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collana diretta da Salvatore Sechi
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Roberto Bartali (cid:129) Luigi Carli (cid:129) Marco Clementi
Richard Drake (cid:129) Franco Mazzola (cid:129) Fernando Orlandi
Gabriele Paradisi (cid:129) Vladimiro Satta (cid:129) Salvatore Sechi
Le vene aperte
del delitto Moro
Terrorismo, Pci, trame e servizi segreti
a cura di Salvatore Sechi
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www.mauropagliai.it
© 2009 EDIZIONIPOLISTAMPA
Via Livorno, 8/32 - 50142 Firenze
Tel. 055 737871(15 linee)
[email protected] - www.polistampa.com
ISBN 978-88-564-0014-4
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SOMMARIO
Salvatore Sechi, Introduzione pag. 7
Richard Drake, Il delitto Moro trent’anni dopo » 19
Marco Clementi, La memoria difensiva di Aldo Moro » 31
Luigi Carli, La colonna genovese delle Brigate rosse » 51
Roberto Bartali, Il Pci e le Brigate rosse » 77
Fernando Orlandi, A Praga, a Praga! » 121
Gabriele Paradisi, Quegli «… ottusi servitorelli…» » 161
Franco Mazzola, Il caso Moro visto dal Palazzo » 189
Vladimiro Satta, La risposta dello Stato ai terrorismi » 203
Salvatore Sechi, Il delitto Moro e l’«eversione atlantica» » 245
Appendice » 315
(comunicato n. 2 delle Br, note di R. Rota, due lettere di B. Craxi)
Bio-bibliografia degli autori » 345
Indice dei nomi » 347
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INTRODUZIONE
Salvatore Sechi
Tutti condannati, ormai quasi nessuno in ceppi, grazie ad una le-
gislazione premiale tanto generosa verso i carnefici quanto malthu-
siana verso le vittime.
Il delitto Moro, il maggiore omicidio politico dell’Italia repubbli-
cana, è in questi scarni dati sulle condizioni delle carceri. L’estinzio-
ne delle pene da parte dei colpevoli rende melanconico il ricordo
della tragica vicenda che le ha giustificate.
Contro chi ha a lungo evocato il carattere repressivo dello Stato
(accusato di essere complice o fomentatore della “strategia della ten-
sione”), la liberazione di tutti gli imputati condannati testimonia il ca-
rattere assai blando della legislazione di emergenza varata in Italia dai
governi negli anni Settanta. È quanto mostrano, comparativamente,
gli studi di Marica Tolomelli sulla Germania occidentale.
Se dal capitolo dei delitti e delle pene si passa all’analisi di ciò
che hanno significato i 55 giorni trascorsi tra il sequestro e l’uccisio-
ne di Aldo Moro, si può parlare di vene aperte.
Domande ancora appese, quasi conficcate, ai punti interrogativi,
smarrimento delle interpretazioni, particolari grandi e piccoli che,
ognuno animato da una logica interna quasi sempre assoluta, si infol-
tiscono sulla filiera. Randagi o malinconicamente muti.
I saggi qui raccolti sono figli dell’occasione (il primo convegno
nazionale sul delitto Moro organizzato dal Comune di Cento, il 15-16
marzo 2008) in cui si sono dipanati i disagi delle versioni ufficiali, il
calore vivo di inesauste polemiche che le ha investite.
Studiosi o affabulatori di dietrologie hanno preso di petto senten-
ze dei tribunali o verdetti politici brandendo come un’arma i risulta-
ti di studi o solo lo squadernamento di fascinose congetture.
A Cento, era la prima volta che i sostenitori di punti di vista diversi
ed opposti si confrontavano a fianco delle tele dolenti del corpulento
Guercino. Dopo un anno sono rimasti i grumi di tenaci contrapposi-
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SALVATORESECHI
zioni, anche se la postura delle divergenze ha meno spigoli e sembra
scemata l’euforia e il gusto, di ascendenza politica, per la rissa continua.
Avviene sempre così, allorché la storiografia (una non-scienza e
sempre umbratile) cede il passo, e lo spazio, alla dietrologia, e la sto-
ria viene piegata oltremodo alla suggestione e alla congettura.
Dopo il convegno nella cittadina emiliana1alcuni interrogativi e di-
lemmi credo siano cambiati o non sono riformulabili nei termini del
passato.
Il rapimento e l’assassinio di Moro, ritenuto il massimo rappre-
sentante politico della borghesia e del segmento italiano del sistema
imperialistico delle multinazionali, fu un’impresa di mano proletaria,
una sorta di vendetta di classe?
Secondo il pubblico ministero che si occupò della colonna geno-
vese delle Brigate rosse2, e le fece condannare, Luigi Carli, i suoi com-
ponenti non superarono mai le 60 unità, ed erano figli della piccola e
media borghesia, per lo più studenti e docenti universitari. Ci fu anche
un manipolo di operai, di sindacalisti, di militanti delle associazioni
cattoliche, di dipendenti dell’azienda municipale trasporti.
La componente operaia arrivò al massimo a 12 presso la brigata Ital-
sider, ma mai a più di due o tre nelle brigate del Porto, dell’Ansaldo ecc.
Fu proprio questa separatezza dalla classe operaia a segnare la fi-
ne del brigatismo genovese. Ebbe luogo dopo l’assassinio di Guido
Rossa, quando il Pci decise di scatenare una risposta massiccia contro
le Br, ponendo fine ad ogni residua complicità o solo comprensione
(lo slogan «Né con le Br né con lo Stato!»).
La testimonianza del giudice ligure fotografa la situazione delle
grandi fabbriche genovesi del 1979-1983. Con l’irruzione in via Frac-
1Al Convegno nazionale “Il delitto Moro. Golpe internazionale e/o terrorismo
italiano?”, organizzato dal Comune di Cento e sponsorizzato dall’Università di Fer-
rara, dal Dipartimento di Studi Politici della Luiss di Roma, dalla rivista «Nuova
Storia Contemporanea» e dal Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale di Le-
vico Terme, hanno preso parte Roberto Bartali, Giovanni Bianconi, Nicola Bion-
do, Francesco Biscione, Luigi Carli, Gianni Cipriani, Marco Clementi, Andrea
Colombo, Giuseppe De Lutiis, Aldo Giannuli, Paolo Mastrolilli, Franco Mazzola,
Fernando Orlandi, Francesco Perfetti, Rosario Priore, Sandro Provvisionato, Vla-
dimiro Satta, Salvatore Sechi (ideatore e organizzatore del Convegno).
2Per una prima ricostruzione cfr. Chiara DOGLIOTTI, La colonna genovese delle
Brigate Rosse, «Studi storici», n. 4 (2004), pp. 1151-1177.
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