Table Of ContentLXXXII 2016
PONTIFICIUM
INSTITUTUM
PONTIFICIUM INSTITUTUM UTRIUSQUE IURIS
UTRIUSQUE IURIS
FACULTAS IURIS CIVILIS
STUDIA
ET DOCUMENTA STUDIA ET DOCUMENTA
HISTORIAE
HISTORIAE ET IURIS
ET IURIS
DIRECTOR
@ HENRICUS dal COVOLO
REDACTOR
FRANCISCUS AMARELLI
A SECRETIS
FRANCISCA GALGANO
LXXXII - 2016
APPENDICE
LATERAN
UNIVERSITY
PRESS
ISSN 1026-9169
LATERAN UNIVERSITY PRESS
AURELIO ARNESE
LA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO :
RELIGIO IURISIURANDI E UTILITÀ COMUNE
1. – La speditezza delle liti è stata, da sempre, viva preoccupazione
dei Romani. Un’esigenza che si avverte fin dalle XII Tavole, nel modo
in cui disciplinano la in ius vocatio, alla quale dedicano una minuziosa
regolamentazione. E già dalle prime battute, disponendo, da un lato, che
alla « chiamata in giudizio » da parte dell’attore (si in ius vocat) il convenuto
« vada » (ito) : e, se recalcitrante, autorizzando l’attore ad « afferrarlo » (igitur
em capito), e ove « faccia il furbo e muova il piede » (si calvitur pedemve struit)
a costringerlo « con la manus iniectio » (manum endo iacito) 1. E, dall’altro lato,
imponendo allo stesso attore, nel caso di malattia, anzianità, imperfezione
fisica, una bestia da soma (si morbus aevitasve vitium escit, iumentum dato) ; « se
il convenuto non vuole », però « non sia tenuto a fornirgli una vettura co-
perta » (si nolet, arceram ne sternito). Fra le varie disposizioni che scandiscono
lo svolgimento del processo sono particolarmente significative le norme
contenute nei versetti 6-9 : « Se i litiganti si mettono d’accordo, tu prendine
atto » (rem ubi pacunt, orato). Il che significa che la lite è risolta attraverso
una transazione 2. « Se invece non si mettono d’accordo, ciascuno esponga
le proprie ragioni nel comizio o nel foro prima di mezzogiorno » (Ni pacunt,
in comitio aut in foro ante meridiem caussam coiciunto). « Quando espongono le
rispettive ragioni siano entrambi presenti » (Cum peroranto ambo praesentes).
« Dopo mezzogiorno si decida la lite a favore della parte presente » (post
meridiem praesenti litem addicito). « Se sono presenti entrambe, il calar del sole
sia l’ultimo momento utile per la decisione della lite » (Si ambo praesentes,
1 Si coglie, e specialmente attraverso il verbo calvor (da cui calumnia, come scrive Gaio
nel primo libro del suo commentario alle XII Tavole : ‘Si calvitur’ : et moretur et frustretur. inde et
calumniatores appellati sunt, quia per fraudem et frustrationem alios vexarent litibus : inde et cavillatio dicta
est : D. 50.12.233 pr.), la raffigurazione dell’atteggiamento del convenuto che con fare ostruzio-
nistico ostacolava la in ius vocatio : v. G. Nicosia, Il processo privato romano. II. La regolamentazione
decemvirale, Catania 1984, 27 s. ; D.A. ceNtola, Alcune osservazioni n tema di calumnia nel processo
privato romano dalla repubblica al principato, in SDHI. 66 (2000) 169 s. ; E. BiaNchi, La « temerarietà »
nelle Istituzioni di Gaio (4, 171-182), in SDHI. 67 (2001) 53 ss ; A.M. Giomaro, Per lo studio della
calumnia. Aspetti di « deontologia » processuale in Roma antica, Torino 2003, 110 e nt. 142, 158 nt. 203
e 215 s.
2 A. Biscardi, Lezioni sul processo romano antico e classico, Torino 1968, 56 s.
2 Aurelio Arnese
solis occasus suprema tempestas esto) 3. Con enunciazioni concise, « lapidarie » 4,
le XII Tavole dettano i tempi del processo e ne regolano la sua durata.
Fissano con precisione le attività da compiersi : causam coicere, perorare litem,
addicere. Atti da svolgersi tutti in rapida sequenza. A battere il ritmo del
processo sono tre momenti temporali : « prima » (ante) e « dopo » (post) il
« mezzogiorno » (meridiem) e il « tramonto » (solis occasus) 5 : quasi che nella
Roma primitiva esistesse « una specie d’orologio vivente » 6. Nella previsio-
ne normativa il processo doveva dispiegarsi nel periodo di luce, iniziare
e finire nell’arco di una giornata – che a Roma si apriva all’alba e si
chiudeva al tramonto – e concludersi entro il termine massimo (suprema
tempestas) del calar del sole. Il procedimento si caratterizza, dunque, per
la sua « semplicità e rapidità » 7. È una linea, quella volta a risolvere le
controversie e a garantirne così una durata breve, che si ritrova con una
certa costanza in tutte le stagioni del processo romano. La stessa introdu-
zione della perenzione, e cioè l’estinzione del processo entro un termine
determinato, va in questa direzione. La lex Iulia iudiciorum, del 17 a.C. 8,
fissò a diciotto mesi la durata delle cause civili, disponendo che i legitima
iudicia « se non vengono definiti entro un anno e sei mesi, si estinguono »
(nisi in anno et sex mensibus iudicata fuerint, expirant), come Gaio attesta in
Inst. 4.104, e con una postilla : « Ed è ciò che comunemente si dice, che
in virtù della legge Giulia la lite muore in un anno e sei mesi » 9. E ad
Augusto, il promotore di quelle leggi che « riordinarono la procedura » 10,
va riconosciuto il merito – a informarci è Svetonio – di « impedire che
i misfatti e i processi finissero in un nulla per impunità o per lungaggi-
ne », col destinare alla trattazione delle cause più di trenta giorni, che
prima venivano occupati dai ludi onorari 11. Ma non solo. Nello stesso
verso di una riforma dei tempi e dei modi dell’apparato giudiziario si
3 Cfr. Gellio che cita le norme decemvirali nell’annotare le parole sole occaso, « a sole cadu-
to » (N.A. 17.2.10) : espressione letta negli Annali di Quinto Claudio, e che l’autore della Notti
Attiche ritiene « di non spiacevole vetustà per chi abbia un orecchio non sordido né logorato »
(Sole occaso’ non insuavi vetustate est, si quis aurem habeat non sordidam nec proculcatam).
4 A. Biscardi, Lezioni sul processo romano cit. 56.
5 Quello « delle tappe del sole nel corso della giornata » è « il primo involucro » nel quale
« le XII Tavole raccolgono » l’« attività processuale » : F. P. casavola, Prima di tutti i secoli, nell’ora
della nostra morte, in Tempo della storia tempo della vita, cur. A. Lovato, Napoli 2014, 29.
6 Così B. alBaNese, La menzione del meridies in XII tab. 1,6-9, in Brevi studi di diritto romano, VI,
AUPA. 42 (1992) 107, poi in Scritti Giuridici, III, Torino 2006, 143.
7 G. Nicosia, Il processo privato romano II. La regolamentazione decemvirale, Torino 1986, 118.
8 Sulle due leggi, iudiciorum publicorum e privatorum, « spesso citate come un corpo unico »
(Gai 4.104), v. G. rotoNdi, Leges publicae populi Romani, Milano 1912 (rist. anast. 1962), 448 s.
9 Et hoc est quod vulgo dicitur e lege Iulia litem anno et sex mensibus mori.
10 Leges publicae populi Romani cit. 448.
11 Aug. 32 : Ne quod autem maleficium negotiumve inpunitate vel mora elaberetur, triginta amplius dies,
qui honoraris ludis occupabantur, actui rerum accomodavit.
La ragionevole durata del processo 3
muovono altre disposizioni contenute nelle leggi : « aggiungere alle tre
decurie dei giudici una quarta, formata da cittadini di censo inferiore »,
che fu chiamata dei Ducenari e che « giudicava delle cause pecuniarie di
minor valore » ; scegliere i giudici a partire dal trentesimo anno di età, e
cioè cinque anni meno di quanto si usasse prima ; e di fronte a quanti,
« parecchi », « cercavano di sottrarsi a questo ufficio », decidendo, sia pure
« contro voglia », « di concedere che ogni decuria, a turno, avesse un
anno di vacanza, e che, contrariamente al solito, non si trattassero cause
nei mesi di Novembre e di Dicembre » 12. Ma a ritrarre l’imperatore in
questo suo intento di ristrutturare il sistema giudiziario, modificando
apparato e procedure – Gellio racconta del conforto e aiuto che derivò
dalla legge Giulia in ordine ai rinvii e agli altri usi e costumi legali 13 – e
a suffragarne l’anelito, il suo impegno personale, giova ancora una volta
la testimonianza di Svetonio, per il quale « egli stesso amministrò la
giustizia con assiduità e talvolta anche fino a notte ; se fisicamente stava
poco bene, in una lettiga collocata davanti al tribunale o anche in casa
sua, a letto » 14. In Dione Cassio si avverte il proposito di Augusto « snellire
il più possibile le pratiche che riguardavano le controversie tra privati
cittadini e rendere le sentenze le più rapide possibili » 15. Ma non è il solo
princeps attento a limitare la durata dei processi. Lo fanno anche altri
dopo di lui. Di Claudio si sa, grazie sempre al racconto di Svetonio, che
« unificò lo svolgimento dei processi, prima divisi tra mesi estivi e quelli
invernali », e che « affidò alle autorità stabilmente, e anche nelle province,
la giurisdizione dei fedecommessi, che prima era consuetudine affidare ai
magistrati di anno in anno e solo in Roma » 16. E Vespasiano – è ancora
Svetonio a informarci – di fronte al dato, allarmante, che « le liste dei
processi si erano allungate dovunque a dismisura, rimanendo pendenti le
vecchie liti a causa dell’interruzione della giurisdizione e aggiungendosene
12 Aug. 32 : Ad tris iudicum decurias quartam addidit ex inferiore censu, quae ducenariorum vocaretur
iudicaretque de levioribus summis. Iudices a tricensimo aetatis anno adlegit, id est quinquennio maturius quam
solebant. Ac plerisque iudicandi munus detractantibus vix concessit, ut singulis decuriis per vices annua vacatio
esset et ut solitae agi Novembri ac Decembri mense res omitterentur.
13 N.A. 14.2.1 : Atque in dierum quidem diffisionibus conperendinationibusque et aliis quibusdam legitimis
ritibus ex ipsa lege Iulia … commoniti et adminiculati sumus.
14 Aug. 33 : Ipse ius dixit assidue et in noctem nonnumquam, si parum corpore valeret, lectica pro tribunali
collocata vel etiam domi cubans.
15 KalÕn mn oân ™sti kaˆ tÕ t¦ tîn „diwtîn ¢mfisbht »mata æj ™l£cista poioànta
t¦j dialÚseij aÙtîn æj t£cista kaqist£nai …
16 Claud. 23 : Rerum actum divisione antea in hibernos aestivosque menses coniunxit. Iuris dictionem
de fidei commissis quotannis et tantum in urbe delegari magistratibus solitam in perpetuum atque etiam per
provincias potestatibus demandavit. Sul fatto che « in materia di fedecommessi in città si giudica
sempre », v. Gai Inst. 2.279. Cfr. V. Giodice saBBatelli, Fideicommissorum persecutio. Contributo allo
studio delle cognizioni straordinarie, Bari 2001, 135 ss.
4 Aurelio Arnese
di nuove per lo stato e la turbolenza dei tempi, sorteggiò dei magistra-
ti incaricati della restituzione dei beni rapinati durante la guerra e di
dirimere in via straordinaria, riducendole al minor numero possibile, le
cause di competenza dei centumviri, ad espletare le quali sembrava a
stento bastare la vita dei litiganti » 17. Ma pure di Marco Aurelio si sa,
dal suo biografo Giulio Capitolino, che « rivolse una cura particolarmente
attenta all’amministrazione della giustizia » e « aggiunse ai normali giorni
giudiziari altri, così da stabilire duecentotrenta giorni all’anno per la
trattazione delle cause e la decisione delle liti » 18.
2. – Uguale cura, l’impegno ad assicurare una durata ragionevole
dei processi, si riscontra anche in Giustiniano, autore di vari interventi
legislativi diretti a tal fine. Un segnale non trascurabile lo si può cogliere
già nella decisione della commissione incaricata di comporre il Digesto di
aprire il titolo 12.2, dedicato al giuramento – e dove « le denominazioni
iusiurandum voluntarium e necessarium » sono « zwar justinianisch » 19 – con un
brano tratto da un’opera gaiana, assai interessante : Maximum remedium
expediendarium litium in usum venit iurisiurandi religio, qua vel ex pactione ipsorum
litigatorum vel ex auctoritate iudicis deciduntur controversiae (D. 12.2.1, Gai. 5 ad
ed. prov.). Qui il giurista afferma che il giuramento, più precisamente « la
religione del giuramento », rappresenta « il più grande rimedio per risolvere
le liti », e aggiunge che « grazie a questo mezzo si decidono le controversie
o per un patto degli stessi litiganti o per l’autorità del giudice » 20. Ebbene,
collocata lì in testa, a guisa di epigrafe e guida di tutta la trattazione
del tema, la riflessione di Gaio acquista una particolare rilevanza. La
frase iniziale, maximum remedium expediendarium litium in usum venit iurisiurandi
17 Vesp. 10 : Litium series ubique maiorem in modum excreverant, manentibus antiquis intercapedine iuris
dictionis, accedentibus novis ex condicione tumultuque temporum ; sorte elegit per quos rapta bello restituerentur
quique iudicia centumviralia, quibus peragendis vix suffectura litigatorum videbatur aetas, extra ordinem diiudi-
carent redigerentque ad brevissimum numerum.
18 SHA. Marc. 10.10 : Iudiciariae rei singularem diligentiam adhibuit. Fastis dies iudiciarios addidit, ita
ut ducentos triginta dies annos rebus agendis litibusque disceptandis constitueret.
19 M. Kaser, Das römische Zivilprozessrecht, München 1966, 197 nt. 2. Considera la distinzi-
one fra iusiurandum voluntarium e iusiurandum necessarium « estranea al pensiero giuridico classico »,
L. amiraNte, Il giuramento prestato prima della litis contestatio nelle legis actiones e nelle formulae, Napoli
1954, 45 s. (v. pure pp. 22 s.), che dedica al tema del giuramento decisorio un esame delle
« dottrine moderne e sistematiche giurisprudenziali classiche » (pp. 1-47) : un’analisi della leter-
atura « dominata », come tiene ad affermare, « dall’opera di Demelius », Schiedseid und Beweiseid
im römischen Civilprozesse. Beitrag zur Erörterung der Eidesfrage, Lipsia 1887, e che anche dopo di lui
« ruota nella sua orbita » non riuscendo a « liberarsi dai suoi schemi e dai suoi angoli visuali »
(p. 1).
20 Un pezzo, quest’ultimo, che si ritiene interpolato : v. soprattutto L. amiraNte, Il giura-
mento prestato prima della litis contestatio nelle legis actiones e nelle formulae cit. 32 e nt. 109 ; 38 nt. 130,
190 nt. 47 ; M. Kaser, Das römische Zivilprozessrecht cit. 198 nt. 8.
La ragionevole durata del processo 5
religio, non pare una « piatta constatazione », una « innocua affermazione
… a cui i commissari giustinianei vollero attribuire inconsueta dignità » 21.
A rivalutarla, racchiusa in quel breve torno di parole, essa contiene
una informazione importante. A ritmarne la sequenza concorrono vari
elementi. A cominciare dall’uso della parola remedium, termine caro al
giurista antonino, e rintracciabile in altri luoghi della sua produzione a noi
pervenuta, D. 7.5.2.1 e D. 35.2.80.1, e sempre adoperato a indicare auxi-
lium, beneficium 22. In D. 7.5.2.1 23, il giurista adopera remedium nel giudicare
l’innovazione introdotta dal senatoconsulto che nella prima età imperiale
(forse alla metà del primo secolo d.C.) disciplinò il legato di usufrutto
riconoscendone la validità anche ove non avesse avuto ad oggetto cose
consumabili, come il denaro, e dando vita così ad una figura giuridica
nuova che prese il nome di quasi ususfructus. Un intervento normativo
motivato da utilità : utilitatis causa senatus censuit, come si legge in Inst. Iust.
2.4.2. E in D. 35.2.80.1 24, remedium si trova usato (e insieme, circostanza
da non trascurare, al verbo succurrere) a proposito dei legati indivisibili, che
appartengono per intero al legatario. L’aiuto concesso all’erede consiste
nella possibilità di far valutare il legato ed ottenerne, nel caso di mancata
corresponsione, una parte della stima e, ove non venga versata, utilizzare
la exceptio doli. Un altro dato significativo in D. 12.2.1 è costituito dall’e-
spressione in usum venit che, in linea con la decisa propensione di Gaio
per il « ricordo storico », al quale attribuisce una « intrinseca utilità » 25, ci
riporta all’esperienza antica : può farci risalire, attraverso la testimonianza
di Svetonio, all’usanza « praticata per lungo tempo » (Div. Iul. 85 : longo
tempre perseveraviut) di compiere dinanzi alla « massiccia colonna di marmo
numidico alta quasi venti piedi, eretta dalla plebe nel foro con l’iscrizione
‘al padre della patria’ », atti importanti come « l’offrire sacrifici, il « fare
voti » e il « dirimere controversie o giurando nel nome di Cesare » : contro-
versias quasdam interposito per Caesarem iure iurando distrahere.
21 Come la giudica, invece, L. amiraNte, Il giuramento prestato prima della litis contestatio nelle
legis actiones e nelle formulae cit. 46, 189.
22 Come si legge nel V.I.R, alla voce relativa ; all’accezione « traslata » di remediumiuris.
23 Quo senatus consulto non id effectum est, ut pecuniae usus fructus proprie esset ( nec enim naturalis ratio
auctoritate senatus commutari potuit), sed remedio introducto coepit quasi usus fructus haberi.
24 Quaedam legata divisionem non recipiunt, ut ecce legatum via ei tineris actusve : ad nullum enim ea res
pro parte potest pertinere. sed et si opus municipibus heres facere iussus est, individuum videtur legatum : neque
enim ullum balineum aut ullum theatrum aut stadium fecisse intellegitur, qui ei propriam formam, quae ex
consummatione contingit, non dederit : quorum omnium legatorum nomine, et si plures heredes sint, singuli in
solidum tenentur. haec itaque legata, quae dividuitatem non recipiunt, tota ad legatarium pertinent. Sed potest
heredi hoc remedio succurri, ut aestimatione facta legati denuntiet legatario, ut partem aestimationis inferat, si
non inferat, utatur adversus eumex ceptione doli mali.
25 F. P. casavola, Gaio nel suo tempo, in Atti del simposio romanistico, Napoli 1966, ora in
Giuristi adrianei, Napoli 1980, 161.
6 Aurelio Arnese
3. – Ma l’elemento più rilevante è rappresentato dalle parole religio
iurisiurandi, immagine che si incontra ancora in Gaio, nelle sue Istituzioni,
in 4.181, a descrivere il vincolo che nasce dal giuramento : qui autem resti-
pulationis poenam patitur, ei neque calumniae iudicium opponitur neque iurisiurandi
religio iniungitur ; nam contrarium iudicium ex his causis locum non habere palam est 26.
Nel testo, che conclude il discorso sui mezzi (iudicium calumniae, iudicium
contrarium, iusiurandum, restipulatio : Inst. 4.174 27) apprestati per sanzionare
la calunnia dell’attore, cioè di colui che abbia tenuto un comportamento
processuale scorretto intentando una lite temeraria, il giurista afferma
che a chi subisce la penale della restipulatio non è applicabile, oltre al
« giudizio di calunnia » e al « giuramento », anche il « giudizio contrario ».
Iurisiurandi religio è un’espressione sulla quale è opportuno sostare. E ciò
per la presenza della parola religio, un termine duttile, « versatile » 28, del
cui significato si « discute fin dall’antichità », esitando gli antichi « tra
due spiegazioni » 29 : una « sacrale », ad alludere ai doveri nei confronti
della divinità 30, e l’altra « laica », ad indicare lo scrupolo, la diligenza 31.
Ebbene, nella locuzione iurisiuriandi religio sembrano coesistere entrambi
gli aspetti. Come emerge da un passo del De officiis di Cicerone, in cui
si legge che « il giuramento è un impegno di natura religiosa ; ciò che tu
hai promesso solennemente, quasi invocando a testimone la divinità, si
deve mantenere » : est … ius iurandum affirmatio religiosa ; quod autem affirmate
quasi deo teste promiserit, id tenendum est 32. « E ciò non riguarda l’ira degli
dei, che non esiste, ma la giustizia e la parola data » : iam enim non ad
iram deorum, quae nulla est, sed ad iustitiam et ad fidem pertinet. A suffragare
il suo pensiero Cicerone si affida all’autorità di Ennio : « infatti », scrive,
26 Actoris quoque calumnia coercetur modo calumniae iudicio, modo contrario, modo iureiurando, modo
restipulatione. V. pure il passo, che è però assai lacunoso, di Inst. 4.171, in cui si legge la frase
pecuniaria poena modo iurisiurandi religione.
27 Sul brano v. A. M. Giomaro, Per lo studio della calumnia cit. 113 ss. (ivi lett.).
28 Cfr. A. K. michels, The versatility of religio, in Papers presented in honour of G. Bagnani,
Peterbourg 1976, 36 ss.
29 Osserva E. BeNveNiste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, II, Potere, diritto, religione,
trad. it. M. Liborio, Torino 1976, 487 ss.
30 J. holleGouarc’h, Le vocabulaire latin des relations et des partis politiques sous la republique,
Paris 1972, 276 e nt. 10 ; J. B. KreBs, Antibarbarus der Lateinischen Sprache, II, Basel/ Stuttgard
1984, 495.
31 Sull’intreccio fra profili religiosi e giuridici nel giuramento v. F. Zuccotti, Il giuramento in
Grecia e nella Roma pagana : aspetti essenziali e linee di sviluppo, in Seminari di storia e di diritto, II, « Studi
sul giuramento nel mondo antico », cur. A. Calore, Milano 1998, id. Il giuramento nel mondo giuridico e
religioso antico. Elementi per uno studio comparatistico, Milano 2000, passim e A. calore, « Per Iovem
lapidem ». Alle origini del giuramento. Sulla presenza del ‘sacro’ nell’esperienza giuridica romana, Milano
2000, ai quali si rinvia anche per l’ampia letteratura sull’argomento.
32 3.29.104 : è il testo con il quale, e assi opportunamente, L. amiraNte apre la voce
Giuramento nel NNDI. VI, Torino 1961, 937.
La ragionevole durata del processo 7
« ottimamente (disse) Ennio : ‘O alma Fede alata e giuramento di Giove?’ ».
E aggiunge : « chi dunque viola il giuramento, questi viola la fides, che i
nostri antenati, come si legge in una orazione di Catone, vollero collocare
sul Campidoglio, ‘vicina di Giove Ottimo Massimo’ » 33. È, questa di
Cicerone, una pagina mirabile : scritta, nell’occuparsi di una delle « due
parti rimanenti dell’onesto » (la terza, quella riguardante « la superiorità
e la elevatezza di un animo nobile ») 34, per celebrare la figura di Attilio
Regolo, la « grandezza e fortezza d’animo » (magnitudo animi et fortitudo) di
cui dette prova « rispettando il giuramento prestato » (ius iurandum conser-
vandum putabat) 35. Ed è una virtù, è ancora Cicerone a dirlo, che risale
agli « antenati », i quali « vollero che non ci fosse vincolo più impegnativo
del giuramento nel mantenere la parola data » : nullum enim vinculum ad
adstringendam fidem iure iurando maiores artius esse voluerunt 36. « Lo rivelano le
leggi delle dodici tavole, le leggi sacrate, i trattati con i quali si impegna
la parola anche con i nemici, le inchieste e le pene dei censori, i quali
null’altro giudicavano con tanta severità che non il giuramento » 37.
4. – Il giuramento è, dunque, un atto vincolante, un impegno da
rispettare, onorare. La presenza, nell’espressione religio iurisiurandi, di religio
– termine che non cessa di conservare, sia pure sbiadito, un significato
« sacrale », di rispetto, timore reverenziale verso gli dei, come nell’uso
pomponiano di D. 1.1.2 : erga deum religio 38 – conferisce solennità (e soli-
dità) al vincolo. Sta ad assicurare « conscientiousness » e « scrupulousness »
nell’adempimento del proprio dovere 39. Come risulta dai molti frammenti
dei giuristi nei quali compare il termine e, nella maggior parte dei casi,
con riferimento a « chi giudica » (iudicans, iudex) 40 : da Gaio (D. 50.13.6) 41,
33 3.29.104 : Nam praeclare Ennius : ‘O Fides alma apta pinnis et ius iurandum Iovis!’ Qui ius igitur
iurandum violat, is fidem violat, quam in Capitolio ‘vicinam Iovis Optimi Maximi’, ut in Catonis oratione est,
maiores nostri esse voluerunt.
34 De off. 3.25.96 : Reliquae sunt duae partes honestatis, quarum altera in animi excellentis magnitudine
et praestantia cernitur. V. pure 1.5.15 : Animi excelsi atque invicti magnitudine ac robore.
35 De off. 3.27.100.
36 De off. 3.31.111.
37 De off. 3.31.111 : Id indicant leges in duodecim tabulis, indicant sacratae, indicant foedera, quibus
etiam cum hoste devincitur fides, indicant notiones animadversionesque censorum, qui nulla de re diligentius quam
de iure iurando indicabant.
38 V. pure D. 10.2.30 : reliquiae … quibus religio … debebatur … exequi ius religionis.
39 Così A. BerGer, Encyclopedic Dictionary of Roman Law, Philadelpha 1953, s.v. Religio, 673.
Cfr. H. heumaNN – F. secKel, Handlexikon zu den Quellen das römischen Rechts, Graz 1958, s.v.
Religio 503 (6).
40 Su questo uso v. A. arNese, Maleficium. Le obbligazioni da fatto illecito nella riflessione gaiana,
Bari 2011, 104 ss.
41 3 rer. cott. sive aur. Si iudex litem suam fecerit, non proprie ex maleficio obligatus videtur : sed quia
neque ex contractu obligatus est et utique peccasse aliquid intellegitur, licet per imprudentiam, ideo videtur quasi
8 Aurelio Arnese
Pomponio (D. 7.6.2) 42, Papiniano (D. 22.5.13) 43, Paolo (P.S. 5.5a.10 44 ;
D. 22.3.25.3) 45, Callistrato (D. 42.1.33) 46. E a volte relativamente al pretore
e al governatore della provincia : da Giulio Aquila al praetor (D. 26.10.12) 47,
da Ulpiano anche al governatore (D. 1.18.6.2 48 : praesides ; D. 27.9.5.11 49 :
praetor). Il vocabolo compare finanche in una oratio principis, di Settimio
Severo, e trasmessaci da Ulpiano in D. 27.9.1 pr.-2 50 : messaggio in cui
l’imperatore – nell’annunciare che « avrebbe proibito ai tutori e curatori
di vendere i fondi rustici e urbani a meno che i genitori non avessero
disposto, nel testamento o in codicilli, che ciò fosse fatto » qualora « il debito
fosse tanto elevato da non poter essere adempiuto con altri beni » – preve-
de la possibilità di adire il pretore urbano perché « stimasse secondo la sua
ex maleficio teneri in factum actione, et in quantum de ea re aequum religioni iudicantis visum fuerit, poenam
sustinebit.
42 5 ad Sab. Si ab herede ex testamento fundi usus fructus petitus sit, qui arbores deiecisset aut aedificium
demolitus esset aut aliquo modo deteriorem usum fructum fecisset aut servitutes imponendo aut vicinorum
praedia liberando, ad iudicis religionem pertinet, ut inspiciat, qualis ante iudicium acceptum fundus fuerit, ut
usufructuario hoc quod interest ab eo servetur.
43 1 de adult. Quaesitum scio, an in publicis iudiciis calumniae damnati testimonium iudicio publico
perhibere possunt. sed neque lege remmia prohibentur et iulia lex de vi et repetendarum et peculatus eos homines
testimonium dicere non vetuerunt. verumtamen quod legibus omissum est, non omittetur religione iudicantium ad
quorum officium pertinet eius quoque testimonii fidem, quod integrae frontis homo dixerit, perpendere.
44 Falsis instrumentis religione iudicis circumducta, si iuam dicta sententia prius de crimine admisso
constiterit, eius causae instauratio iure deposcitur.
45 3 quaest. In omnibus autem visionibus quas praeposuimus licentia concedenda est ei, cui onus probationis
incumbit, adversario suo rei veritate iusiurandum ferre, prius ipso pro calumnia iurante, ut iudex iuramenti fidem
secutus ita suam sententiam possit formare, iure referendae religionis ei servando.
46 5 cogn. Divus Hadrianus, aditus per libellum a iulio tarentino et indicante eo falsis testimoniis,
conspiratione adversariorum testibus pecunia corruptis, religionem iudicis circumventam esse, in integrum causam
restituendam in haec verba rescripsit : ‘exemplum libelli dati mihi a iulio tarentino mitti tibi iussi : tu, si tibi
probaverit conspiratione adversariorum et testibus pecunia corruptis oppressum se, et rem severe vindica et, si qua
a iudice tam malo exemplo circumscripto iudicata sunt, in integrum restitue’.
47 Lib. resp. Nihil proponi, cur praescribere curator possit in cognitione suspecti, quo minus religio praetoris
a pupillari servo detegente fraudes instruatur.
48 1 opin. Ne potentiores viri humiliores iniuriis adficiant neve defensores eorum calumniosis criminibus
insectentur innocentes, ad religionem praesidis provinciae pertinet.
49 35 ad ed. In primis igitur quotiens desideratur ab eo, ut remittat distrahi, requirere debet eum, qui
se instruat de fortunis pupilli, nec nimium tutoribus vel curatoribus credere, qui nonnumquam lucri sui gratia
adseverare praetori solent necesse esse distrahi possessiones vel obligari. requirat ergo necessarios pupilli vel
parentes vel libertos aliquos fideles vel quem alium, qui notitiam rerum pupillarium habet, aut, si nemo inveniatur
aut suspecti sint qui inveniuntur, iubere debet edi rationes itemque synopsin bonorum pupillarium, advocatumque
pupillo dare, qui instruere possit praetoris religionem, an adsentire venditioni vel obligationi debeat.
50 35 ad ed. Imperatoris Severi oratione prohibiti sunt tutores et curatores praedia rustica vel suburbana
distrahere. quae oratio in senatu recitata est Tertullo et Clemente consulibus idibus iuniis et sunt verba eius
huiusmodi : ‘praeterea, patres conscripti, interdicam tutoribus et curatoribus, ne praedia rustica vel suburbana
distrahant, nisi ut id fieret, parentes testamento vel codicilllis caverint. quod si forte aes alienum tantum erit, ut ex
rebus ceteris non possit exsolvi, tunc praetor urbanus vir clarissimus adeatur, qui pro sua religione aestimet, quae
possunt alienari obligarive debeant, manente pupillo actione, si postea potuerit probari obreptum esse praetori. si
communis res erit et socius ad divisionem provocet, aut si creditor, qui pignori agrum a parente pupilli acceperit,
ius exsequetur, nihil novandum censeo’.
La ragionevole durata del processo 9
religiosa sollecitudine ciò che poteva essere alienato o vincolato in pegno,
restando al pupillo l’azione ove in seguito potesse essere provato che il
pretore era stato ingannato ». Ora, tornando a religio iurisiurandi, si coglie
subito la forza del vincolo che promana da questa combinazione. Un
dato che emerge con evidenza dai molti passi dei giuristi nei quali religio e
iusiurandum compaiono insieme, uniti nel binomio, come in D. 31.77.23 51,
di Papiniano, o anche separati, ma vicino, nella trama del discorso, come
in D. 22.3.25.3 di Paolo 52, e in vari frammenti di Ulpiano : D. 4.3.21 53,
D. 12.2.25 54, D. 12.3.4.1 55, D. 28.7.8 pr. 56.
5. – A leggerlo dunque con attenzione, D. 12.2.1 si rivela documento
di grande interesse. Gaio rileva qui l’importanza del giuramento come
mezzo per risolvere le liti. Un dato, e un esigenza, che risulta dalle at-
testazioni di altri giuristi 57, tra i quali spicca Paolo, in un frammento del
quale, collocato dai compilatori a ridosso di quello gaiano, D. 12.2.2 58,
si legge che il giuramento, quello « volontario », « contiene un specie di
transazione » – che è l’accordo con cui di fronte ad una « questione dub-
bia » (res dubia) « e ad una lite incerta e non conclusa » (et lite incerta neque
finita), facendosi reciproche concessioni (aliquo dato aliquo retento), le parti
pongono fine ad una controversia esistente fra di loro 59 – ed « ha una
51 8 resp. Filius matrem heredem scripserat et fideicommissa tabulis data cum iurisiurandi religione praestari
rogaverat. cum testamentum nullo iure factum esset, nihilo minus matrem legitimam heredem cogendam praestare
fideicommissa respondi : nam enixae voluntatis preces ad omnem successionis speciem porrectae videbantur.
52 Già citato.
53 11 ad ed. Quod si deferente me iuraveris et absolutus sis, postea periurium fuerit adprobatum, labeo
ait de dolo actionem in eum dandam : pomponius autem per iusiurandum transactum videri, quam sententiam et
Marcellus libro octavo digestorum probat : stari enim religioni debet.
54 26 ad ed. Sed et si servus meus delato vel relato ei iureiurando, iuravit rem domini esse vel ei dari
oportere, puto dandam mihi actionem vel pacti exceptionem propter religionem et conventionem.
55 36 ad ed. Deferre autem iusiurandum iudicem oportet : ceterum si alius detulerit iusiurandum vel non
delato iuratum sit, nulla erit religio nec ullum iusiurandum : et ita constitutionibus expressum est imperatoris
nostri et divi patris eius.
56 50 ad ed. Quae sub condicione iurisiurandi relinquuntur, a praetore reprobantur : providit enim, ne is, qui
sub iurisiurandi condicione quid accepit, aut omittendo condicionem perderet hereditatem legatumve aut cogeretur
turpiter accipiendi condicionem iurare. voluit ergo eum, cui sub iurisiurandi condicione quid relictum est, ita
capere, ut capiunt hi, quibus nulla talis iurisiurandi condicio inseritur, et recte : cum enim faciles sint nonnulli
hominum ad iurandum contemptu religionis, alii perquam timidi metu divini numinis usque ad superstitionem,
ne vel hi vel illi aut consequerentur aut perderent quod relictum est, praetor consultissime intervenit. etenim potuit
is, qui voluit factum, quod religionis condicione adstringit sub condicione faciendi relinquere : ita enim homines
aut facientes admitterentur aut non facientes deficerentur condicione.
57 Celso in D. 4.8.37 (2 dig.), scrive « si ricorre agli arbitri non per procrastinare le liti ma
per eliminarle » : non … differendarum litium causa, sed tollendarum ad arbitros itur.
58 Paul. 18 ad ed. Iusiurandum speciem transactionis continet maioremque habet auctoritatem quam res
iudicata.
59 P.S. 1.1.5 ; D. 2.15 ; C.I. 2.4.
Description:2 A. Biscardi, Lezioni sul processo romano antico e classico, Torino 1968, 56 s. Quaesitum scio, an in publicis iudiciis calumniae damnati testimonium .. triennio » : censemus … omnes lites super pecuniis … non ultra triennii