dirette alla naturalizzazione del sistema di relazioni
sociali esistente che appare rappresentato, pertanto, in modo formalizzato e
immutabile, come se si trattasse di una legge naturale (CUOZZO 1996, p. 24).
Un ulteriore campo di «produzione ideologica» – ampiamente indaga
to nell’archeologia classica o negli studi di etruscologia – riguarda la legitti
mazione del presente attraverso la creazione e idealizzazione del passato che
può utilizzare come tramite privilegiato la costruzione del culto degli antena
ti e della memoria storica (cfr. per esempio, BÉRARD 1970; i contributi in
GNOLI, VERNANT 1982 in CRISTOFANI 1987 e in RUBY 1999; COLONNA 1977b;
CARANDINI 1997; TORELLI 1997; GRECO 1999; MORRIS 1999; D’AGOSTINO 1977;
1996; 2000).
1.2 DINAMICHE DI RESISTENZA
Uno dei problemi principali nello studio dei fenomeni di resistenza o di
negoziazione da parte di gruppi marginali o subalterni è il grado di visibilità
che privilegia, naturalmente, i segni delle ideologie dominanti. Tuttavia è
proprio l’analisi della cultura materiale quotidiana restituita dai contesti ar
cheologici che rivela notevoli potenzialità per l’indagine sulle manifestazioni
archeologiche delle dinamiche dominio/resistenza attraverso la manipolazio
ne simbolica e il ruolo attivo della cultura materiale (per esempio, HODDER
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1982a; 1982b; 1982c, 1986; MILLER et al. 1989; MCGUIRE, PAYNTER 1991,
con bibliografia; VAN DOMMELEN 1998).
Importanti studi antropologici recenti, soprattutto di matrice neo-marxi-
sta, gramsciana o struttural-marxista, hanno esaminato le diverse forme che
tali strategie possono acquisire, distinguendo soprattutto due casi: 1. la resi
stenza quotidiana – strettamente connessa al concetto di negoziazione – che
non implica il confronto diretto, ma alimenta – talvolta in modo inconscio –
la costruzione di ideologie alternative attraverso la manipolazione dei signi
ficati degli oggetti e/o degli usi, modificando tratti apparentemente insignifi
canti o poco visibili dei comportamenti o tramite forme di conservatorismo
o atteggiamenti indiretti o sotterranei di negazione e rifiuto; 2. la resistenza
aperta al sistema dominante sotto forma di lotta politica di vario genere. Il
primo tipo di “resistenza” costituisce di solito la base per la costruzione della
seconda (ad esempio, SCOTT 1985; MCGUIRE, PAYNTER 1991).
Un esempio illuminante – poiché si basa sull’analisi di uno degli oggetti
quotidiani privilegiati in archeologia, cioè la ceramica comune, e sull’impor-
tanza del ruolo della donna nell’acculturazione pratica – è fornito da una
serie di studi sugli schiavi di origine africana in Nord-America. Tali ricerche
hanno dimostrato come in alcuni contesti coloniali, la fabbricazione, l’uso
costante ed esclusivo da parte degli schiavi di ceramica da mensa di stile
africano, in argilla grezza, caratterizzata da uno stile semplice e uniforme (e/o
la costruzione di oggetti e utensili in altri materiali) e, pertanto, da un lato la
mancata adesione al costume dei bianchi, in un ambito domestico apparente
mente marginale, dall’altro la celebrazione di vincoli reciproci tra gruppi
africani di diversa origine, abbiano costituito una potente forma di resistenza
culturale – inconscia – trasmessa, come tramite privilegiato, dalle donne ai
bambini nelle routines quotidiane fin dalla nutrizione della prima infanzia.
Questa forma di resistenza quotidiana avrebbe svolto, nel lungo periodo, una
funzione fondamentale nella costruzione di identità e nella formazione di
una ideologia alternativa a quella dominante (FERGUSON 1991, con bibliogra
fia).
1.4 COSTRUZIONE DI IDENTITÀ E COMPONENTI ETNICHE
Altri aspetti potenzialmente rivelati dalla coesistenza di più ideologie
nell’ambito dello stesso contesto e talvolta intrecciati con fenomeni di resi
stenza, sono le articolate dinamiche legate alla costruzione di identità di ca
rattere sociale e/o etnico: tuttavia, la problematica connessa alla possibilità o
meno di riconoscere eventuali indicatori etnici nella cultura materiale pre
senta caratteri di estrema complessità, esponendo facilmente al rischio di
riproporre spiegazioni di tipo storico-culturale o diffusionista.
Sembra utile soffermarsi, pertanto, su due punti al centro della discus
sione in ambito archeologico: la definizione e i limiti del concetto di etnicità;
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il ruolo dell’archeologia e, in primo luogo, degli studi di ideologia funeraria,
nell’identificazione di identità etniche del passato.
Nell’ambito più vasto del dibattito all’interno delle scienze sociali e
storiche, il tema etnico è ritornato con urgenza al centro dell’interesse nel
corso degli ultimi anni, in conseguenza dei più recenti avvenimenti di politi
ca internazionale (BARTH 1969; AMSELLE 1990; 1999; cfr. la sintesi in Fabietti
1995, con bibliografia). Simili questioni, d’altronde, hanno anche costituito
uno degli argomenti del confronto scientifico in molti altri ambienti e, in
particolare, nell’archeologia e storia antica italiana tra gli anni ’70 e ’80 o
anche in anni più recenti. Dei diversi settori e ambiti cronologici indagati, gli
aspetti che qui interessano più da vicino sono connessi da un lato alle com
plesse dinamiche di coesistenza etnica, colonizzazione, etnogenesi, confine,
frontiera, nella storia del popolamento della Campania e dell’Italia meridio
nale, dall’altro ai fenomeni di convivenza e mobilità in Etruria, a Roma, nel
Lazio e in altre zone dell’Italia arcaica 4. Un ampio bilancio critico su tali
argomenti è stato tracciato, di recente, dalla discussione in Confini e frontie
ra (1999; cfr. i lavori citati a nota 4, con bibliografia precedente).
Sulla base di presupposti diversi, che privilegiano in primo luogo
orizzonti di carattere antropologico e comparativo, un recente confronto tra
archeologi e antropologi si è sviluppato in ambito anglofono (soprattutto,
Jones 1997; HALL 1997, con bibliografia; HALL 1998; DÍAZ-ANDREU 1998;
VAN DOMMELEN 1998).
I differenti filoni del dibattito citati, partendo da diversi backgrounds,
arrivano a conclusioni affini, che implicano il rifiuto della considerazione del
fenomeno etnico in termini biologici o di origini e, al contrario, l’affermazio-
ne di un approccio socio-politico e storico al problema: l’identità etnica è
considerata frutto di un complesso processo di formazione, costruzione, tra
sformazione. In particolare, approcci socio-antropologici di posizione cd.
“strumentalista” e interpretativa hanno sottolineato i caratteri ambigui, mul
tiformi, fluidi in continuo processo di cambiamento delle identità etniche e
la costante negoziazione con altre componenti di tipo sociale e soggettivo
(cfr. il dibattito in HALL 1998 e nota 4).
Di notevole importanza appare la definizione della natura contrastiva
dell’identità etnica (contrastive identity) che sembra costituirsi e acquistare
visibilità solo tramite l’opposizione ad altre identità (a partire da BARTH 1969).
In tali ambiti, pertanto, l’etnicità è stata considerata, in primo luogo, come
una costruzione socio-culturale, soggettivamente percepita e di carattere prin
cipalmente discorsivo, che utilizza attivamente il simbolismo della cultura,
del linguaggio, della parentela, della discendenza da origini comuni nel per
seguire un comune interesse (in sintesi, FABIETTI 1995; in particolare, BARTH
1969; AMSELLE 1990; 1999; JONES 1997; HALL 1998).
Tralasciando in questa sede di approfondire i complessi problemi teori
ci sottesi alla definizione del fenomeno etnico o, anche, le differenze di ap-
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proccio tra i diversi filoni citati, sembra utile piuttosto soffermarsi sul secon
do tema riproposto dalla recente discussione in ambito anglofono, cioè, il
ruolo dell’archeologia nell’identificazione di identità etniche del passato che
è stato negato da alcuni, in assenza di altro tipo di documentazione (HALL
1997). Per altri, l’uso attivo della cultura materiale è da considerare tra i
diversi aspetti cui va attribuito un ruolo strutturante nel processo di costru
zione delle identità etniche (MORRIS 1998) e della loro riproduzione nella
pratica sociale (habitus di P. Bourdieu) anche se i caratteri fluidi e polimorfi
di tali identità, la continua negoziazione con altre componenti rendono diffi
cile o fuorviante l’indagine archeologica (JONES 1997; DÍAZ-ANDREU 1998).
Una posizione in parte diversa sottolinea come il processo di costruzione
delle identità etniche possa comportare l’uso cosciente, volontario e attivo di
segni materiali come diacritical markers che, in questi casi, possono trovare
riscontro a livello archeologico (SHENNAN 1989). Altri esempi, come si è vi
sto, svelano, invece, un uso attivo della cultura materiale in forma meno
cosciente, prepolitica, all’interno di compositi legami tra fenomeni di resi
stenza sociale, di tipo quotidiano e componenti etniche (per esempio,
MCGUIRE, PAYNTER 1991; FERGUSON 1991); un complesso intreccio tra com
ponenti etniche e sociali e forme più o meno accentuate di marginalità sem
bra presiedere alle dinamiche identificate nel comportamento funerario delle
minoranze dalla già citata analisi etnoarcheologica di Parker Pearson (1982).
Pertanto, se la presenza, l’accentuazione o la costruzione di eventuali
indicatori etnici nella cultura materiale e nella rappresentazione funeraria
dipende, ancora una volta, esclusivamente dal scelte contestuali, di tipo più o
meno cosciente o competitivo, da parte di gruppi o segmenti sociali o della
collettività, la possibilità di riconoscere segni connessi alla costruzione o rie
laborazione di identità sociali o etniche nella documentazione archeologica –
secondo la linea indicata sia dagli studi sui complessi fenomeni di etnogenesi,
per esempio in Campania e in Italia meridionale sia dalle suggestioni offerte
dalla ricerca etnoarcheologica e antropologica – dipende, in primo luogo,
dalla possibilità di lettura della polisemia dei contesti. Linee di ricerca privi
legiate appaiono, dunque, l’indagine su tutti gli aspetti connessi alla compre
senza di più ideologie nello stesso contesto, l’analisi dell’uso attivo, ambiguo,
polivalente dei simboli materiali, all’interno di dinamiche contrastive e op
positive tra sistemi strutturati di segni, la complessa dialettica tra forme quo
tidiane di negoziazione e/o resistenza, nella “pratica” sociale, fenomeni di
rifunzionalizzazione e acquisizione o di apparente conservatorismo, persi
stenza, negazione, rifiuto (cfr. nota 4 e il dibattito in HALL 1998).
1.5 DINAMICHE DI GENERE
Un ulteriore direzione di indagine è suggerita dal dibattito sulla costru
zione sociale del genere, sulle complesse dinamiche maschile/femminile/in-
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Description:gli studi di antropologia del mondo antico e di psicologia della storia, un corrispondenza del centro abitato attuale e la necropoli orientale, in loc. che tende a privilegiare l'uno o l'altro aspetto (LÉVI-STRAUSS 1958; LEACH.