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Indice
La sospensione del processo con messa alla
prova dell’imputato minorenne
Introduzione
Capitolo 1
Natura e ratio dell’ istituto
1.1 Origini della messa alla prova……………………………………………….pag. 7
1.2 Finalità educativa della messa alla prova………………………………pag. 8
1.3 Natura giuridica della messa alla prova nell’ordinamento
italiano…………………………………………………………………………………..pag.11
Capitolo 2
Presupposti applicativi della messa alla prova
2.1 Presupposti oggettivi……………………………………………………………pag.13
2.2 Presupposti soggettivi………………………………………………………….pag.31
Capitolo 3
Le fasi del procedimento di messa alla prova
3.2 L’ ordinanza di sospensione del processo…………………………..pag.44
3.1 L’ iniziativa per l’ applicazione dell’ istituto…………………………pag.48
3.3 L’ impugnazione dell’ ordinanza………………………………………….pag.54
3.4 La durata del periodo di prova…………………………………………….pag.58
3.5 Le sedi privilegiate per l’applicazione della misura……………..pag.65
1
Capitolo 4
Organi e soggetti della messa alla prova
4.1 Il Tribunale per i minorenni…………………………………………pag.77
4.2 Il pubblico ministero……………………………………………………pag.82
4.3 L’ imputato………………………………………………………………….pag.85
4.4 Il difensore………………………………………………………………….pag.89
4.5 I servizi minorili……………………………………………………………pag.92
4.6 Il nucleo familiare……………………………………………………….pag.96
4.7 La persona offesa dal reato………………………………………..pag.100
Capitolo 5
Il progetto di intervento
5.1 L’elaborazione del progetto………………………………………pag.103
5.2 Le caratteristiche del progetto………………………………….pag.109
5.3 Il contenuto del progetto………………………………………….pag.113
Capitolo 6
Gli esiti della misura
6.1 Le verifiche periodiche e l’udienza finale…………………pag.119
6.2 La revoca della misura……………………………………………..pag.125
6.3 La proroga della misura……………………………………………pag.130
6.4 L’esito positivo e l’estinzione del reato……………………pag.132
6.5 L’esito negativo e la riattivazione del processo……….pag.138
Conclusioni
Bibliografia……………………………………………………………pag.146
Giurisprudenza………………………………………………………pag.153
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Introduzione
Le regole che gli ordinamenti hanno adottato per differenziare la
risposta istituzionale al reato commesso da un individuo in età
minore hanno dovuto risolvere un duplice interrogativo: da un lato l’
indicazione di uno stadio evolutivo in corrispondenza del quale la
persona non è in grado di percepire ne l’ illiceità del
comportamento, ne il significato della reazione della pubblica
autorità; dall’ altro la graduazione dell’ intervento, in ragione delle
caratteristiche proprie di un soggetto in formazione, sia sotto l’
aspetto fisico che psichico. Nel nostro ordinamento, i principi e le
disposizioni generali del processo penale minorile rappresentano
certamente il necessario adeguamento alla scelta del rito
accusatorio ,prevista per il rito ordinario; tuttavia sono espressione
dell’ adeguamento a linee di politica minorile consacrate in sede
internazionale nelle Regole minime per l’ amministrazione della
giustizia minorile(Regole di Pechino). Il riferimento alle regole
internazionali, i criteri della legge delega n.81/1987 e le stesse
disposizioni del d.p.r.448/1988 consentono di elaborare un nucleo
di principi fondamentali del rito minorile, quale entità autonoma.
Fermo restando l’ autonomia del processo penale minorile ,l’ art.1
del d.p.r.448/1988 indica il c.d. principio di sussidiarietà e il c.d.
3
principio di adeguatezza applicativa, dal momento che nel
procedimento a carico di minorenni si osservano le disposizioni del
d.p.r.448/1988 e per quanto da esse non previsto, quelle del Codice
di procedura penale. Il richiamo ,nell’ applicazione normativa, del
necessario adeguamento alla personalità e alle esigenze educative
del minore ha portato a definire il rito minorile come processo di
accertamento del fatto e al tempo stesso della personalità. Pertanto
l’ attività giurisdizionale è inevitabilmente rivolta alla ricerca di
forme adatte per il recupero del minore secondo una finalizzazione
educativa ricavabile sia dalle numerose occasioni di
risocializzazione, sia dai ripetuti vincoli fatti al magistrato di “non
interrompere i processi educativi in atto”, ovvero di non
pregiudicare le esigenze educative e della personalità del minore. Lo
strumento principale per attuare la funzione educativa dell’
intervento penale nei confronti dei giovani devianti è rappresentato
dall’ istituto della Sospensione del processo e messa alla prova del
minore, introdotto nel nostro ordinamento dall’ art. 28
d.p.r.448/1988. Esso mira alla salvaguardia della personalità del
minore con l’ obiettivo di articolare la fase processuale intorno a
strumenti e modi capaci di favorire la responsabilizzazione attiva del
minore imputato. Tale istituto rappresenta il fulcro di tutta la
riforma processuale penale minorile, in quanto realizza appieno l’
4
orientamento del legislatore, che ha ritenuto l’ ingresso del soggetto
autore di comportamenti illeciti o devianti nel circuito penale, come
ipotesi da non privilegiare, quando ci si trova di fronte a personalità
ancora in evoluzione, quali sono appunto le personalità minorili. Di
fronte a soggetti in via di sviluppo, il legislatore ha preferito
dedicare attenzione all’ esame della personalità, per comprendere il
reale significato dell’ atto di devianza commesso, al fine di percepire
se l’ atto stesso rispecchi un modo di essere costante del soggetto o
se sia piuttosto da inquadrare nell’ambito di una condotta
meramente occasionale, influenzata dall’ambiente socio-familiare.
Alla base di questo istituto c’è la convinzione che il recupero del reo
avvenga più facilmente nel suo ambiente di vita quotidiana,
piuttosto che nella istituzione chiusa del carcere che lo isola, lo
impoverisce e lo stimola negativamente. Di conseguenza nei
confronti del minore, l’esperienza carceraria e quella processuale
rappresentano un grave pregiudizio per l’ evoluzione della sua
personalità. Nel nostro ordinamento, prima della riforma del 1988,
la risposta penale nei confronti del minore era caratterizzata da
specificità riguardanti le condizioni di esclusione o diminuzione dell’
imputabilità, i luoghi e le condizioni di esecuzione della pena
detentiva, la concessione del perdono giudiziale, la misura di
sicurezza del riformatorio. Nel sistema attuale, invece, il processo
5
penale minorile è finalizzato a favorire il recupero sociale del minore
deviante, che abbia commesso un reato e la cui personalità è in
corso di formazione.
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Capitolo 1
Natura e ratio dell’istituto
1.1 Origini della messa alla prova
La messa alla prova appartiene alla grande famiglia della probation,
nella quale rientrano i provvedimenti giudiziari, che pur
soprassedendo alla detenzione, contengono regole di condotta
modificabili e revocabili e con possibilità di nuovo giudizio in caso di
inosservanza. In quanto strumento valutativo e di controllo del
comportamento precedente, l’ istituto, finalizzato all’astensione
della pretesa punitiva dello Stato, costituisce una novità assoluta
per il nostro ordinamento. Il modello ispiratore è quello della
probation di origine anglosassone, però l’istituto previsto dall’art.28
d.p.r.448/88 se ne differenzia in modo sostanziale in quanto
rappresenta una probation processuale, che, intervenendo nel corso
del processo, ne comporta la sospensione per un periodo
predeterminato, allo scopo di consentire al giudice di “valutare la
personalità del minore all’ esito della prova”. Quindi non costituisce
un intervento successivo all’emanazione di una sentenza di
condanna e non rappresenta un’ alternativa all’ espiazione della
pena.
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1.2 Finalità educativa della messa alla prova
In pratica la messa alla prova modifica l’ambito di intervento dal
versante giudiziario a quello educativo e l’oggetto del giudizio si
allarga dal fatto alla persona. La sospensione prevista dall’art.28
d.p.r.448/88 precede quindi la pronuncia sul merito e la messa alla
prova, pur non essendo “misura clemenziale”1, consente di evitare il
ricorso alla sanzione detentiva nei confronti dei minorenni e
costituisce strumento di attuazione di alcuni obiettivi tipici dei
sistemi di giustizia minorile, quali la rapida uscita dal circuito penale,
la tempestività dell’intervento istituzionale, la mediazione tra
minore e vittima e l’esigenza di fornire al minore risposte
individualizzate. L’istituto inoltre permette di evitare gli effetti
etichettanti del processo penale2 e impedisce di stigmatizzare
penalmente l’ imputato minorenne, salvaguardando al tempo stesso
inevitabili processi di autosvalutazione che possono risultare
devastanti in una personalità in via di formazione3. Le esigenze che
l’istituto mira a tutelare sono tracciate sia dalla Carta Costituzionale,
sia dai Trattati internazionali in materia minorile4. Il fondamento
1A. De Pauli, Prescrizioni “biblioterapiche” nella messa alla prova di minori, in Dir.
pen. e proc., 1997, pag. 613
2 D. Spirito, Principi e istituti del diritto penale nel nuovo processo a carico di
minorenni, in Giust. pen., 1990, III, pag.145
3S. Larizza, Il diritto penale dei minori- Evoluzione e rischi di involuzione, Cedam,
Padova, 2005,pag. 295
4 V. Risoluzione ONU 40/33 –Regole minime per l’ amministrazione della giustizia
minorile del 29/11/1985
8
costituzionale della sospensione del processo con messa alla prova è
rinvenibile nel combinato disposto degli artt. 27 comma 3 e 31
comma 2 Cost.,da cui risulta il diritto all’ educazione del minore,
salvaguardato anche nel momento sanzionatorio. Sono stati inoltre
invocati gli artt. 2 e 3 Cost. che descrivono il quadro costituzionale
del diritto del minore ad un pieno e completo sviluppo della persona
e ad un proficuo inserimento sociale5. L’art. 28 D.P.R. 448/1988
affida al giudice il difficile compito di “ processare educando”, di
coniugare in modo equilibrato le esigenze giurisdizionali di
accertamento del fatto-reato con quelle di prevenzione speciale nei
confronti di un soggetto la cui personalità è in fase di formazione. La
messa alla prova quindi costituisce uno strumento concreto di
attuazione della funzione educativa del rito minorile, perché
consente di trasformare l’ evento processuale da momento
traumatico nella vita del giovane ad opportunità di riscatto e di
crescita sul piano individuale e sociale. Rappresenta infatti un’
occasione di reciproca utilità: da una parte vi è l’ imputato, al quale
vengono forniti gli stimoli sul piano educativo e motivazionale, per
crescere e dimostrare la volontà di cambiare, riparando, ove
possibile, anche le conseguenze del reato in favore della persona
offesa; dall’ altra parte vi è lo Stato, che rinuncia a punire perché
5 D. Spirito, Principi e istituti del diritto penale nel nuovo processo a carico di
minorenni, GP, 1990,pag. 141
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preferisce recuperare un giovane, facendo appello al suo senso di
responsabilità verso se stesso, verso la vittima e verso la società. La
rinuncia alla sanzione penale non è offerta al minore come frutto di
mera clemenza, ma come il giusto completamento di un progetto
educativo che lo stesso minore deve aver attivamente contribuito a
realizzare6. La ratio dell’ istituto è quindi quella di permettere all’
imputato di intraprendere un percorso di responsabilizzazione, che
lo induca a dissociarsi definitivamente dalla scelta deviante, se del
caso anche interagendo con la persona offesa dal reato, tramite
pratiche di giustizia riparativa e di mediazione penale inserite nel
progetto educativo, con l’ intento di rafforzare la coscienza sociale
del soggetto.
6A. Pulvirenti, Il giudizio e le impugnazioni, in La giustizia penale minorile:
formazione, devianza, diritto e processo, a cura di Pennisi, Giuffrè, Milano, 2004,
pag. 330
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Description:deviante, che abbia commesso un reato e la cui personalità è in 63 M.G. Coppetta, La sospensione del processo con messa alla prova, in Trattato