Table Of ContentCLASSICI DELLA FILOSOFIA
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F. W. J. SCHELLING
L’EMPIRISMO FILOSOFICO
E ALTRI SCRITTI
Presentazione e traduzione
di Giulio Preti
LA NUOVA ITALIA EDITRICE
FIRENZE
L
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
1“ edizione: maggio 1967
Il presente volume raccoglie la traduzione dei seguenti
scritti:
Einleitung zìi den Ideen zu einer Pbilosophie der Natur;
Abbandlung iiber das Verhàltnis des Reale» und Ideale»
in der Natur; Stuttgarter Privotvorlesungen; Darstellung
des philosophischen Empirismus. Atis der Einleitung in die
Pbilosophie; tutti compresi in Sàmnitliche Werke, Stutt
gart u. Augsburg, Cotta’scher Verlag, 1856-61.
PRINTED IN ITALY
I
Copyright 1967 by « La Nuova Italia » Editrice, Firenze
PRESENTAZIONE
Nel pensiero e nell’opera di Friedrich Wilhelm Joseph
Schelling (1775-1854) si ritrovano tutti i problemi, tutti i
momenti, tutte le esperienze del pensiero dell’idealismo ro
mantico, tutta la grandezza di quel periodo, e tutti i limiti
di esso. Da una parte quell’inesauribile ricchezza di espe
rienze spirituali, quella curiosità inesausta, quel coraggio nel-
1’affrontare le più ardite avventure speculative che, malgrado
tutto, fanno si che quel periodo e quel movimento esercitino
tuttora un indiscutibile fascino sulle menti dei pensatori e
degli studiosi contemporanei, e che esso si presenti alla no
stra mente con il richiamo nostalgico di una perduta aurea
aetas della filosofia; dall'altra quel dialettizzare astratto, quei
giuochi verbali, quegli arbitri deduttivi, quell’oscuramento
dogmatico dei problemi critici, che tanto ci dispiacevano ne
gli epigoni dell’idealismo — entrambi questi aspetti si ritro
vano nell’opera dello Schelling. La storia del suo pensiero è
un po’ la storia di tutta la filosofia moderna, i suoi problemi
sono in gran parte i nostri problemi, i suoi difetti sono i
difetti, resi qui evidenti dal fatto stesso di essere esasperati,
di tutto l’idealismo in genere.
Non starò qui ad esporre la vita e i vari « sistemi » del
nostro Autore, che il lettore può trovare in qualsiasi storia
della filosofia, senza contare le eccellenti monografie sull’ar
gomento *. Questi « sistemi » che secondo gli storici della
filosofia il Nostro avrebbe elaborati sono tre, o cinque, o
1 Ricorderò soltanto lo Schelling di E. Bréiiier, Paris 1912, e
quello di M. Losacco, Palermo, Sandron [s. d., ma 1914].
r
VI GIULIO PRETI
sette. L'aspetto più disperante per gli autori di monografie
sullo Schelling è proprio questo: che, si può dire, ognuna
delle sue non poche opere presenta una diversa sistemazione
metafisica. Anche in opere redatte negli stessi anni, e quasi
negli stessi mesi, si trovano oscillazioni e differenze notevoli.
Tuttavia nel pensiero dello Schelling ci sono sempre due
strati: uno è, per cosi dire, la scorza, lo strato superiore, co
stituito da una metafisica-dialettica sempre instabile e varia
bile, sempre lirica e in fondo arbitraria, fatta spesso di va
riazioni intuitivo-poetiche intorno a certi temi fondamentali,
il predominare dei quali è appunto il criterio di identifica
zione volta per volta delle tre, o cinque o sette fasi del suo
pensiero. Questo strato è il più appariscente, quello su cui
più volentieri si è soffermata l'attenzione degli storici, quello
cui lo Schelling stesso doveva dare maggiore importanza.
Contiene indubbiamente profonde e interessanti intuizioni
filosofiche: ma è proprio quello che ci lascia il più delle
volte freddi e perplessi, quello che il più delle volte ci fa na
scere il dubbio se siamo di fronte ad un reale pensamento
di esperienze culturali e assetto sistematico di concetti filo
sofici o a giuochi di vuota abilità verbale. Come teologo me
tafisico Schelling non è certo pari a Fichte; come dialettico
è infinitamente inferiore a Hegel: ed è per questo che noi,
che abbiamo visto finora nell’idealismo classico tedesco lo
sviluppo di una metafisica dialettica, al termine « idealismo »
associamo immediatamente i nomi di Fichte e di Hegel, e
solo secondariamente quello di Schelling.
Il secondo strato è invece, per noi, oggi, molto più inte
ressante. Li troviamo il vero Schelling, filosofo nel senso più
pieno della parola; erede attivo e creativo della grande tra
dizione kantiana. Questo strato attraversa costantemente
tutta la sua opera senza differenze di periodi e sistemi, e si
viene via via chiarendo come philosophia prima, come il
problema da cui la filosofia prende le mosse, come punto di
partenza problematico della filosofia. Cosi nel pensiero di
Schelling il pensiero filosofico viene ad essere costituito di
due momenti: un primo momento, propedeutico e proble
matico, elabora il « fatto » del conoscere e corrisponde al-
:
PRESENTAZIONE VII
l’« empirismo filosofico »; il secondo momento, dogmatico,
prende le mosse dai risultati dell’empirismo filosofico e pro
cede alla costruzione del sistema speculativo che ha per og
getto l’Assoluto, il fondamento sovraempirico del reale.
Ma in che cosa consiste propriamente questo « empiri
;
smo filosofico »? E quale è il suo problema? L'empirismo
filosofico è quella parte della filosofia che oggi, sulle tracce
e sotto l’influsso di Ed. Husserl, chiameremmo fenome
nologia. Esso deve partire dal « fatto » del conoscere,
ossia dal problema del conoscere, porne i termini e descri
verne trascendentalmente ( vale a dire risalendo dal « fatto »
alle condizioni che lo rendono possibile) i presupposti im
pliciti. La principale differenza tra la fenomenologia di Hus
serl e quella di Schelling è fondamentalmente questa: che
Husserl parte da un’impostazione psicologistica del problema
fenomenologico per arrivare infine all’impostazione trascen-
dentalistica; mentre invece lo Schelling imposta i m m e -
d latamente il problema fenomenologico come ricerca
delle strutture (ossia condizioni) trascendentali del « fatto »
del conoscere. Questo non è un singolo atto di conoscenza,
né un aspetto particolare del sapere; ma è un « fatto » of
ferto, si, dall’esperienza, ma da un'esperienza sui generis, e
già filosoficamente elaborato, ossia idealizzato. Il fatto del
conoscere da cui parte lo Schelling è quello che Husserl,
Banfi e la fenomenologia moderna chiamerebbero la idea
del conoscere. Ogni scienza riduce i fatti dell’esperien
za secondo un proprio procedimento e attuando certe sue
determinate categorie: il fatto fisico è il fatto della scienza
fisica, ossia ridotto secondo le categorie della Fisica ad
avere un significato per questa scienza; cosi il fatto sociolo
gico è un fatto di esperienza qualsiasi ma ridotto se
condo le categorie della scienza sociologica al suo significato
sociologico, ecc. Anche la Filosofia del conoscere parte da
un fatto: è il fatto del conoscere, che già è ridotto al suo
significato filosofico, secondo le sue categorie fondamentali.
Ora gli atti psicologici di conoscenza vanno ridotti a ciò che
in essi costituisce propriamente il problema filosofico del
conoscere, vanno quindi considerati come attuazioni partico-
Vili GIULIO PRETI
lari e perciò empiricamente contaminate di un atto o rap
porto ideale, del conoscere in quanto tale, ossia dell’ idea
del conoscere. Sappiamo che nessun atto particolare di cono
scenza, nessun patrimonio, per quanto esteso, di sapere, rea
lizzano mai completamente la conoscenza e il sapere: onde
nel conoscere e nel sapere empirico vi è uno sviluppo. La
legge costitutiva di questo sviluppo, che insieme costituisce
il fine immanente dello sviluppo stesso, ossia, in termini ari
stotelici, la forma del conoscere è l’idea del conoscere —
quello che Schelling chiama il « fatto », filosoficamente ela
borato, della conoscenza.
E questo fatto della conoscenza, che è compito della
filosofia spiegare, consiste principalmente in ciò: che vi è un
soggetto conoscente e un oggetto conosciuto, un
ideale e un reale, uno spirito e una natura. Il « fatto » della
conoscenza dal punto di vista filosofico è dunque l’antinomia
di soggetto e oggetto. Con ciò Schelling pone precisamente
il problema critico del conoscere, anticipando le future po
sizioni della Scuola di Marburg, di Husserl, di Banfi, e acco
standosi alla migliore tradizione kantiana.
Compito della filosofia è di risalire alle condizioni tra
scendentali della conoscenza, alle condizioni che rendono
possibile il conoscere malgrado l’antinomia, ed entro essa:
ma prima l’antinomia va completamente riconosciuta nel
l’irriducibile tensione dei suoi due poli. Perciò lo Schelling
critica a più riprese i due tentativi dogmatici di risolvere
l’antitesi in uno dei suoi poli: il realismo scientifico e l’idea
lismo « relativo » (come egli lo chiama). Egli con lunga ana
lisi mette in evidenza la contraddittorietà dei tentativi, fatti
dai newtoniani e poi da molti kantiani minori, di far deri
vare la rappresentazione soggettiva da un influsso causale
esercitato sul soggetto dalla « cosa in sé », tentativo che urta
nel fatto che esso deve introdurre nella « cosa in sé » cate
gorie (successione, finalismo, ecc.) che sono evidentemente
forme del pensiero. Ma dall’altro lato, dapprima timidamen
te, poi con sempre maggiore energia, critica anche l’idea
lismo di Fichte, rappresentante l’atteggiamento dogmatico
opposto, ma come questo insostenibile: il tentativo di risol-
PRESENTAZIONE IX
vere il conoscere nella sola attività del soggetto urta proprio
contro ciò, che il soggetto è tale solo in quanto, essendo sog
getto del conoscere, ha di fronte a sé l’oggetto.
Malgrado questo vivo senso della portata critica del pro
blema, l’impostazione schellinghiana non è pura, ma forte
mente viziata di psicologismo: ossia, il soggetto e l’oggetto,
i due poli dell’antitesi, non sono considerati secondo la pura
idea trascendentale del conoscere, ma già su di un piano di
attualità esistenziale, già contaminati da contenuti empirici
ed assialogici. Il soggetto è già la persona umana in quanto
dotata di capacità conoscitive, e l'oggetto è già il complesso
delle cose, la natura. Nessuna meraviglia, quindi, che il pro
blema fenomenologico si converta immediatamente, nelle
mani dello Schelling, in un problema metafisico, e che i varii
gradi del procedimento da lui seguito per purificare i ter
mini dell’antinomia divengano entità metafisiche, ontologi
camente concepite come momenti dell’Assoluto, o poten
ze di esso. Nella ricerca del fondamento trascendentale del
conoscere si vengono a fondere e a contaminare due esigenze
diverse: l’una è che, se il soggetto e l’oggetto sono due en
tità in un certo senso reali, « essenti », soggetto e oggetto
possono unirsi nella sintesi conoscitiva solo in quanto la
loro differenza è dialettica, fenomenica, ma entrambi sono
manifestazioni di una terza entità reale ed essente, che li
precede entrambi e che in essi si manifesta: l’Assoluto; la
seconda è che, se soggetto e oggetto sono due entità « es
senti » e pertanto entrambi oggetto di conoscenza, in en
trambi si deve trovare la medesima problematicità, la mede
sima antinomia: bisogna risalire ad un’antinomia piti fonda
mentale e piti pura, che non deve essere più concepita come
opposizione di enti, ma di momenti trascendentali. Ed ecco
che l’antinomia è trasferita, in varia maniera, nell’Assoluto,
il quale, pur essendo in sé, ossia secondo la sua sostanza,
indifferente, tuttavia deve o contenere o dare ori
gine alla differenza come differenza dialettico-trascendentale,
X GIULIO PRETI
propria non al suo essere, ma al suo divenire, al suo farsi,
alla sua autoelisi.
Hegel ha mostrato l’insolubilità di un simile problema;
ma Schelling vi si è travagliato per tutta la sua vita, ed ha
tentate varie soluzioni metafisiche, via via approfondite e
poi abbandonate. La prima soluzione è la soluzione ideali
stica, la quale vuole dapprima essere soltanto un « migliora
mento » del sistema fichtiano. Essa è interessante perché co
stituisce una specie di attualismo « avant la lettre », e si tor
menta nella medesima problematica. Eichte e Hegel cercano
la sintesi dopo l’antitesi; Schelling e Gentile prima.
Posto l’Assoluto come Spirito, come Idea, esso tuttavia non
può essere posto come quel soggetto che ha di fronte a sé
l’oggetto, ma come quell'Assoluto Spirito che è immediata
identità di soggetto e oggetto, di ideale e reale. Ma una tale
concezione si apre immediatamente su di un’altra, la conce
zione panteistica derivata da un innesto del pensiero di Spi
noza e di Leibniz sul fondo idealistico. Quell’Assoluto, quel-
l’Assoluta Idea, deve essere l’in fini la essenza in cui si risol
vono sia la coscienza che la realtà, sia l’idealità che la realità:
pensiero e materia devono essere in lui, nell’Assoluto, non
come qualità che lo determinano, bensì come pr itici pii della
sua attuazione ed autodeterminazione. La concezione spino-
ziana degli attributi viene superata in quella, caratte
risticamente schellinghiana, delle potenze, momenti
dialettici produttivi del reale sotto cui può porsi tutta la
capacità dell’Assoluto — oramai identificato con Dio — senza
esaurirvisi. Sotto questa teoria delle « potenze » la fenome
nologia schellinghiana ha fatto notevoli progressi, anche se
oscurala dalla sovrastruttura dei significati metafisici; essa ha
scoperto l’ideale e il reale, l’idea e la materia, come strut
ture autonome, ossia piani e sistemi di concetti, rapporti,
eccetera, in cui il pensiero può risolvere totalmente la realtà
empirica. Ma il metodo metafisico dogmatico con il quale
VAutore arriva alla scoperta, fondamentale dal punto di vi
sta critico, di tali sfere di autonomia della ragione è scon
tato dal residuo metafisico del parallelismo, l’illu
sione cioè di poter tradurre il sistema dei rapporti della na-