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9 78884033 9098
€ 10,00
1• ristampa, maggio 2008
1• edizione, febbraio 2007
© copyright 2007 by Carocci editore S.p.A., Roma
Finito di stampare nel maggio 2008
dalle Arti Grafiche Editoriali Sr� Urbino
ISB9N78 -88-430-3909-8
Riproduzione vietata ai sensi di legge
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Indice
Introd7u zione
1. Idle sotliltnmaroo e r te
nell'impmoapgoil1na5ar rei o
1.1L.a psyché 15
1.2L.'A de 19
1.3. L'Elisio 22
1.4. Divinità dell'Ade e guide nel viaggio oltremondano 25
Per riassumere... 32
2. Lar ivolduezlsilpoaen rea3 n3z a
2.1I.nt roduzione 33
2.2I. m isteri eleusini 34
2.3. Le iniziazioni dionisiache 37
2.4. Le lamine d'oro, Pindaro e altre testimonianze "orfiche" 40
2.5. L'escatologia dei pitagorici e il papiro di Derveni 49
2.6. La contrapposizione anima/corpo da Pindaro a Platone 51
Per riassumere... 55
3. Illu nadgdioo 56
3.1. Introduzione 56
3.2. Le cerimonie del cordoglio 58
3.3. Cremazione, inumazione e riti finali 74
Per riassumere... 79
4. L'uldtiimemou arnn a u olveog a81m e
'6.1I.nt roduzione 81
4.2. Stele, monumento e iscrizione funebre 83
Per riassumere... 97
5. Il buon uso della morte 98
5.1. La morte eroica in battaglia 98
5.2. La polis e l'ideologia funeraria 109
5.3. Legislazione e regolamenti funerari 117
Per riassumere... 122
Bibliografia 123
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Introduzione
Immaginare una forma di sopravvivenza ultraterrena, o anche
escluderla, affidando alla memoria collettiva la speranza di lasciare
una traccia che superi il limite concesso all'uomo dalla natura;
congedarsi da chi muore attraverso i riti funebri; elaborare il distac
co coltivando il ricordo di chi è scomparso: sono i tratti distintivi
del rapporto che intratteniamo con la morte, come individui e
come gruppi sociali, un rapporto cosl intenso da condizionare la
cultura, le attese, l'ideologia e persino lo stile di vita delle comunità
umane, anche quando si cerca di esorcizzarlo relegandolo il più
possibile ai margini del meccanismo sociale.
La civiltà occidentale moderna ha una ridotta familiarità con la
morte, si rassegna sempre meno alle angosce che derivano dalla sua
attesa e ne teme ogni interferenza con le attività dei vivi, focalizzate
in modo esclusivo sull'acquisizione e sulla difesa del benessere e del
successo, nell'illusione che la loro precarietà -ineliminabile, come
effimeri ne restano i presupposti: avvenenza fisica, salute, ricchezza
-si possa contrastare con eHìcacia crescente. La scomparsa di un
individuo dalla società non deve intaccarne i meccanismi o creare
pause che segnino una ferita pubblica da rimarginare collettiva
mente. Questo criterio contempla certo delle eccezioni quando
muoiono persone che si sono guadagnate uno spazio speciale
nell'immaginario popolare, per la notorietà acquisita attraverso i
mezzi di comunicazione di massa o perché delegate a rappresentare
i valori ignorati nell'egoismo della sfera individuale: un uomo di
Stato, un pontefice romano o le vittime di aggressioni, criminali,
belliche, terroristiche, il cui bersaglio simbolico sono l'unità e il
funzionamento dell'intero corpo sociale e istituzionale, possono
ancora essere al centro di riti funebri spettacolari, che coinvolgono
folle variegate e commosse. Ma un commiato grandioso e incon
sueto, come la vita o la morte di chi viene celebrato, oggi di fatto
inverte i comportamenti collettivi anziché amplificarli. Per il resto
l'occasione naturale del morire, a cominciare dal rapporto fra il
moribondo e coloro che gli stanno intorno {ìno alle manifestazioni
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di lutto e alle esequie, è ormai l'antitesi, quasi un'immagine in nega
tivo, di quanto accadeva nella tradizione culturale che abbiamo alle
spalle, quella greco-romana e poi, sia pure con significativi muta
menti, quella cristiana.
L'interdetta che riguarda il discorso sulla morte nella società
contemporanea è una svolta radicale, che giunge al paradosso di
negare prestigio ai riti di congedo. Eppure la cultura occidentale ha
conosciuto una perenne oscillazione tra momenti in cui la gestione
esclusiva del cordoglio e delle cerimonie del lutto tocca alla fu.miglia
del defunto, e altri in cui la codificazione di regole che si propongo
no di arginarne l'iniziativa testimonia la preoccupazione di limitare
il coinvolgimento emotivo della comunità. Per intervenire efficace
mente su un evento naturale, decretando la morte sociale de1l'indi
viduo attraverso riti con cui le istituzioni ribadiscono anche la
propria continuità e il proprio ordine, esse devono anzitutto poter
contare su credenze condivise e rappresentazioni collettive relativa
mente stabili, che rispondano in modo attendibile al momento trau
matico della separazione imposta dalla morte. Ma come altre espres
sioni psichiche, al confine tra le convinzioni dettate dal pensiero
logico e gli spazi interiori che si aprono alla fede o all'irrazionale,
anche il dolore del lutto oggi viene considerato un'emozione perso
nale, da vivere con pudore in privato e da nascondere o dominare in
pubblico. La nostra cultura individualistica ha soppresso il codice
rituale consuetudinario che aiutava a mostrare apertamente la soflè
renza, e poi condividerla con altri ed elaborarla senza per questo
compromettere la sicurezza sociale del vivere quotidiano.
Se si guarda indietro alla civiltà greca antica e al modo in cui furo
no concepiti nel tempo il cordoglio e i riti funebri, onore dovuto ai
morti e insieme esigenza dei vivi, si potrà valutare la risposta di una
società tradizionale al trauma della perdita di un suo membro, ma
scorgere anche, in nuce, la dinamica tra la serena accettazione di
questo evento nelle piccole comunità compatte che precedettero la
nascita della polis, nell'vm secolo a.C., e le ansie di una visione più
individualizzata della morte. Con esse si registra l'affiorare sporadi
co di attese escatologiche, mentre la legislazione funeraria di molte
città si preoccupa di moderare il cordoglio e di attenuarne la visibi-
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lità. Prima che l'odierno mondo della tecnica -con l'intervento,
talora prevaricante, della medicina e dell'ospedalizzazione - si
appropriasse della gestione del trapasso, sostituendosi alla famiglia
e dettando le regole di una "buona morte", che non desta scandalo
solo se è vissuta come fatto marginale rispetto al consueto flusso
della vita, il pendolo tra evento strettamente familiare e rito pubbli
co, in cui la comunità si fa carico dei tempi e dei modi del lutto,
segnava però un'oscillazione radicalmente diversa. Si limitava,
infatti, a spostare l'enfasi ora sulla dimensione sociale, ora su quella
privata, senza mai negare dignità al discorso sulla morte e tanto
meno farne oggetto di rimozione o tabù.
Nella civiltà industrializzata contemporanea la rinuncia parallela, da
parte del nucleo familiare ma anche della collettività più ampia, ad
assumersi la regia del transito fra la vita e la morte lascia ad antro
pologi, psicologi e sociologi il compito di studiarne gli effetti sui
vivi ma, di fatto, occulta e censura l'evento che meno si riesce a
conciliare con la felicità: la costante frustrazione degli sforzi per
trasformarlo in un semplice passaggio biologico, in cui ansia e soffe
renza siano ridotte al minimo, risulta intollerabile. La morte e i suoi
riti sono così diventati una sorta di tabù come logica conseguenza
dell'allentarsi dei vincoli di solidarietà, nonché dello scacco impo
sto dalla natura, persino nell'età di un vertiginoso progresso scienti
fico, all'ambizione umana di dominare e differire il più possibile la
fine della vita. La perenne ambivalenza del rapporto con la morte,
in bilico fra coinvolgimento e distacco, oggi presenta dunque una
simmetrica rimozione sul versante del controllo delle pulsioni e
degli affetti individuali e su quello dell'isolamento sociale del
morente, senza la reciproca compensazione che si attivava da un
lato o dall'altro nelle varie fasi conosciute dalla gestione privata o
istituzionale delle angosce umane. Il percorso proposto in queste
pagine per delineare i mutamenti dell'ideologia funeraria e del
confronto con la morte nella Grecia arcaica e classica intende
mettere in luce il movimento regolare del pendolo: l'avvicendarsi di
familiari e istituzioni come protagonisti sulla scena del lutto, e il
modo in cui, in base alle rispettive esigenze, si tracciano i confini del
suo rilievo privato e sociale.
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