Table Of ContentLA MAGNA GRECIA 
E IL  LONTANO  OCCIDENTE 
ATTI DEL VENTINOVESIMO CONVEGNO 
DI STUDI SULLA MAGNA GRECIA 
TARANTO, 6-11 OTTOBRE 1989 
ISTITUTO PER LA STORIA E L'ARCHEOLOGIA 
DELLA MAGNA GRECIA-TARANTO 
MCMXC
Questo volume che raccoglie gli Atti del XXIX Convegno di Studi sulla Magna Grecia 
svoltosi a Taranto dal 6 all'Il ottobre 1989, è pubblicato dall'Istituto per la Storia e l'Ar 
cheologia della Magna Grecia, con i contributi del Consiglio Nazionale delle Ricerche, del 
Ministero dei Beni Culturali e Ambientali e dell'Ente Provinciale del Turismo di Taranto_ 
La redazione è stata curata da Attilio Stazio con la collaborazione di Stefania Ceccoli e 
Rosa Vitale_
PRESENTAZIONE 
Per la loro situazione geografica, per la portuosità e le risorse 
naturali delle loro zone costiere, l'Italia e la  Sicilia hanno assunto, 
dai primi momenti dell'esplorazione navale del Mediterraneo occi 
dentale,  una indispensabile funzione,  oltre che di statio e tràmite, 
di vera e propria base d'operazione, vicaria di quella d'origine dei 
navigatori: in altri termini,  una sistematica ricognizione  delle  ter 
rae incognitae ad ovest della Sardegna esigeva ben più che la fon 
dazione di emporii e la frequentazione di porti iapigi o enotrii, si 
cani o siculi.  Specialmente dacché sulle  rotte verso l'Occidente si 
erano riversati navigatori anatolici e siriani e sul canale di Sicilia 
incombeva Cartagine  con  le  sue aspirazioni all'egemonia mercan 
tile nei mari occidentali, le poleis trafficanti si erano convinte della 
necessità di essere presenti nell'Italia meridionale e in Sicilia con 
colonie  saldamente fissate,  destinate  a  divenire  poleis  ma  legate 
alle  rispettive  metropoleis  dali 'infrangibile  vincolo  delle  comuni 
tradizioni, e promotrici di ulteriori esplorazioni.  Spettò quindi alle 
poleis  italiote  e  siceliote  intessere  costanti  relazioni  commerciali 
con grandi emporii della penisola Iberica e affrontare in prima li 
nea, e non solo sul piano commerciale, la concorrenza di Cartagine 
e delle  città dei  Tirreni.  È  sintomatico di  questa funzione  storica 
delle  colonie greche  del versante  tirrenico  d'Italia  il fatto  che  in 
quell'area cercarono rifugio dalla servitù ad un tiranno o al re per 
siano  i  cittadini politicamente più maturi delle  due  poleis  d 'Asia 
che  si  erano  distinte  per intraprendenza  nella  navigazione  ocea 
nica: da Samo, donde verso la metà del secolo  VII a. C.  era partita, 
al comando di Kolaios, la prima spedizione greca nell'Oceano, rive-
latrice dell'emporio iberico di Tartesso,  e da Focea, i cui celeri na 
vigli avevano  tratto  il maggior frutto  da  quella scoperta samia:  i 
Focei trovando una nuova sede a Velia, poco dopo il 540 a. C.,  i Sa 
mii a Dicearchia qualche anno dopo.  Corrispondente di Samo per i 
traffici con l'Occidente era allora Crotone,  ove il maggior lume di 
quel tempo, Pitagora, cercò la libertà tolta alla sua patria da Poli 
crate;  e  l'altra  grande  polis  commerciante  d'Asia,  Mileto,  aveva 
come suo tnimite con l'Occidente la rivale di Crotone, Sibari. 
Era dunque necessario che il nostro orizzonte di studio inclu 
desse il 'Far W est' mediterraneo, verso cui prima i Rodii fondatori 
di Partenope nel più sicuro golfo tirrenico aperto verso occidente, 
poi i Focei di Massalia hanno cominciato a dilatare l'area di espan 
sione commerciale e civile della grecità; e venisse approfondita la 
conoscenza di quel settore ove il mitico termine Eracleo era il se 
gno di una potente attrazione (oltre che di avventurosi percorsi del 
l'e tà micenea},  e sollecitato un contatto con gli studiosi spagnoli e 
portoghesi non meno intenso di quello che è in atto con gli studiosi 
francesi grazie al Centre ]ean Bérard. L 'opera degli archeologi ibe 
rici, partita dalla città che ebbe il significativo nome di Emp6rion 
(Ampurias),  ha  già  notevolmente  arricchito  il  quadro  delineato 
circa cinquant'anni or sono da Antonio Garda y Bellido nella sua 
classica opera Hispania Graeca; e ci invita inoltre a non trascurare 
l'incontro  dei  Greci  con  quegli Iberi  a  cui volgevano  lo  sguardo 
Antioco  e  Tucidide  nella  ricerca  delle  origini sicane.  Il  nostro  è 
d'altronde un desiderio che coincide con quello dei nostri colleghi 
iberici,  sensibili  sempre  al gran  richiamo  dell'unitaria  tradizione 
classica, quale risuona suggestivo nella poesia di un lspano d'Ame 
rica, Rubén Dario: 
Aqu{, junto al mar latino, 
digo la verdad: 
siento en roca, aceite y vino 
yo mi antigiiedad. 
GIOVANNI PucuEsE CARRATELLI
RELAZIONE INTRODUTTIVA 
A. GRILLI
IL MITO DELL'ESTREMO OCCIDENTE 
NELLA LETTERATURA GRECA 
Qual è stato l" animus' con cui i Greci antichi hanno guardato 
verso  l'estremo  Occidente?  Non  occorre  dire  che  non  possiamo 
aspettarci una  risposta  esplicita,  che  non  rientrerebbe,  del  resto, 
nella mentalità né greca né romana. Se ci è possibile riconoscerlo, 
lo è attraverso, prima di tutto, una serie di considerazioni generali 
e solo dopo un esame paziente dei documenti letterari. 
La terra greca è stata terra di mercanti, a cominciare dai Mi 
cenei, che seppero arrivare sul Medio Danubio e nell'alto Adriatico 
per i loro scambi, in cerca tra l'altro di ambra. 
Ma allo stesso tempo i Greci erano gente in cui era profonda 
mente radicato un senso di 'curiositas ', dote o difetto a seconda di 
come  si  vede la cosa:  per esempio, la  'curiositas'  riuscì irritante 
per i Romani e fece sì che essi parlassero spesso e volentieri, con 
un certo disprezzo, di Graeculi.  Per la nostra questione è diverso, 
perché anche  questa  'curiositas' spinse  Micenei ed Elleni,  popoli 
di navigatori, a muoversi su disparate rotte, naturalmente secondo 
la logica delle  rotte  più agevoli, sopra tutto alla ricerca di quelle 
più redditizie. 
Ora, soffermiamoci a osservare su una carta del Mediterraneo 
la collocazione  geografica della Grecia tra Adriatico-Ionio  da una 
parte ed Egeo dall'altra: la penisola si protende in mare nella metà 
orientale  del  bacino  mediterraneo;  ma,  contrariamente  a  quanto 
viene  quasi  spontaneo  di  pensare  all'osservazione,  il  continente 
greco  non è  più vicino  all'Oriente  che  all'Occidente.  Più agevole 
da raggiungere  senz' altro  il  primo,  con tutti i  ponti  di isole  che
collegano la Grecia con l'Anatolia, più lontano no, sopra tutto se si 
tien presente quanto ricco d'insediamenti micenei sia stato il Pelo 
ponneso. Per fare un esempio concreto, da Pilo la più antica Espe 
ria, 'la terra d'Occidente', cioè l'Italia, era meno distante che non 
Mileto, Rodi o Cipro. È quindi nell'ordine storico delle cose che il 
progredire delle ricerche archeologiche e delle loro interpretazioni 
abbia indicato siti frequentati dai Micenei dalle  isole  attorno  alla 
Sicilia su su fino alla foce dell'Arno. 
Nonostante  qualche  scetticismo  attuale,  rimane  bella  e  per 
molti  aspetti  soddisfacente  la  vecchia  immagine  che  dobbiamo  a 
Edward Schwartz: i marinai ionici che da tempo immemorabile si 
trovavano nelle lunghe serate invernali nella Àc€rx.YJ  della loro città 
a scambiarsi le esperienze, volontarie o involontarie, delle loro na 
vigazioni, mescolandovi tutto quello di fantastico e sgomento che si 
è  sempre  unito  al  vero  e  al  vissuto  per chi  si  sia avventurato  in 
mondi sconosciuti e tra genti di altri costumi. In fin dei conti, l'i 
dea del 9<XUf.l<XCJ'tOV  è  profonda caratteristica dei Greci tanto da es 
sere quasi naturale che esso abbia impregnato i loro occhi di una 
capacità di visione  quale per nessun altro popolo  antico abbiamo 
prove o ci è stato tramandato: bisognerà arrivare alle storie meravi 
gliose dei monaci irlandesi per trovare qualche cosa di simile, ma 
in scritti come la Navigatio sancti Brendani c'è sempre l'incontro 
col sovrumano; mentre ciò che è davvero mirabile in tutta la tradi 
zione greca, letteraria e non, almeno fino a quando cede davanti al 
misticismo orientale, è, anche nei confronti dell'estremo Occidente, 
il  pieno sforzo  di  razionalizzazione.  Si potrebbe dire  che,  mentre 
ogni visione fantastica nel mondo celtico vede qualche cosa che è 
al  di  là  della  realtà  umana,  ogni  visione  nel  mondo  greco,  per 
quanto fantastica,  ha sempre un vincolo  ravvisabile  con la  realtà, 
anche se nebulosa o alterata. 
È  ovvio  che  un  simile  modo  di  reagire  a  esperienze  nuove 
prende subito  i  colori  del  f.lU9oç,  proprio per la caratteristica del 
mito greco di rappresentare la storia prima della storia: questo non 
soltanto nella poesia. Se posso confortare quanto dico con l' esem-
lO
pio di una vicenda che si svolge tra Nord e Occidente, il mito degli 
Argonauti in viaggio dall'Adriatico a un Erìdano davvero fiume del 
(l.G9oç  e  di  qui  al  Rodano  è  cantato  da Apollonio  Rodio  con  una 
particolare lucidità; ma noi sappiamo che  questa geografia non è 
inventata, ha una sua validità, perché nasce da remote notizie che 
attraverso Timeo sono giunte fino ai Problemi pseudoaristotelici: si 
tratta delle vie dell'ambra che, per i Greci, al di là dell'lstro si per 
dono nel mistero di terre ignote. 
Per quanto riguarda il mondo dell'estremo occidente non ab 
biamo un racconto che, sotto il manto di notizie lasciate nell'inde 
terminabile, riveli in modo altrettanto trasparente una realtà geo 
grafica e fattuale. 
Ma non  possiamo  dimenticare  l'Odissea.  È  Odisseo,  un eroe 
mediterraneo dal nome anellenico, signore di ltaca, una delle più 
piccole tra le  Isole  lonie, di fronte  all'Italia, che nella tradizione 
della più alta poesia epica viene presentato come l'involontario sco 
pritore  delle  terre  occidentali, ovunque  ognuna di  tali  esperienze 
possa trovare una collocazione incontrovertibile nello  spazio  della 
geografia  moderna.  Voglio  dire  che  l' Odissea  va  spogliata  da 
quante meschinità razionali vi hanno incrostato i commentatori an 
tichi e, spesso, le invenzioni dei moderni. Pensiamo al fiabesco ri 
torno di Odisseo  da Scheria, l'isola dei  Feaci, e  al sonno magico 
per cui l'eroe rientra in patria senza aver coscienza di luoghi e di 
stanze: tutto questo è stupenda fantasia del poeta che con un tratto 
di meraviglioso (ancora il  9ocu(l.OCO"tov)  ottiene di poterei introdurre 
nell'ultimo atto della sua tetralogia. Si vorrà dare molto credito a 
quanto i grammatici antichi sostenevano? Secondo loro la terra dei 
Feaci è Corcira/Corfù, che dista da Itaca non più di 110 miglia ma 
rine  ed  è  in un'area che  già le  rotte  micenee  battevano  regolar 
mente: a parziale scusante di quei grammatici si potrà dire che al 
lora non si sapeva quello che noi sappiamo. 
Non si può pretendere che l'Odissea abbia il candore dei rac 
conti primitivi non manipolati da poeti e sopra tutto che non pre 
senti sottostrati e sovrastrati: è doveroso vedere in Omero non una 
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cronaca di viaggio, ma la 'summa' di tutta una serie di esperienze, 
di esplorazioni, di contatti commerciali del passato, che in Odisseo 
viene eroizzata. Ma al tempo stesso è  d'evidenza palmare come il 
poema sia il poema dell'Ovest. Il momento in cui scatta l'avventura 
è  il momento in cui Ulisse perde il  controllo della situazione per 
l'intervenire di «venti funesti» (Od.  9,82), che - come tutti gli av 
venimenti atmosferici - non sono sotto il dominio dei mortali.  Il 
vento impetuoso che non gli lascia doppiare il Capo Malea, conti 
nuando a soffiare lo spinge verso Sud-Ovest per nove giorni (lvvrj 
!J.CXp)  e nove notti. Nove giorni e nove notti, dunque in una dispe 
rata navigazione alla deriva che, se vogliamo ammettere un minimo 
di coerenza nel  poeta, butta Odisseo  sulle  coste  della  Libya:  una 
traversata che getta l'eroe fuori del reale, al di là di uno dei grandi 
«vuoti»  del  Mediterraneo.  Ancora  Plinio  il  Vecchio  nel  IV  libro 
della sua Naturalis Historia (4,20,60), seguendo Agrippa, misura il 
percorso  da capo  Malea alla  Cirenaica con un tragitto  attraverso 
Cerigo, Cerigotto e Creta, non per mare aperto, che sarebbe più di 
360 Km. 
Anche  se  l'identificazione  delle  tappe  del  viaggio  odissiaco 
non ci riguarda, è chiaro da tutto il contesto che le successive navi 
gazioni sono in direzione più o meno Ovest, altrimenti Odisseo ver 
rebbe inevitabilmente a ricadere nei mari del Mediterraneo orien 
tale, che i Greci conoscevano da lungo tempo e  in cui si sarebbe 
dovuto scontrare con i  Fenici, che nell'Odissea sono  ancora nelle 
loro sedi originarie e né Omero né il suo eroe conoscono un'espan 
sione fenicia nei mari d'Occidente. 
È  opinione  comune  che  gli  avvenimenti  dell'Odissea  si  svol 
gano nell'ambito del Tirreno, un altro dei grandi «vuoti» del Me 
diterraneo, tra Corsica, Sardegna, Sicilia e la costa italica, anche se 
questo fa difficoltà con quanto si dice della dimora di Circe che è 
«dove ci sono la casa e le danze d'Aurora che nasce di buon mat 
tino e la levata del Sole» (12,3-4), così come quando oltre le Sirene 
uno dei due cammini annunciati da Circe è quello per le IH<Xyx-rcxt, 
le  Simplegadi,  da  dove  passò  solo  la  nave  Argo,  'Apyw  7tCXO'L(J.i-
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Description:Peninsular de Historia Antiqua, II, Univ. Santiago de Composte1a I988, pp. III ss. 25 R. PANVINI, in Quaderni /st. Arch. Univ. Messina 3 (I986-87), p. I07. 26 B. B. SHEFTON, Rhodischen bronzekannen, Mainz am Rhein 1979, p. 5 ss.; Greeks and Greek lmports in the South of the lberian Peninsula,