Table Of ContentA oltre mezzo secolo dalla sua morte, è possibile parlare di Mussolini con asettica
obiettività? Arrigo Petacco raccoglie la sfida e ricostruisce la straordinaria vicenda del
«figlio del fabbro» facendola emergere dal fitto polverone di esaltazione e di
denigrazione nel quale è stata sempre avvolta. Non si tratta dell'ennesima biografia di
Mussolini, ma di una scelta accurata degli episodi più significativi della sua parabola
politica, ricostruiti grazie a numerose testimonianze raccolte in archivi pubblici e privati,
fra cui spicca quella del tutto inedita della figlia Edda. Con la consueta agilità di scrittura,
l'autore ripercorre in un'avvincente carrellata gli anni della giovinezza del Duce, dal
sogno rivoluzionario agli amori burrascosi, all'attività di giornalista e di scrittore. Rievoca
poi i principali avvenimenti di cui, una volta conquistato il potere, fu l'indiscutibile
protagonista: dal caso Matteotti al Concordato con la Chiesa, dalle grandi riforme
economiche alle imprese militari, per giungere nel 1938 a quella Conferenza
internazionale di Monaco che lo fece assurgere al rango di grande statista, ma segnò
anche l'inizio della sua inarrestabile caduta.
Arrigo Petacco (Castelnuovo Magra, La Spezia 1929) vive abitualmente a Portovenere
Giornalista, inviato speciale, ha collaborato a «Grazia», «Epoca», «Panorama»,
«Corriere della Sera», «Il Tempo», «Il Resto del Carlino». È stato inoltre direttore
direttore di «Storia Illustrata» e «La Nazione». Ha sceneggiato alcuni film e realizzato
numerosi programmi televisivi di successo. Nei suoi libri affronta i grandi misteri della
storia, ribaltando spesso verità giudicate incontestabili. Nella collezione Oscar troviamo:
L'amante dell'imperatore. Ammazzate quel fascista!, L'anarchico che venne dall'America,
L'archivio segreto di Mussolini, L'armata nel deserto, Le battaglie navali del Mediterraneo
nella Seconda guerra mondiale, Il comunista in camicia nera, La Croce e la Mezzaluna,
L'esodo Faccetta nera, Joe Petrosino, La nostra guerra 1940-1945, Il prefetto di ferro, I
ragazzi del '44, Regina, La regina del Sud, La signora delta Vandea, Il Superfascista.
ART DIRECTOR GIACOMO CALLO
PROGETTO GRAFICO VALENTINA CANTONE
IN COPERTINA MUSSOLINI DURANTE UN DISCORSO AGLI ITALIANI
FOTO CENTRO DOCUMENTAZIONE MONDADORI
Oscar storia
Arrigo Petacco
L'uomo
della Provvidenza
Mussolini, ascesa e caduta di un mito
OSCAR MONDADORI
© 2004 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano I edizione Le Scie ottobre 2004
I edizione Oscar storia aprile 2006
ISBN 978-88-04-55393-9
Questo volume è stato stampato
presso Mondadori Printing S.p.A.
Stabilimento NSM - Clés (TN)
Stampato in Italia. Printed in Italy
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INDICE
L'uomo della Provvidenza
INDICE
L'UOMO DELLA PROVVIDENZA
I Possiamo definirlo «grande»?
II Il giorno più bello
III «Ho bisogno di essere qualcuno»
IV Tre destini incrociati
V Dittatore per caso?
VI Quattro attentati
VII Ai ferri corti con la mafia
VIII Il gulag del regime
IX Il Concordato
X Gli anni del consenso
XI Il maestro e l'apprendista
XII L'ultima illusione
XIII Il male assoluto
XIV La carta sbagliata
XV Il mistero del carteggio
Bibliografia
Referenze fotografiche
Indice dei nomi
L'UOMO DELLA PROVVIDENZA
A Paolo
I
POSSIAMO DEFINIRLO «GRANDE»?
Ora che, dopo avere proiettato la sua ombra inquietante su tutto il XX secolo,
è stato finalmente sdoganato dall'attualità e collocato nella storia, ora che ci è
consentito trattarlo in maniera asettica, come Cavour, Crispi o Giolitti, senza
lasciarci sopraffare dalle emozioni, possiamo trovarci d'accordo nel dire che
Benito Mussolini fu, nel bene e nel male, un grande uomo, un grande
rivoluzionario, un grande politico, un grande statista? Nessun italiano, prima e
dopo di lui, ha mai suscitato tanto entusiasmo, tanto isterismo, tanta speranza,
tanto orgoglioso patriottismo e tanto dolore. Nessun italiano è stato più amato e
più rinnegato, nessuno ha lasciato dietro di sé tanto amore, tanto odio e tanta
rovina.
La grandezza di Mussolini è connessa con tutti questi eccessi. Figlio di se
stesso, senza maestri e senza modelli, demagogo e redentore, tattico e
opportunista, egli si staglia gigantesco fra gli italiani del suo tempo. Storia
nostrani e stranieri, questi ultimi forse più noti in Italia che a casa loro, si
affannano da decenni per ridicolizzarlo sottolineando le sue debolezze, le sue
vanterie, il suo narcisismo e la sua megalomania, ma evitano di spiegare come
un uomo di tal fatta sia riuscito a farsi gioco in un paio d'anni dell'intera classe
dirigente italiana, ad affascinare per quasi vent'anni milioni e milioni di
connazionali e a conquistarsi il rispetto, se non l'ammirazione, delle personalità
più importanti del suo tempo sia in Italia che nel resto del mondo. Qual era
dunque il suo segreto?
Rivoluzionario, socialista, pacifista, interventista, repubblicano, monarchico, e
infine Duce e condottiero, egli si distingue da Lenin, da Hitler e dagli altri
dittatori del suo tempo proprio per questa sua funambolica capacità di
trasformarsi. Quelli conquistarono il potere fidando su incrollabili certezze e
obbedendo a schemi precedentemente stabiliti, lui lo conquistò mutando i suoi
programmi in corso d'opera con la disinvoltura di un esperto giocoliere. Mai un
concorrente ebbe l'ardire di misurarsi con lui e la sua rivoluzione, a differenza
delle altre, non divorò neppure i propri figli come vorrebbe la leggenda: lui la
dominò in ogni fase, fino al suo esaurimento, senza uccidere i suoi concorrenti e
senza mai ricorrere a bagni di sangue o a purghe purificatrici.
Costretto a cercare una via d'uscita fra una destra acefala, reazionaria e
spaventata e una sinistra impazzita che «voleva fare come in Russia», Mussolini
riuscì, con l'uso spregiudicato della persuasione e della violenza, a organizzare
un partito nuovo e diverso compiendo il «miracolo» di unire nello stesso fascio
monarchici e repubblicani, cattolici e anticlericali, estremisti di destra ed
estremisti di sinistra. La sua ideologia originale e suggestiva, ma anche così
confusa e raffazzonata da offrire le più svariate interpretazioni, affascinò le
masse e trovò persino oltre i confini nazionali neofiti entusiasti, cultori
autorevoli e volenterosi imitatori. Il suo nazionalismo aggressivo riscattò l'umile
Italietta provinciale e la portò all'onor del mondo collocandola di prepotenza nel
cosiddetto concerto delle grandi nazioni europee, del quale, per oltre un
decennio, fu lui stesso uno dei massimi protagonisti, se non addirittura il perno
principale.
Il suo «genio» è stato unanimemente riconosciuto dai grandi del suo tempo.
Pio XI lo definì «l'uomo della Provvidenza», Pio XII «il più grande uomo da me
conosciuto e tra i più profondamente buoni». Per Winston Churchill era «il
nuovo Cesare del XX secolo e il più grande legislatore vivente». Il Mahatma
Gandhi ebbe a dire di lui: «Sfortunatamente io non sono un uomo superiore
come il signor Mussolini». Thomas Mann lo definì «un semidio», Lenin «il solo
socialista capace di guidare il popolo italiano alla rivoluzione». Rudyard Kipling
invitava gli italiani ad amarlo «perché per l'Italia il Duce è tutto». Per
l'arcivescovo di Canterbury era «l'unico gigante d'Europa» e per Thomas Edison
«il più grande genio dell'era moderna», mentre, da parte sua, il presidente
americano Franklin Delano Roosevelt, con il New Deal, faceva tesoro delle
esperienze corporative compiute dal fascismo per fare uscire gli Stati Uniti dalla
crisi.
Naturalmente furono fattori esterni a favorire l'ascesa di Mussolini, ma il suo
merito consiste nell'averne saputo approfittare. Dopo gli sconquassi della prima
guerra mondiale, il crollo dei grandi imperi e la vittoria dei bolscevichi in Russia
(che aveva dato vita alla III Internazionale, cui avevano aderito tutti i partiti
comunisti europei ponendosi agli ordini di Mosca) una grande inquietudine si
era diffusa in Europa e in America. Inquietudine aggravata dalla crisi delle
democrazie parlamentari, che ora parevano esaurite e incapaci di comporre i
contrasti fra le classi sociali, nonché di affrontare gli enormi problemi economici
del dopoguerra. In quegli anni, soprattutto fra il 1919 e il 1920 (il cosiddetto
«biennio rosso»), l'Italia era considerata un paese a rischio, pericolosamente
vicina a un collasso rivoluzionario che avrebbe potuto estendersi al resto del
continente. Di conseguenza, quando nel 1922 Mussolini conquistò il potere con
la violenza, ma anche con il consenso popolare, molti tirarono un sospiro di
sollievo. La rivoluzione fascista e la creazione dello Stato corporativo furono
infatti salutati da molti intellettuali e da molti uomini politici come la scoperta
della mitica «terza via» fra capitalismo e comunismo che da tempo molti
andavano invano cercando.
La vulgata antifascista, tuttora corrente malgrado le rettifiche documentate di
Renzo De Felice, continua a presentare il fascismo come il braccio armato del
capitalismo composto quasi esclusivamente da una minoranza facinorosa di
«piccoli borghesi» ambiziosi e frustrati. Ma ciò non corrisponde affatto a verità:
si tratta di una invenzione di comodo degli storici antifascisti i quali ricorsero a
questo escamotage semplicemente perché non sapevano come spiegare
altrimenti la repentina crescita di massa registrata dal fascismo. Da un lato,
infatti, come ha documentato recentemente Romolo Gobbi, essi non potevano
attribuirla alla sola borghesia perché notoriamente minoritaria e comunque poco
propensa a sporcarsi le mani, e dall'altro non volevano riconoscere la forte
adesione al movimento fascista della classe operaia perché nell'immaginario
collettivo il proletariato doveva figurare come sua vittima e non come suo
fondamentale supporto. Proprio per questa ragione fu scelta l'incolpevole piccola
borghesia quale principale responsabile di quella crescita, e vennero
sbrigativamente definiti «teppa» o «lumpen» (sottoproletari) gli operai, i
contadini e i disoccupati che costituirono il nerbo principale delle cosiddette
squadre d'azione.
Il fascismo fu in realtà un grande movimento di massa nel quale, grazie anche
alle vaste aperture sociali promesse dal suo confuso programma, affluì con