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CLASSICI LATINI
COLLEZIONE FONDATA DA
AUGUSTO ROSTAGNI E ITALO LANA
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UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE TORINESE
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© 2004 Ristampa - Unione Tipografico-Editrice Torinese
Corso Raffaello, 28 - 10125 Torino
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INTRODUZIONE
La filosofia di Epicuro.
La dottrina che Epicuro! prese a insegnare in Atene sullo
scorcio del IV secolo a. C., nel periodo di profonda crisi delle isti-
tuzioni e degli animi, di guerre e di rivolgimenti sociali che seguì
alla conquista di Alessandro, doveva, nell'intenzione del maestro,
fornire una visione del mondo e dell'uomo commisurata alle nuove
esperienze universalistiche e cosmopolitiche realizzate dagli Elleni,
e insieme offrire un valido mezzo di conlorto a un'umanità tur-
bata e incerta. Alle illusioni della religione popolare, ai miti della
filosofia di ascendenza platonica, agli elementi superstiziosi accolti
anche in dottrine rigorosamente immanentistiche, Epicuro con-
trapponeva il suo coerente sensismo e la spiegazione meccanicistica
dell'universo. Guardare bene in faccia la realtà, darne una giustifi-
cazione razionale fondata sulla testimonianza infallibile dei sensi,
acquistare coscienza delle effettive possibilità dello spirito umano:
questa era la via aperta all'uomo per giungere alla liberazione e
alla pace. Cardine della filosofia epicurea fu perció la fisica, che si
richiamava all’atomismo democriteo. Il mondo in cui viviamo è il
risultato dell'accozzo casuale d'una parte degli infiniti atomi che
si muovono ab aeterno nello spazio infinito; e non è unico, ché
anzi nell'universo ci sono innumerevoli mondi simili al nostro,
destinati a dissolversi prima o poi nei corpuscoli elementari di cui
sono costituiti. Ogni causa trascendente, ogni ordine provvidenziale
sono esclusi dal cosmo. Nel rigido determinismo della rneccanica
I. Epicuro nacque da genitori ateniesi nel 341 a. C. a Samo, dove tra-
scorse la giovinezza e si formó alla scuola di un filosofo democriteo. Venuto
diciottenne in Atene e completata qui la sua istruzione, iniziò l’insegna-
mento a trentadue anni, dapprima a Mitilene e Lampsaco, poi in Atene
(nel famoso « Giardino »), dove lo continuò fino alla morte avvenuta nel
270 a. C. Dei suoi numerosissimi scritti restano a noi solo tre lettere con-
servate da Diogene Laerzio (a Erodoto, a Pitocle, a Meneceo), le Massime
capitali, il Testamento, una raccolta di Sentenze trovata in un manoscritto
vaticano, e frammenti dell’opera Sulla natura restituiti dai-papiri ercolanesi.
IO INTRODUZIONE
atomica di Democrito, che finiva con l’assoggettare l’uomo a una
necessità più inesorabile del fato, Epicuro introdusse però un'inno-
vazione in apparenza insignificante, in realtà di portata rivoluzio-
naria: la deviazione spontanea degli atomi dalla loro traiettoria
rettilinea. Questa deviazione, necessaria per spiegare l’incontro e
l'aggregazione degli atomi, che altrimenti, cadendo tutti vertical-
mente nel vuoto alla medesima velocità, non potrebbero urtarsi
mai, è anche il principio della volontà e della libertà degli esseri
animati. In quanto è dotato di libero arbitrio, l'uomo può « sce-
gliere » la sua vita, comportarsi nel modo più adatto al consegui-
mento della felicità a cui aspira. Come il mondo, come il corpo,
così l'anima umana è un aggregato di atomi soggetto a nascita e
morte: poiché dunque l’anima non sopravvive al corpo, sono as-
surdi i timori di pene oltremondane. Gli dèi esistono, perché ne
abbiamo il concetto; ma vivendo eternamente beati negli spazi
tra mondo e mondo, non si curano dell’ordinamento dell’universo
né delle cose umane. Onorandoli disinteressatamente e senza su-
perstizione, l'uomo saggio istituisce fra sé e la divinità un rap-
porto spirituale che gli assicura la pace interiore e gli ispira la
fondata speranza di poter vivere egli stesso una vita simile a quella
degli dèi, sebbene limitata nel tempo.
Una volta rimossi ad opera della fisica e della teologia gli osta-
coli più gravi che si oppongono alla felicità — il timore della morte
e dell'ira divina -, l'etica epicurea mira ad assicurare l'uomo che
la felicità stessa é facilmente raggiungibile quando siano soddisfatti
i pochi bisogni naturali e necessari, perché essa consiste essenzial-
mente nell'assenza del dolore fisico (che del resto é breve e provvi-
sorio) e nella condizione dell'animo libero da turbamenti e passioni
(atarassia). In tal modo la felicità è identificata da Epicuro con il
piacere stabile o negativo (catastematico). Infine l'amicizia fra i
saggi, fondata sulla comune adesione alla dottrina, permette la
formazione di una società ristretta e intima in cui essi possono
trovare sicurezza e conforto, astenendosi da ogni partecipazione
attiva alla vita politica della comunità statale.
Diffusione dell'epicureismo in Roma.
Tale era la filosofia che, dopo aver conquistato in breve tempo
larghi strati del mondo ellenistico, giunse a Roma relativamente
presto, se già un secolo dopo la morte di Epicuro, nell’anno 173
a. C., il senato romano decretava l'espulsione dalla città dei filosofi
epicurei Alcio e Filisco, accusati di introdurre costumi licenziosi.
INTRODUZIONE II
Una notevole diffusione dell'epicureismo nel mondo latino si ebbe
però soltanto verso la fine del secondo e più ancora nel primo se-
colo avanti Cristo, durante le età di Silla e di Cesare: nel periodo,
cioè, della crisi risolutiva della repubblica, in una situazione per
vari aspetti analoga a quella che aveva favorito la nascita e lo svi-
luppo della dottrina in Oriente. Ma il travaglio che Roma sofferse
in questa età fu incomparabilmente più profondo e drammatico
di quello che avevano conosciuto i Greci del quarto e del terzo se-
colo. Nello scatenamento degli egoismi, delle ambizioni smisurate,
degli odi di parte, il richiamo dell'epicureismo all'interiorità del-
l'uomo, alla scienza austera, all'amicizia, al distacco dalla vita po-
litica, fu accolto con trasporto entusiastico: tanto risolutamente
esso corrispondeva all’aspirazione delle coscienze. E, fatto ancor
più importante, l’epicureismo affermava i diritti della ragione
in un mondo dominato dall’irrazionalità e dall’arbitrio.
Sulla grandiosa diffusione della dottrina nell'ambiente romano
ci ha lasciato testimonianze impressionanti l'avversario dell’epicu-
reismo, Cicerone, il quale ci fa intendere che l'adesione a quella
filosofia ebbe in Italia carattere addirittura popolare ?. Lo stesso
Cicerone ci ha conservato i nomi dei divulgatori latini della
filosofia epicurea, Amafinio, Rabirio, Catio, sui quali formula
un giudizio sprezzante: difetta ad essi l’arte dell’espressione
e della dialettica, fanno uso del sermo vulgaris, traducono in
modo risibile i termini tecnici della filosofia ellenica *. Le notizie
ciceroniane relative alla diffusione dell'epicureismo in Italia s'in-
contrano tutte in scritti posteriori al 45 a. C.; ma se ne ricava
2. ...Italiam totam occupaverunt (Tusc. disp., IV, 6); ...istorum hominum
est multitudo (ibid., V, 28); ...nescio quo modo, is qui auctoritatem minimam
habet, maximam vim, populus cum illis facit (De fin., II, 44). Sulla diffu-
sione dell'epicureismo nel mondo romano si veda specialmente P. Grur-
FRIDA, L'epicureismo nella lett. latina nel I secolo a. C., Torino, I, 1940,
II 1950, ed E. PARATORE, L'’epicureismo e la sua diffusione nel mondo
latino, « Quaderni della Riv. di Cult. Class. e Medioev.», Roma, 1960.
. 3. E sintomatico che analoghe accuse di incultura e di inettitudine
siano state rivolte ai rhetores Latini, una scuola di retorica che alla fine
del II e agli inizi del I secolo a. C. si propose di fornire ai giovani delle
classi più umili l'istruzione oratoria indispensabile per affermarsi nella lotta
politica. Essa venne chiusa nel 92 per decreto del censore Licinio Crasso,
un aristocratico che fu il massimo oratore della generazione precedente
a quella di Cicerone, con il pretesto che si trattasse di una « scuola di im-
pudenza » (CICERONE, De orat., III, 24, 93 segg.); ma l’insegnamento con-
tinuò con successo anche dopo quel provvedimento. Probabilmente ci
furono a Roma in quel tempo seri tentativi di organizzare una cultura
popolare tendenzialmente antioligarchica; ma gli sforzi vennero in tutti
i modi ostacolati e frustrati dalla classe aristocratica.
12 INTRODUZIONE
l'impressione che esse debbano riferirsi in complesso a un mo-
mento alquanto anteriore, forse di qualche decennio. In ogni
modo, la questione della priorità fra i trattati epicurei in prosa
latina e il De rerum natura di Lucrezio non può essere risolta, allo
stato attuale delle nostre conoscenze.
Neanche ci è possibile dire fino a che punto la gran massa
dei seguaci latini dell’epicureismo fosse consapevole della « forza
sovvertitrice infinitamente più esplosiva » 4 acquistata dalla dot-
trina una volta trasportata nel mondo romano. La contrapposi-
zione di puorg e véuoc, di legge naturale eternamente immutabile
e di umana convenzione o consuetudine passibile di mutamento,
era acquisita all'uomo greco fin dal tempo dei « fisiologi » ionici;
più tardi, da un lato i sofisti e dall'altro Democrito avevano dato
a questa idea la massima diffusione. L'epicureismo non aveva
fatto che raccogliere l'eredità di un filone di pensiero attivissimo
attraverso tutta la filosofia greca dell'età classica, portandone le
conclusioni alle estreme conseguenze. Ma un simile concetto era
totalmente estraneo alla mentalità dei Romani. Nel 155 (pochi
anni dopo la cacciata degli epicurei greci) il grande filosofo acca-
demico Carneade, per aver dimostrato in una pubblica conferenza
il carattere convenzionale e variabile della giustizia, era stato
invitato ad allontanarsi senza indugio da Roma con i filosofi suoi
compagni di ambasceria, Diogene stoico e Critolao peripatetico.
E ora l’epicureismo portave in forma radicale, addirittura fra le
classi popolari di Roma, la teoria dissolvitrice secondo cui lo Stato
è sorto per una tardiva convenzione umana, l'individuo mira per
istinto solo all’utile e al piacere personale, e non ha per natura
nessun obbligo verso la comunità. Ma c'è di più. Osserva Thomas
A. Sinclair 5 che, se pure «i Romani colti potevano aver abbando-
nato tali credenze, ...tutte le cerimonie e le divinazioni per mezzo
degli àuguri della religione ufficiale facevano ancora parte della
4. PARATORE-PIZZANI, Lucreti, « De rerum natura » loci notabiles, Roma,
1960, p. 30. Ettore Paratore ha ampiamente dimostrato l'atteggiamento
ostile dell'epicureismo verso i valori tradizionali della romanità, sia in
quest’opera (specialmente nelle pp. 30-39), sia, prima ancora, nel suo Vir-
gilio, Roma, 1946, pp. 63-66. Si veda anche B. FARRINGTON, Scienza e
politica del mondo antico, Milano, 1960 (18 ed. inglese, London, 1939),
P. 147 segg., il quale però esagera, giungendo ad attribuire all'epicureismo
un orientamento politico democratico: si leggano in proposito le giuste
osservazioni di A. MoMIGLIANO, Secondo contributo alla storia degli studi
classici, Roma, 1960, pp. 375-388.
5. Il pensiero politico classico, Bari, 1961 (1% ed. inglese, col titolo A
History of Greek Political Thought, London, 1951), p. 379.