Table Of ContentHeinrich Von Kleist.
LETTERE ALLA FIDANZATA.
a cura di Ervino Pocar.
Copyright 1985 SE Studio Editoriale S.R.L., Milano.
Su concessione Edizioni SE.
Indice.
Francoforte sull'Oder, principio del 1800: pagina 5.
Francoforte sull'Oder, principio del 1800: pagina 7.
Francoforte sull'Oder, primavera del 1800: pagina 14.
Francoforte sull'Oder, 30 maggio 1800: pagina 22.
Berlino, 16 agosto 1800: pagina 27.
Pasewalk, 20 agosto 1800: pagina 38.
Koblentz presso Pasewalk, 21 agosto 1800: pagina 44.
Lipsia, 30 agosto e 1 settembre 1800: pagina 51.
Dresda, 3 e 4 settembre 1800: pagina 59.
(tm)deran nei Monti Metalliferi, 4 settembre 1800: pagina 72.
Chemnitz, 5 settembre: pagina 73.
Lungwitz: pagina 76.
Zwickau: pagina 80.
Reichenbach: pagina 83.
W(cid:1)rzburg, 9 o 1O settembre 1800: pagina 85.
W(cid:1)rzburg, 11 e 12 settembre 1800: pagina 86.
W(cid:1)rzburg, 13 (- 18) settembre 1800: pagina 94.
W(cid:1)rzburg, 16 settembre 1800: pagina 107.
W(cid:1)rzburg, 19 (- 23) settembre 1800: pagina 114.
W(cid:1)rzburg, 1O (e 11) ottobre 1800: pagina 125.
Berlino, 13 novembre 1800: pagina 137.
Berlino, 16 (- 18) novembre 1800: pagina 148.
Berlino, 22 novembre 1800: pagina 159.
Berlino, 29 e 30 novembre 1800: pagina 162.
Berlino, 11 (e 12) gennaio 1801: pagina 169.
Berlino, 21 e 22 gennaio 1801: pagina 177.
Berlino, 31 gennaio 1801: pagina 183.
Berlino, 22 marzo 1801: pagina 195.
Berlino, 28 marzo 1801: pagina 204.
Berlino, 9 aprile 1801: pagina 206.
Berlino, 14 aprile 1801: pagina 212.
Dresda, 4 maggio 1801: pagina 215.
Lipsia, 21 maggio 1801: pagina 218.
Gottinga, 3 giugno 1801: pagina 226.
Strasburgo, 28 giugno 1801: pagina 233.
Parigi, 21 luglio 1801: pagina 235.
Parigi, 15 agosto 1801: pagina 242.
Parigi, 1O ottobre 1801: pagina 250.
Parigi, 27 ottobre 1801: pagina 258.
Francoforte sul Meno, 2 dicembre 1801: pagina 262.
Dall'isola nell'Aare presso Thun, 20 maggio 1802: pagina 266.
Epilogo.
A Marie von Kleist. Berlino, maggio 1811: pagina 268.
A Marie von Kleist. Berlino, agosto 1811: pagina 270.
A Marie von Kleist. Berlino, primi di ottobre 1811: pagina 272.
A Ulrike von Kleist. Francoforte sull'Oder, ottobre 1811: pagina 274.
A Marie von Kleist. Berlino, 9 novembre 1811: pagina 275.
A Marie von Kleist. Berlino, 1O novembre 1811: pagina 277.
A Marie von Kleist. Berlino, 12 novembre 1811: pagina 280.
A Sophie M(cid:1)ller. Berlino, il 20 novembre 1811: pagina 282.
A Ernst Friedrich Peguilhen. Da Stimming presso Potsdam, 21 novembre
1811: pagina 284.
A Ulrike von Kleist: pagina 288.
Note: pagina 289.
Postfazione di Ervino Pocar: pagina 297.
Note: pagina 311.
[Francoforte sull'Oder, principio del 1800].
Ho deciso di consegnare domani sera a Suo padre la lettera acclusa. Da
ieri sera sento che non posso rimanere fedele alla promessa di non
fare per il mio amore nulla che possa costituire un inganno verso i
Suoi degni genitori. Stare in Sua presenza e non dover parlare perché
altri non abbiano a sentire i nostri discorsi, tenere la Sua mano
nella mia e dover rimanere in silenzio perché non mi è permesso
parlarLe in un certo modo, è una tortura che voglio e devo togliere di
mezzo. Perciò desidero sapere se posso amarLa a buon diritto oppure
no. In quest'ultimo caso sono risoluto a mantenere la promessa che
faccio a Suo padre nelle ultime righe della mia lettera. In caso
contrario, sono felice... Guglielmina! Ottima fanciulla! Nella lettera
a Suo padre ho forse parlato alla Sua anima con troppo ardimento? Se
qualcosa in quella lettera Le fosse dispiaciuto, me lo dica domani e
io la cambierò.
Vedo che la nuova aurora del mio cuore brilla troppo luminosa ed è già
troppo visibile. Senza questa lettera potrei nuocere alla Sua
reputazione, che però mi è più cara di qualunque altra cosa al mondo.
Ora avvenga ciò che il cielo mi ha destinato, io sono tranquillo nella
convinzione che agisco per il meglio.
HEINRICH KLEIST.
P.S. Se domani non mi negasse una passeggiata, potrei sapere da Lei
che cosa pensa di questo passo e come lo giudica. Non ho fatto cenno
del mio viaggio per ragioni che vorrà perdonare. La prego quindi di
non parlarne nemmeno Lei. Noi infatti ci intendiamo.
[Francoforte sull'Oder, principio del 1800].
[Manca il principio] ... evidente la certezza di essere amato da Lei?
Non spira da ogni riga la lieta convinzione dell'amore esaudito e
felice? Eppure... chi me l'ha detto? E dove è scritto?
E' vero... che cosa posso arguire dalla letizia che da ieri anima
anche Lei, che cosa dalle lacrime di gioia che ha versato alla
dichiarazione di Suo padre, che cosa dalla bontà con la quale a volte
mi ha guardato in questi giorni, che cosa dalla profonda fiducia con
cui mi ha parlato in alcune delle sere passate, specialmente ieri
presso il pianoforte, che cosa dall'ardire con cui ora, perché Le è
lecito, si avvicina a me persino alla presenza di altri, mentre prima
si teneva sempre timidamente lontana? - Che cosa, domando, posso
arguire da tutti questi segni quasi indubitabili, cos'altro,
Guglielmina, se non che sono amato?
Ma posso fidarmi dei miei occhi e delle mie orecchie della mia
intelligenza e del mio acume, del sentimento dei mio cuore credulo,
che già una volta si è lasciato ingannare da simili segni? Non devo
diffidare delle mie deduzioni dopo che Lei stessa mi ha già mostrato
una volta quanto siano talora errate? In fondo, dopo matura
riflessione, che cosa posso credere oltre a ciò che sapevo già sei
mesi fa, che cosa, dico, posso credere oltre il fatto che Lei mi stima
e mi ama "come un amico"?
Eppure desidero di più, eppure vorrei "sapere" che cosa il Suo cuore
sente per me. Guglielmina, mi lasci gettare uno sguardo dentro il Suo
cuore! Me lo apra almeno una volta con fiducia e sincerità. Tanta
fiducia, tanta illimitata fiducia da parte mia merita pure una qualche
reciprocità da parte Sua. Non voglio dire che Lei mi debba amare
perché io La amo; ma fiducia in me deve averne, perché io l'ho avuta
senza limiti in Lei... Guglielmina, mi scriva con intima e autentica
franchezza. Mi conduca una volta nel sacrario del Suo cuore che non
conosco ancora con certezza. Se la convinzione che ho ricavato dalla
cordialità del Suo contegno verso di me fu troppo ardita e troppo
avventata, non si faccia riguardi di dirmelo. Mi basteranno le
speranze che Lei certo non vorrà togliermi. Ma anche allora,
Guglielmina, se la mia convinzione fosse fondata, anche allora non
abbia riguardo di confidarsi totalmente. Me lo dica, se mi ama...
perché infatti dovrebbe vergognarsene? Non sono forse un gentiluomo,
Guglielmina?
A dire il vero - glielo voglio confessare apertamente, Guglielmina,
qualunque cosa Lei debba pensare della mia vanità - a dire il vero,
sono fermamente convinto che Lei mi ama. Ma Dio solo sa quale
concatenazione di pensieri mi fa desiderare che sia Lei a dirmelo.
Credo che cadrei in estasi e che Lei mi donerebbe un istante pieno
della gioia più esuberante e più ardente, se la Sua mano potesse
decidersi a scrivere queste tre parole: "Io ti amo".
Sì, Guglielmina, me le dica, queste tre stupende parole; e avranno
valore per tutta la durata della mia vita. Me le dica "una volta" e
faccia in modo che si giunga presto al punto di non aver più bisogno
di ripetercele. Non a parole, infatti, ma con le azioni si mostra la
vera felicità e il vero amore. Faccia in modo che sia possibile
confidarci intimamente così da poterci conoscere appieno. Io non so
nulla, Guglielmina, nel mio spirito non si agita alcun pensiero, nel
mio petto alcun sentimento che io debba evitare di comunicarLe. E Lei
che cosa potrebbe avere da nascondermi? E che cosa potrebbe indurla a
violare la prima condizione dell'amore, la confidenza? - Sia sincera
dunque, Guglielmina, sempre sincera. Qualunque cosa pensiamo e
sentiamo e desideriamo... ignobile non può essere, quindi possiamo
confidarcela con franchezza. Fiducia e stima, ecco i due inseparabili
pilastri fondamentali dell'amore, senza i quali non può reggersi,
senza stima, infatti, l'amore non ha valore e senza fiducia non ha
gioia.
Sì, Guglielmina, anche la stima è una irrevocabile condizione
dell'amore. Sforziamoci dunque incessantemente non solo di conservare,
ma anche di accrescere quella stima che proviamo a vicenda. Soltanto
questo fine conferisce all'amore il valore supremo. Più nobili e più
buoni dobbiamo divenire in virtù dell'amore, e se non raggiungiamo,
Guglielmina, questo scopo, significa che non ci intendiamo. Cerchiamo
dunque di vegliare sempre con dolce e umana severità sul nostro
reciproco comportamento. Vorrei che almeno Lei mi dicesse apertamente
tutto ciò che in me può forse dispiacerLe. Oso promettere di adempiere
a tutte le Sue richieste giacché non temo che possano essere
eccessive. Continui almeno a comportarsi sempre in modo che io possa
porre la mia suprema felicità nel Suo amore e nella Sua stima, allora
tutti i buoni influssi che Lei stessa forse non immagina, per i quali
io Le sono intimamente e affettuosamente grato, si raddoppieranno e si
triplicheranno. In compenso, anch'io intendo contribuire alla Sua
formazione, Guglielmina, e rendere sempre più nobile e più elevato il
valore della fanciulla che amo.
E adesso, Guglielmina, ancora una cosa molto importante. Lei sa che
ormai ho deliberato di prepararmi a un impiego; ma non ho ancora
deciso per quale impiego debba formarmi. Dedico tutte le mie ore
libere a riflettere su questo argomento. I desideri del mio cuore
contro le esigenze della ragione, ma i piatti della bilancia oscillano
sotto pesi indeterminati. Devo forse studiare diritto? Guglielmina,
recentemente, a proposito di diritto naturale, ho sentito porre il
quesito se i patti degli amanti possano aver valore, dato che si
stipulano nella passione... e che cosa devo pensare di una scienza che
si rompe il capo per decidere se esista nel mondo la proprietà e
m'indurrebbe quindi a dubitare sulla legittimità dell'affermazione che
Lei mi appartiene? No, no, Guglielmina, non voglio studiare diritto,
non voglio studiare i diritti oscillanti, incerti, ambigui, della
ragione, ma voglio attenermi ai diritti del mio cuore e li voglio far
valere, qualunque cosa abbiano a obiettare i sistemi dei filosofi... O
devo abbracciare la carriera diplomatica?... Oh, Guglielmina, io
riconosco soltanto una legge suprema, la "rettitudine", mentre la
politica conosce soltanto l'utile. E, oltre a questo, il soggiorno
presso corti straniere non si addice alla felicità dell'amore. Nelle
corti regna la moda e l'amore fugge dinanzi a questa impertinente
motteggiatrice... O devo dedicarmi alla scienza delle finanze? Questa
sarebbe un'idea, anche se il tintinnare di monete rotolanti non mi è
piacevole e gradito. Sia pure. L'accordo dei nostri cuori mi
compenserebbe, e io non ripudio questa strada se può condurci alla
meta. Ho come prospettiva anche un altro impiego, un impiego onorevole
che mi aprirebbe tutti i godimenti della scienza; ma certo non sarebbe
brillante, poiché non vi si fa carriera come cittadini dello stato, ma
soltanto come cittadini del mondo... voglio dire un impiego
accademico. Infine mi rimarrebbe ancora da studiare economia per
imparare l'arte importante di produrre grandi effetti con forze
esigue. Se potessi riuscire a impadronirmi di questa grande arte,
allora, Guglielmina, potrei dedicare l'intera esistenza a Lei e al mio
fine supremo - o meglio, perché così vuole l'ordine di precedenza - al
mio fine supremo e a Lei.
Ora mi trovo, come Ercole, all'incrocio di cinque strade e medito su
quale debba scegliere. L'importanza del fine a cui miro mi rende
pavido nella scelta. Felice, Guglielmina, vorrei essere felice e
allora non è forse lecito il timore di sbagliare strada? Io credo, è
vero, che sarei felice prendendo una strada qualunque, a patto di
poterla percorrere al Suo fianco. Ma forse, Guglielmina, Lei nutre
desideri particolari, degni anch'essi di essere presi in
considerazione. Perciò La prego di comunicarmi il Suo pensiero su
tutti questi progetti e le Sue preferenze. E inoltre mi sarebbe caro
sapere che cosa realmente si ripromette da un futuro al mio fianco.
Non le prometto in modo assoluto di accogliere il Suo desiderio, ma le
prometto di scegliere, a parità di vantaggi nelle previsioni, quella
strada che più risponde ai Suoi desideri. E fosse pure, Guglielmina,
la strada più faticosa, più disagiata, mi sento il coraggio e
l'energia di superare tutti gli ostacoli; e quando il sudore mi
scorresse dalle tempie e per lo sforzo continuo le mie energie
venissero meno, voglio che mi sorrida la confortante visione
dell'avvenire, e mi doni nuovo coraggio, nuove forze questo pensiero:
"ma io lavoro per Guglielmina!
HEINRICH KLEIST.
QUESITI PER ESERCITAZIONI DI PENSIERO
PROPOSTI A WILHELMINE VON ZENGE.
[Francoforte sull'Oder, primavera del 1800].
1. Quando qualcuno biasima in altri un difetto del quale egli stesso
non va esente, si ode spesso obiettargli: Tu biasimi gli altri e non
sei migliore di loro!
Io domando: Non dobbiamo biasimare un errore negli altri proprio
perché lo abbiamo commesso anche noi?
2. Che differenza c'è tra giustificare e perdonare?
3. Se un uomo e una donna fanno l'un per l'altro tutto ciò che
possono, secondo la loro natura, quale dei due perde di più, se
l'altro muore prima?
4. Una donna può avere conquistato la stima e la fiducia del marito
senza essere da lui desiderata. Con che cosa conquista e conserva
quest'uomo?
DOMANDA.
Una donna che sia degna di stima, non necessariamente per questo è
interessante. In che modo acquista e conserva l'interessamento del
marito?
RISPOSTA.
L'interessamento ha la stessa sorte di tutte le cose di questo mondo.
Non basta che il cielo le abbia create, deve anche mantenerle, se si
vuole che durino. E' nulla ha bisogno di un nutrimento sceltissimo più
di quella realtà misteriosa che nasce, non sappiamo come, e spesso
scompare, non sappiamo come: l'interessamento.
Destare interesse e abbandonarlo a se stesso significa dar vita a un
bambino e abbandonarlo a se stesso. L'uno muore come l'altro, non
perché gli si faccia del male, ma perché non si fa "niente" per lui.
Il bambino, però, non è così esigente come l'interesse riguardo
l'alimentazione. Il bambino si appaga di "un" solo alimento,
l'interesse vuol sempre un nutrimento scelto, raffinato e vario. Muore
se gli si mette dinanzi oggi e domani ciò che ha già gustato ieri e
ier l'altro.
Nulla infatti è così dannoso all'interessamento come l'uniformità e
niente invece è così favorevole come la varietà e la novità. Il
viaggiare ci arreca un piacere così grande perché con l'incessante
mutare dei luoghi variano anche le vedute della natura e per questo la
vita in genere offre un interesse così grande, anzi il massimo
interesse, essendo, per così dire, un grande viaggio che sempre ci
porta un qualcosa di nuovo, ci mostra una nuova veduta e ci apre una
nuova prospettiva.
Ora, non vi è nulla che possa assumere forme diverse come il talento.
La virtù e l'amore indossano sempre per loro natura un unico abito e
per la loro natura non possono mutarlo. Il talento invece può mutare
continuamente forma e abito, e forse piace proprio perché lo può fare.
E cosi una donna che vuol conservare l'interessamento del marito dovrà
sempre sviluppare e esercitare il suo talento, se la natura gliel'ha
donato, affinché il marito trovi sempre in lei quel godimento del
bello, di cui non potrà mai fare interamente a meno e che altrimenti
dovrebbe cercare in estranei. Se infatti la virtù e l'amore sono il
fondamento della felicità familiare, solo il talento può renderla
veramente attraente. E non è necessario che il talento della musica,
del disegno, della lettura o di altro sia sviluppato fino alla
perfezione; basta che in esso predomini il senso della vera bellezza.
DOMANDA,
Che cosa è preferibile: essere stati felici per breve tempo o non
esserlo stati mai?
RISPOSTA.
Se confrontiamo la condizione di chi ha perduto la felicità con la
condizione di chi non l'ha goduta mai, i piatti della bilancia
oscillano sotto il peso di mali quasi identici, ed è difficile
dirimere la questione. Ma sembra tuttavia che la bilancia scenda dalla
parte del secondo.
Chi ha sognato un tempo l'aureo sogno della vita sul seno della
felicità e poi viene destato dalla voce aspra della sorte, tende, sì,
tristemente le braccia verso le forme divine che fuggono per sempre e
il suo dolore è tanto più grande quanto più grande era la felicità da
lui goduta; ma la cornucopia della beatitudine che si riversa
dall'alto gli ha pur offerto un piccolo fiore che può allietarlo
persino nel ricordo, anche se sia già sfiorito da tempo. Le esigenze
che egli poteva aver posto alla vita non gli sono state respinte
interamente, non del tutto gli venne rifiutata la grande eredità che
il cielo ha lasciato ai figli della terra, non mormorerà contro il
padre degli uomini per averlo escluso dal suo amore, non invidierà con
acre rancore i suoi fratelli che hanno ricevuto solo parti uguali alla
sua, non si scaglierà contro il godimento della sua felicità perché
non è durata eternamente, nello stesso modo in cui nessuno si scaglia
contro la primavera perché è breve, né maledice il giorno perché sta
già calando la notte. Più forte e sicuro di quanto sarebbe se non
avesse mai camminato per il sentiero luminoso, camminerà ora anche per
le strade buie della vita e talvolta nella memoria visiterà con gioia
malinconica le rovine muscose della perduta felicità per cogliere il
piccolo fiore autunnale della saggezza.
Ma chi non ha visto adempiersi neppure il più modesto dei suoi
desideri ardenti, chi della grande eredità nella cui abbondanza
sguazzano tutti i fratelli non ha ricevuto neppure la legittima parte,
si sentirà come un figlio ripudiato, escluso dall'amore del padre di
tutti, che a lui non è padre, e il piatto contenente la sua condizione
calerà profondamente rispetto al piatto dell'altro.
1. Se l'uomo esercita verso la donna il brutale diritto del più forte
con le armi della violenza, non ha anche la donna un pari diritto
contro l'uomo, quello che si potrebbe chiamare il diritto del più
debole, che essa può far valere con le armi della dolcezza?
2. Che cosa unisce maggiormente gli uomini tra di loro: i legami della
fiducia, le virtù o le debolezze?
3. Deve la moglie non piacere a nessun altro che non sia suo marito?
4. Quale gelosia turba la pace della vita coniugale?
Ma perché non si eserciti soltanto la tua intelligenza, cara
Guglielmina, ma anche le tue altre forme spirituali, assegnerò ora un
piccolo compito alla tua fantasia. Dovresti descrivermi la situazione
che potrebbe meglio corrispondere a quanto ti attendi dalla futura
felicità del matrimonio. Facendo ciò, potrai dar libero corso alla
fantasia, descrivere l'ambiente della felicità coniugale in base ai
tuoi concetti del bello, arredare e ordinare la casa a tuo arbitrio,
scegliere i lavori ai quali preferiresti dedicarti e indicare i
divertimenti che più volentieri vorresti in essa predisporre per te o
per me o per altri.
DOMANDE.
1. E' lecito combattere tutti i principi errati degli altri o non si
devono tollerare e rispettare i principi innocui, se da loro dipende
la tranquillità del prossimo?
2. Si deve sempre pretendere dall'uomo con rigore inesorabile
l'adempimento dei suoi doveri o si può forse essere soddisfatti di lui
se li riconosce soltanto e non perde mai la disponibilità ad
adempierli?
3. E' lecito all'uomo fare tutto ciò che è giusto o deve accontentarsi
di considerare giusto tutto ciò che fa?
4. Si può aspirare in questo mondo ad attuare la perfezione o non ci
si deve limitare al perfezionamento di quello che già esiste?
5. Che cosa è meglio: essere buoni o agire bene?
Quando si chiede a una fanciulla che cosa pretenda da un futuro
matrimonio per poter godere della massima felicità, essa deve
anzitutto indicare:
1. quali virtù debba possedere il futuro marito, se debba essere
straordinario oppure comune di spirito e di corpo e in quale grado
debba esserlo, eccetera. Poi se debba essere ricco, nobile, eccetera;
2. quale impiego debba avere, se uno militare o uno civile o nessun
impiego;
3. l'ambiente in cui debba svolgersi la vita coniugale, se in città o
in campagna, e come debba essere il luogo nei particolari, in ognuno
di questi casi, se in montagna o in pianura o al mare, eccetera;
4. come debba essere la casa, se grande e sontuosa o soltanto spaziosa
e comoda, eccetera;
5. se il tenore di vita debba essere lussuoso o da benestanti,
eccetera;
6. quali compiti ella voglia assumersi e quali no, ecc;
7. quali divertimenti debbano svolgersi in casa, se rumorosi o
silenziosi, magnifici o nobili, moderni o intelligenti, eccetera;
8. quale grado di governo debba spettare a lei e quale voglia
riservare al coniuge;
9. come debba comportarsi il marito con lei, se con modi carezzevoli o
sinceri, umili o superbi; se in casa debba essere allegro o lieto o
serio; se fuori di casa debba onorarla con "éclat" o se basta che lo
faccia nella tranquillità della casa; se in genere si debba vivere
molto tra gli altri, in pubblico, o se non sia sufficiente godere la
vita piuttosto nel silenzio.
Essendo tutto questo nient'altro che un desiderio, la fantasia ha
giuoco illimitato e non deve legarsi ai ceppi della realtà...
Francoforte sull'Oder, 30 maggio 1800.
Cara Guglielmina, la reciproca esercitazione nel rispondere a
questioni dubbie ha un'importanza così articolata per la nostra
formazione che dobbiamo affrontare la cosa con quella serietà che
richiede, e devo fornirti di una piccola guida per trovare soluzioni
più facili e più opportune. Infatti con queste risoluzioni scritte di
quesiti interessanti ci esercitiamo non solo nell'applicazione della
grammatica e nello stile, ma anche nell'uso delle nostre superiori
energie spirituali; e infine definiamo il nostro giudizio su argomenti
dubbi e noi stessi ci arricchiamo progressivamente di interessanti
verità.
La tua risposta alla prima domanda è esattamente come l'avrei data io
stesso e la risposta alla seconda forse ancora migliore, almeno per
quanto riguarda il contenuto. Solo nella forma, nell'ordinamento e
nello svolgimento delle due risposte sarebbe possibile avanzare
qualche critica.
Ma mi riservo di farlo a voce e ora mi limito a tracciarti soltanto la
strada che io seguirei nel rispondere a una simile domanda.
Nel caso in cui tu mi domandassi quale dei due sposi, adempienti
entrambi ai loro doveri coniugali, perda maggiormente per la morte
prematura dell'altro, i pensieri suscitati nella mia anima si
concatenerebbero pressappoco nell'ordine seguente.
Innanzi tutto il mio intelletto indaga: a che cosa tende? Cerca così
di comprendere il significato della tua domanda. Poi il mio giudizio
chiede: quale è l'aspetto che più conta? Cerca così di scoprire il
nocciolo della controversia. Infine la mia ragione domanda: a dove
porta tutto questo? Cerca così di ricavare il risultato da quanto
precede.
Prima di tutto, dunque, il mio intelletto si chiarisce perfettamente
il significato della tua domanda e comprende che tu pensi a due
coniugi, ciascuno dei quali fa per l'altro tutto quanto è in suo
potere, secondo la sua indole; tu dunque presupponi che ognuno alla
morte dell'altro perda "qualcosa" e vorresti solamente sapere da quale
delle due parti stia la perdita preponderante.
Ora, il mio giudizio risale all'origine del quesito e si domanda: che
cosa fa veramente per l'altro ciascuno dei due coniugi secondo la sua
indole? Individuato questo, confronta ciò che essi fanno l'uno per
l'altro e stabilisce quale dei due faccia di più. Allora il giudizio
comincia a comprendere che il marito è non solo il marito di sua
moglie, ma anche un cittadino dello stato, mentre la donna non è altro
che la moglie di suo marito; che il marito non ha soltanto doveri
verso la moglie, ma anche doveri verso la patria, mentre la donna non
ha altri doveri se non quelli riguardo al marito; che, di conseguenza,
la felicità della donna è bensì un compito importante e indiscutibile
del marito, ma non l'"unico", mentre la felicità del marito è il solo
compito della moglie; che pertanto il marito non agisce per la moglie
con "tutte" le sue energie, la moglie invece agisce con "tutta
l'anima" per il marito; che la moglie, quando il marito adempia ai
suoi principali doveri, non riceve altro che la protezione contro gli
attacchi al suo onore e alla sua sicurezza e il sostentamento per i
bisogni della vita, mentre il marito, quando la moglie adempia ai suoi
principali doveri, riceve da lei la somma totale della felicità
domestica, vale a dire di "ogni felicità"; che infine il marito non è
sempre felice quando lo è la moglie, la moglie invece è sempre felice
quando lo è il marito, e che pertanto la felicità del marito è, a
rigore, il principale oggetto delle aspirazioni di entrambi.
Confrontando queste tesi fra loro, il giudizio stabilisce che il
marito riceve dalla moglie di gran lunga, anzi infinitamente di più
che la moglie dal marito.
Ora la ragione si assume il compito finale e da quest'ultima tesi trae
la ovvia conseguenza che colui che maggiormente riceve deve anche
perdere maggiormente, e pertanto, ricevendo il marito infinitamente
più che la moglie, se lei muore deve anche perdere infinitamente più
di quanto non perda la moglie se è il marito che muore.
Per questa via, dunque, attraverso una catena di pensieri che prima di
arrischiarmi ad affrontare la totalità dell'argomento solitamente
annoto su un foglio a parte, sarei giunto al risultato richiesto e non
mi rimarrebbe altro che ordinare i pensieri sparsi nella loro
concatenazione di causa e conseguenza e dare al componimento una forma
completa ed elegante.
Questo, all'incirca, sarebbe il risultato migliore:
"L'uomo non è soltanto il marito di sua moglie, ma anche un cittadino
dello stato; la donna invece non è altro che la moglie di suo marito;
l'uomo non ha soltanto doveri verso sua moglie, ma anche doveri verso
la patria; la donna invece non ha altri doveri se non quelli verso il
marito; la felicità della donna è bensì un oggetto indispensabile per
l'uomo, ma non l'unico oggetto, giacché a lui sta a cuore anche la
felicità dei suoi connazionali; la felicità del marito invece è
l'unico oggetto della donna; il marito non opera con tutte le sue
forze soltanto per la moglie, non le appartiene totalmente, non
appartiene unicamente a lei, poiché anche il mondo conta su di lui e
sulle sue forze; la moglie invece opera con tutta l'anima per il
marito, non appartiene a nessun altro se non a lui e gli appartiene
totalmente; la moglie, infine, quando il marito adempie ai suoi doveri
principali, non riceve da lui se non la protezione contro gli attacchi
al suo onore e alla sua sicurezza e il sostentamento per i bisogni
della vita, mentre il marito, quando la moglie adempie ai suoi doveri
principali, riceve da lei l'intera sua felicità terrena; la moglie è
felice purché lo sia il marito, il marito invece non lo è sempre
quando lo è la moglie e questa deve pensare a renderlo felice. Il
marito riceve dunque infinitamente di più dalla moglie che lei dal
marito.
Per conseguenza il marito perde infinitamente di più con la morte
della moglie di quanto perde la moglie con la morte del marito. La
donna non perde altro che la protezione contro gli attacchi al suo
onore e alla sua sicurezza e il sostentamento per i bisogni della
vita; la prima la ritrova nelle leggi o il marito stesso continua a
procurargliela per mezzo dei parenti e forse dei figli adulti; l'altro
può averlo ottenuto come eredità dal marito. Ma come potrebbe la
moglie lasciare al marito ciò che egli perde con la morte di lei? Egli
perde la somma della sua felicità terrena, con la perdita della moglie
gli si è inaridita la fonte di ogni felicità, tutto gli manca se gli
manca una sposa, e tutto quanto essa può lasciargli è il malinconico
ricordo della felicità di un tempo, ricordo che rende ancora più
triste la sua condizione".
Aggiungo qui un altro quesito a cui si potrebbe rispondere in un modo
simile: Sono le donne prive di ogni influenza sul governo dello stato?
H. K.
Berlino, 16 agosto 1800.
Mia cara, amata Minetta, non essere in collera se ricevi questa
lettera con tanto ritardo. Ieri non ho potuto scrivere perché ero
trattenuto da molte faccende... ma questa è una magra scusa. Nessuna
occupazione deve impedirmi di compiere il dovere di dar notizie di me
tempestivamente alla mia cara e fedele fanciulla. Via, perdonami per
questa volta! Certo, se portassi ora queste righe alla posta,
troveresti una mia lettera al tuo ritorno da Tamsel; ma sette righe si
possono dire una lettera? Lasciami dunque chiacchierare ancora un poco
con te confidenzialmente e affettuosamente.
Con quali sentimenti abbia lasciato Francoforte... oh, cara fanciulla,
non te lo posso descrivere, giacché non mi comprenderesti interamente.
Quando mi separai da te andai ancora a coricarmi e rimasi così forse
un'ora e mezza, ma ad occhi aperti, senza dormire. Quando nella
semioscurità del mattino partii, ebbi l'impressione di udire un rumore
a una finestra del vostro salotto. Mi balenò il pensiero che potessi
essere tu. Ma non eri tu, benché avessi l'ardente desiderio di
rivederti ancora una volta. La carrozza si allontanò mentre i miei
sguardi, avendo il corpo rivolto all'indietro, erano ancora fissi
sulla casa diletta. Le lacrime mi salirono agli occhi, desiderai
ardentemente di piangere, ma da troppo tempo ne ho perduto
l'abitudine.
Durante tutto il viaggio fino a Berlino il pensiero di te mi ha
lasciato solo raramente, assai raramente. Sono sicuro che se si
volessero assommare gli istanti di distrazione non si potrebbe
ottenere più di un quarto d'ora. Nulla poteva distarmi, né il
veramente romantico Steinh"fel (una tenuta del maresciallo di corte
Massow) dove si può dire che ogni albero, ogni ramo, persino ogni
foglia siano piantati, curvati e ordinati secondo una precisa idea del
bello; né il fumo che saliva dai camini del castello rammentandomi i
preparativi per ricevere una famiglia reale; né tutto il corteo reale
che mi passò davanti avvolto in una nuvola di polvere; né la bella
strada ormai pronta da Friedrichsfelde a Berlino, sulla quale
viaggiavo con gioia e, se l'avessi costruita io stesso, non senza
orgoglio; e nemmeno il calore cocente del sole che mi avvampava la
testa come se avessi passato l'Equatore, e mi toglieva ogni forza
fisica, senza però turbare la più cara occupazione del mio spirito, il
pensiero di te.
Quando entrai dal portale nella penombra della sera e vidi da
principio le case ampie e larghe disseminate qua e là e isolate, ma
poi sempre più fitte, e la vita divenne sempre più animata e il rumore
sempre più fragoroso, quando finalmente mi trovai immerso nella
superba città regale e la mia anima si apriva per accogliere tutta la
folla di quelle visioni, pensai: Dove sarà mai il caro tetto che un
giorno proteggerà me e il mio amore? qui, accanto a questo superbo
colonnato? là, in quell'angolo recondito? o qui, sulle rive aperte
della Sprea? Mi perderò un giorno in quel vasto edificio con quattro
file di finestre o resterò sempre in questa angusta casetta? Mi
avvierò verso casa la sera, dopo aver terminato il lavoro, a piedi,
con un fascio di carte sotto il braccio, per questo stretto vicolo, o
passerò con un tiro a quattro per questa magnifica strada, davanti a
quel solenne portale? E quando starò per entrare in casa, la mia cara
Minetta mi saluterà con un cenno cordiale dall'alto e mi correrà
incontro su questa scala buia per imprimere sulle mie labbra assetate
il bacio dell'amore, o dovrò cercarla in questo vasto palazzo e