Table Of ContentGiinther Anders
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L uomo è antiquato
Sulla distruzione della vita
nell'epoca della terza rivoluzione industriale
Bollati Boringhieri
Prima edizione marzo 1992
© 1992 Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, corso Vittorio Emanuele 86
Tutti i diritti riservati
Stampato in Italia dalla Stampatre di Torino
CL 61-9613-6 ISBN 88-339-0653-1
Titolo originale Die Antiquiertheit des Menschen. II. Uber die Zerstorung des Lebens im Zeitalter
der dritten industriellen Revolution
© 1980 C. H. Beck'sche Verlagsbuchhandlung (Oscar Beck), Miinchen Nachdruck 1987 der 4.,
unverlinderten Auflage der Originalausgabe
Traduzione di Maria Adelaide Mori
Schema grafico della copertina di Pierluigi Cerri
L'uomo è antiquato, Sulla distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale / Giinthcr
Anders. -Torino : Bollati Boringhieri, 1992
VIII, 428 p. ; 22 cm. - (Nuova Cultura ; 18)
l. ANDERS, Gtinthcr
l. PROGRESSO TECNICO. Effetti sociali
CDD 303.483
(a cura di S. & '/'. · Torino)
Indice
3 Prefazione
9 Introduzione. Le tre rivoluzioni industriali
L'apparenza
Il materialismo
I prodotti
Il mondo umano
La massa
Il lavoro
99 Le macchine, I
105 Le macchine, 11
u6 L'antropologia filosofica
119 L'individuo
Le ideologie
Il conformismo
La frontiera
193 Il privato
227 Il morire
229 La realtà. Tesi per un simposio sui mass media
239 La libertà
251 La storia, I. La tecnica come soggetto della storia
VI Indice
277 La storia, n. La modernità è antiquata
286 La storia, III. Il mondo sirenico
293 La fantasia
310 Il «giusto»
311 Il tempo e lo spazio
330 La serietà. Sugli happenings
336 Il «senso»
364 L'uso
367 Il non-potere
369 Il male
383 Riflessioni metodologiche conclusive
401 Note
L'uomo è antiquato
Cambiare il mondo non basta. Lo facciamo comunque.
E, in larga misura, questo cambiamento avviene persino
senza la nostra collaborazione. Nostro compito è anche
d'interpretarlo. E ciò, precisamente, per cambiare il cam
biamento. Affinché il mondo non continui a cambiare
senza di noi. E, alla fine, non si cambi in un mondo senza
di noi.
AVVERTENZA
Nel testo e nelle note i riferimenti al primo volume della presente opera s'in
tendono a G. Anders, Die Antiquiertheit des Menschen, vol. 1, Uber die Seele
im Zeitalter der zweiten industriellen Revolution, Beck, Miinchen 1956; trad. it.
L'uomo è antiquato. Considerazioni sull'anima nell'èra della seconda rivoluzione
industriale, Il Saggiatore, Milano 1963 (sempre abbreviato L'uomo è antiquato, 1).
I riferimenti a detti e fatti «molussici» rinviano a un'opera inedita di Giin
ther Anders, Die molussische Katakombe (La catacomba molussica), che descri
veva la meccanica del fascismo attraverso le favole, storie e massime tramandate
da una generazione ali'a ltra di prigionieri chiusi in un sotterraneo dell'immagi
nario paese di Molussia. Il manoscritto, già pronto per la pubblicazione ali' av
vento di Hitler, sfuggì fortunosamente alla censura nazista e, tornato in possesso
dell'autore in esilio a Parigi, fu da lui ampliato fino a raggiungere le 600 pagine.
Prefazione
Questo secondo volume di L'uomo è antiquato è, così come il primo,
una filosofia della tecnica. Più precisamente: un 'antropologia filoso
fica nell'èra della tecnocrazia. E per «tecnocrazia» non intendo il domi
nio dei tecnocrati (come, ad esempio, un gruppo di quegli specialisti
che dominano oggi la politica), ma il fatto che il mondo, nel quale
oggi viviamo e in cui tutto si decide sopra le nostre teste, è un mondo
tecnico; al punto che non possiamo più dire che, nella nostra situazione
storica, esiste tra l'altro anche la tecnica, bensì dobbiamo dire: la storia
ora si svolge nella condizione del mondo chiamata «tecnica»; o meglio,
la tecnica è owai diventata il soggetto della storia con la quale noi siamo
soltanto «costorici».
1
Il libro tratta dei cambiamenti che, a causa di questo stato di cose,
hanno subìto e continuano a subire sia gli individui singoli che l'uma
nità nel suo insieme. Tali cambiamenti riguardano tutte le nostre atti
vità e passività, il lavoro come I' ozio, i nostri rapporti interpersonali
e persino quelle che chiamiamo categorie aprioristiche. Chi, oggi anco
ra, sostiene la «modificabilità dell'uomo» (così come faceva Brecht) è
una figura di ieri, perché noi siamo mutati. E questo esser mutati
è così fondamentale, che chi parla oggi del suo «essere» (come, ad
esempio, faceva ancora Scheler) è una figura dell' altroieri.
Nondimeno, se nel disegnare il ritratto dell'uomo contemporaneo
io ritengo di raffigurare non soltanto l'uomo di oggi ma anche quello
di domani e di dopodomani, e dunque di fare, in un certo senso, un
«ritratto definitivo», non è per arroganza - al contrario: sono ben
consapevole della frammentarietà della mia opera -, ma perché la fase
che descrivo, cioè quella della tecnocrazia, è essa stessa definitiva e
Prefazione
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irrevocabile; dato che questa fase, anche se non dovesse portare, un
giorno o l'altro, alla «fine dei tempi» (come tutto lascia pensare), nep
pure potrà essere seguita da una fase successiva, ma sarà e rimarrà
per sempre un «tempo finale».2 Il che significa che noi uomini
rimarremo costanti in questo nostro «essere» di recente acquisito. Dico
«di rÂcÂnt acquisito», pÂrché questa «costante» non è un dato della
nostra «natura» umana ma uno stato artificiale in cui noi uomini
abbiamo finito per cacciarci, cosa di cui siamo stati capaci solo per
ché la capacità di cambiare il nostro mondo (anzi, non soltanto il
nostro, ma il mondo in generale) e noi stessi, appartiene paradossal
mente alla nostra «natura».3
Affermo dunque: questo volume è una filosofia della tecnica. Una
tale affermazione suona, forse, come se io stessi annunciando un
sistema: cosa di cui non è assolutamente possibile parlare se per
«sistema» s'intende una cornice entro la quale si sistemano, in un
secondo tempo, quei fatti empirici che vi sono scivolati dentro in modo
più o meno scorrevole. I fatti empirici, per me, sono sempre stŧti dei
punti di partenza e per ognuna delle riflessioni che sviluppo qui di
seguito vale ciò che avevo già detto per le riflessioni del primo volume:
che esse sono una «filosofia occasionale»; che io sono sempre partito
da esperienze precise, si tratti dell'esperienza di lavoro alla catena
di montaggio o di quella vissuta nelle aziende automatizzate, o di quella
fatta negli stadi sportivi e così via. In realtà, questo carattere en plein
air del mio teorizzare, lontano da ogni costruzione, è la sua carŧtteri
stica, e sulla base di questo io spero di poter controbilanciare il fatto
di trascurare la lÂttÂratura specialistica in materia.
Tuttavia, nonostante il carattere se si vuole impressionistico di
queste mie ricerche, e nonostante il fatto che mai, in nessun momento,
ho cercato d'inventare qualcosa, ma sempre e soltanto di trovare qual
cosa, e che mai ho messo alla base delle mie singole osservazioni o
tesi uno schema di costruzione elaborato (cioè, uno schema di pre
giudizi); nonostante tutto questo, non potrei proprio affermare che
le mie ricerche siano del tutto asistematiche. La loro connessione con
tinua non è mai progettata, è piuttosto una «sistematica après coup».
Se, come credo, nessuna delle tesi presentate qui contraddice anche
una soltanto delle molte altre, anzi ognuna sostiene ogni altra, ciò
non accade perché io abbia voluto anticipare un' «armonia prestabi-