Table Of ContentBERTRAND RUSSELL
Lineamenti di pattume intellettuale
Circolo del Libro Vizioso
2019
Titolo originale:
An Outline of Intellectual Rubbish.
A Hilarious Catalogue of Organised and Individual Stupidity
(1943)
Questa edizione:
a cura di Errico Starchi
Sulla pertinenza del pensiero di Bertrand Russell
al nostro tempo
Quando scoppia la seconda guerra mondiale, Bertrand
Russell insegna negli Stati Uniti e la guerra lo
obbligherà a restare in quel paese fino al 1944. Nel
1940, era stato invitato a tenere dei corsi all'università
della città di New York. Quei corsi dovevano occuparsi
esclusivamente di filosofia e logica e non di morale o
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politica. Tuttavia, fin dall'annuncio dell'incarico, si mise
in moto un intrigo, che si opponeva alla sua venuta,
organizzato da ambienti cattolici e protestanti. Una
certa signora Kay, la cui figlia era iscritta a
quell'università, ma che non avrebbe seguito i corsi di
Russell, presentò un esposto contro i responsabili
dell'università, avendo causa vinta. L'invito a Bertrand
Russell fu perciò annullato. L'avvocato della signora Kay
dipingeva l'opera di Bertrand Russell come “lubrica,
libidinosa, depravata, erotica, afrodisiaca, irriverente, di
mente ristretta, menzognera e sprovvista di qualsiasi
fibra morale”. ¹
Si rimproverava a Russell tanto l'assenza di credo
religioso quanto il suo atteggiamento verso sessualità e
matrimonio: riteneva che non bisogna punire i bambini
che si masturbavano, che l'adulterio occasionale non
costituiva necessariamente motivo di divorzio, che non
bisognava reprimere penalmente l'omosessualità e che
la nudità non doveva essere tabu, tra tante altre simili
abominazioni. Poiché la contesa giuridica opponeva
esclusivamente la signora Kay e i rettori dell'università,
Russell non poté partecipare al processo, nemmeno
come testimone, né ricorrere in appello.
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Russell ricevette il sostegno di numerosi intellettuali,
tra cui Albert Einstein e il pensatore liberale John
Dewey (il quale fece maliziosamente notare che quanti
leggevano i libri di Russell sperando di scoprirvi delle
oscenità sarebbero stati delusi) ma non quello del
sindaco di New York, Fiorello La Guardia; il New York
Times mostrò un'estrema prudenza nell'affare che,
negli Stati Uniti, è rimasto celebre negli annali della
difesa della libertà democratica.
Nel 1950 Russell ricevette il premio Nobel per la
letteratura e ritornò a New York per tenere
conferenze all'università Columbia che vennero
vivamente applaudite. Si ignora cosa ne pensarono
allora la signora Kay, il suo avvocato ed il giudice che
diede loro ragione. Tuttavia, il periodo della guerra fu
difficile per Russell, avendogli chiuso, lo “scandalo”
provocato a New York, numerose porte in seno alle
università. In questo contesto publicò nel 1943 il suo
Lineamenti di ciarpame intellettuale, pamphlet in cui
fustiga le superstizioni d'origine religiosa, ma anche le
credenze irrazionali riguardanti le donne, le nazioni, la
razza o la malattia mentale. Nella stessa epoca scrisse
la monumentale Storia della filosofia occidentale che non
è tanto una storia puramente descrittiva quanto un
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tentativo di demistificare tutto ciò che, in filosofia,
tende al misticismo o alla metafisica.
La visione filosofica di Russell è poco nota in Francia,
se escludiamo i filosofi come Jacques Bouveresse vicini
alla corrente della filosofia “analitica” che Russell ha
contribuito a fondare. Tale corrente pone l'accento sul
rigore intellettuale e la chiarezza d'esposizione e cerca
di affrontare i problemi filosofici nella maniera più
scientifica possibile.
Russell è sempre stato molto critico verso certi
pensatori classici che hanno influenzato la filosofia
francese contemporanea: Kant, Hegel e Marx e, più
ancora, Nietzsche. Era molto ostile a Bergson, non
ignorava le sue divergenze filosofiche con Sartre, con il
quale ha tuttavia fondato il tribunale d'opinione
Russell-Sartre che giudicava i crimini commessi
durante la guerra del Vietnam, e non avrebbe senza
dubbio apprezzato né Lacan, né Derrida, né Foucault,
né i loro epigoni.
Per la libertà di pensiero e lo stile ironico, lo si
paragona talora a Voltaire, e lui stesso si considerava
erede dei pensatori dell'illuminismo ma, per il suo
ateismo e naturalismo, è più vicino a Diderot che a
Voltaire.
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Senza entrare nelle sottigliezze della sua filosofia
concernente la logica, la matematica e il linguaggio
(argomenti su cui ha spesso mutato opinione) si può
notare che ci sono due costanti nel suo atteggiamento
verso la conoscenza umana: il realismo, o oggettivismo,
da una parte e l'empirismo dall'altra. Per un buon
numero di filosofi la realtà è in una certa maniera
indissociabile dalle nostre percezioni, rappresentazioni
mentali o esperienze soggettive. Ma non per Russell
che sottolineava “che una proposizione, diversa da una
tautologia, se è vera, lo è in virtù di una relazione con
un fatto, e che i fatti sono in generale indipendenti
dall'esperienza”.²
Russell pensava pure che “il concetto di 'verità', nel
senso in cui dipende da fatti che superano largamente
il controllo umano è stato una delle vie attraverso cui
la filosofia ha, fin qui, inculcato l'elemento necessario
dell'umiltà”.³ La sua ostilità verso la religione cristiana
era in parte dovuta al posto centrale che vi è riservato
all'uomo. Una volta supposto creato ad immagine di
Dio, il sentimento di importanza e d'onnipotenza che
l'uomo può ricavarne sono, agli occhi di Russell, una
specie di pazzia estremamente pericolosa.
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Si arriva allo stesso antropocentrismo se si pensa il
mondo come “costruito”, socialmente o meno, dalla
nostra mente o dalle nostre rappresentazioni. In
compenso, l'idea che esista una realtà obiettiva
indipendente dall'umano, e che l'uomo non è mai altro
che un risultato passeggero di un'evoluzione
contingente su di un pianeta perso in qualche angolo
dell'universo, fa propendere verso la modestia.
Ma se il mondo esiste indipendentemente dalle nostre
sensazioni, i nostri mezzi per conoscerlo ne dipendono
integralmente. Russell ha criticato senza posa tutte le
pretese di conoscenza che non procedano
dall'esperienza, basate sullo studio di testi sacri, sui
ragionamenti a priori al di fuori della matematica, o
sull'intuizione e l'introspezione. Riconosceva certo
che la scienza non ha una risposta per tutto, ma
rifiutava di accettare “un mezzo più 'elevato' di
conoscenza grazie a cui poter scoprire le idee
nascoste alla scienza e all'intelligenza” ⁴, il che spiega
pure lo scetticismo di Russell riguardo i discorsi
sull'uomo o sulla storia, che si possono difficilmente
studiare in maniera scientifica.
La congiunzione dell'idea che le asserzioni fattuali si
riferiscono ad un mondo indipendente da noi e che la
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conoscenza di questo mondo si fonda interamente
sulle nostre esperienze ed osservazioni costituisce la
base del razionalismo scientifico.
Per quanto concerne l'etica, Russell ha sempre difeso,
con certe distinzioni ⁵, l'utilitarismo, termine che ha
spesso, in francese come in italiano, un senso
peggiorativo, ma che significa semplicemente che una
cosa è buona se accresce la felicità umana e cattiva nel
caso contrario. Quando, adolescente, Russell spiegò
questo punto di vista alla nonna (essendo morti i
genitori quando era ancora giovane, fu tirato su dai
nonni) lei lo canzonò e gli disse che era un utilitarista.
Russell si stupì che un atteggiamento tanto naturale
potesse venir designato con una parola così singolare.
Naturale o no, questo atteggiamento si oppone a tutto
ciò che, nelle morali religiose, si fonda su
comandamenti sedicenti divini, ma non contribuisce in
nulla all'umana felicità. Esso si oppone inoltre alle
morali assolutiste, per esempio a quelle basate su dei
“valori” come il coraggio o l'onore, quando questi
sono elogiati indipendentemente dalle cause cui
giovano. Oggi anche i “diritti dell'uomo” sono sovente
invocati come “valori” per giustificare delle guerre,
senza porsi il problema delle conseguenze concrete
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dell'applicazione di quei valori, problema che un
utilitarista si porrebbe.
L'utilitarismo non va confuso con l'egoismo: la felicità
umana è quella di tutti, non solo la mia. Non è neppure
relativista: in alcune circostanze, un atto può nuocere
alla felicità umana, indipendentemente da ogni “cultura”
o da ogni “prospettiva”. Il fatto di considerare (contro
l'assolutismo morale) che il valore di un'azione
dipende dalle circostanze nelle quali è compiuta non
vuol dire che tutto si equivale.
Spesso è difficile arrivare a conclusioni etiche su di una
base utilitaristica, poiché ogni azione ha molteplici
conseguenze; è un argomento spesso brandito contro
l'utilitarismo, mentre questo va tutto a suo onore,
perché la coscienza di tale difficoltà ci premunisce
contro il dogmatismo fin troppo presente in gran
parte delle concezioni morali.
Leggendo i Lineamenti ci si può interrogare sulla
pertinenza odierna della critica di tali “sciocchezze
intellettuali”. La maggioranza dei cristiani dirà che
nessuno tra loro sostiene più le idee punzecchiate nel
saggio e che il cristianesimo contemporaneo è
divenuto compatibile con la scienza e la razionalità. Ma,
pur ammettendo che fosse vero- il che è da discutere-,
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