Table Of ContentCesare G. De Michelis
IL
TREDICESIMO
APOSTOLO
evangelo
e prassi
nella
letteratura
sovietica
Claudiana
Il tredicesimo apostolo non è titolo
suggerito dalla fantasia dell’autore o
dell’editore, ma risale a VI. Maja-
kovskij che l’aveva destinato ad un
suo poema del 1915 (poi noto come
La nuvola in calzoni). Assieme a
Majakovskij, anche gli altri scrittori
sovietici qui esaminati (Blok e Belyj,
Esenin e i “proletari”, M. Bulgakov,
fino ai contemporanei, V. Tendrja-
kov e A. Solzenicyn) possono legitti-
mamente venir detti “tredicesimi”,
nel senso che tutti — al di fuori o
ai margini di una collocazione con-
fessionale — parlano nel loto tem-
po, e in qualche modo, di Gesù di
Nazareth.
Certo, se ognuno di essi è “apo-
stolo”, lo è in modo del tutto parti-
colare e unico rispetto ad un Cristo
e ad un cristianesimo che assumono
via via i volti più disparati e con-
traddittori: il Cristo di Blok che
marcia alla testa della rivoluzione
d'ottobre, nella cui immagine poetica
l’autore riconosce strati di significato
sempre più profondi; l’appassionata
e sofferta « lotta con Dio » di Maja-
kovskij; lo sconcertante Jeshua Ha-
Nozri de Il Maestro e Margherita,
attraverso cui l’autore risale alla pro-
blematica religioso-politica di Bulga-
kov; il cristianesimo poco più che da
manuale di Tendrjakov di cui l’au-
tore mette in luce l’impazienza di
arrivare a dimostrare il proprio falli-
mento; fino alla “religione” tutta
Interlorizzata, francamente antico-
munluta (e antiprogressista) cui è ap-
prodato Soltenicyn. Qui non si trat-
ta di privilegiare un'immagine a sca-
pito delle altre — a partire da pre-
supporti ancora un volta “ideolo-
plc” — bensì di cogliere lo spesso-
re nignificativo di ognuna di esse e
la reluglone di tutte col divenire e
l'operare politico, E neppure di co-
gliere Il filo ronno d'una qualche con-
tinultà (0 nopravvivenza) cristiana in
URSS: | tenti affrontati — molti
dei quali esplicitamente e anche vi.
vacemente “miscredenti” — testi
moniano piuttosto del complesso
rapporto esistente tra l’eredità cul.
turale, ideologica, religiosa del cri-
stianesimo “russo” ed altri modelli
— culturali, ideologici, politici —
scaturiti dalla rivoluzione d’ottobre.
Un'operazione del genere corre tut-
tavia il rischio d’essere intesa — al
di là dei suoi intendimenti — come
“apologetica”. E questo può essere
evitato a due sole condizioni che ci
sembrano pienamente rispettate in
questo saggio: di tener ferma la con-
sapevolezza teologica della vanità di
ogni uso sacrale e/o edificante del-
l’oggetto culturale (se si vuole l’an-
tica, intransigente pregiudiziale anti-
estetica del protestantesimo): e di
non sottovalutare il pericolo che, al
pari della “religione”, anche l’arte
possa funzionare come warcotico so-
ciale {Tret'jakov).
Tra questi scogli ha cercato di navi-
gare la ricerca originale del presente
volume, nel momento stesso in cui
s’ingegna di far emergere la “ric-
chezza poetica” dei testi che ne sono
l’oggetto.
* o * *
Cesare G. De Michelis
(Roma, 1944), valdese, ha studiato
con A. M. Ripellino all’Università
di Roma. Ha soggiornato più volte
a Mosca, Leningrado e Praga; ha
collaborato a riviste “militanti”
(« Mondoperaio », « Angelus no-
vus », « Rassegna sovietica ») e spe-
cialistiche.
Tra le sue pubblicazioni: Pasternak
(Firenze, 1968), Le illusioni e î sim-
boli (Padova, 1973), Il futurismo
italiano in Russia (Bari, 1973). È do-
cente di letteratura russa all’Univer-
sità di Bari.
CESARE G. DE MICHELIS
IL TREDICESIMO
APOSTOLO
Evangelo e prassi nella
letteratura sovietica
(con 7 illustrazioni fuori testo)
EDITRICE CLAUDIANA - TORINO
© Editrice Claudiana, 1975
Via Principe Tommaso 1 — 10125 Torino
Tutti i diritti riservati
Copertina di Valerio Papini
Tip. Canale - Torino
In copertina:
Sagal, Crocifissione (litografia).
I.
CRISTO E LA RIVOLUZIONE
... Tira il vento, turbina la neve),
vanno dodici uomini...
Nel gennaio del 1918 (erano trascorsi appena due mesi dal-
l’Ottobre), il più celebre poeta russo dell’epoca, Aleksandr
Blok, si accinse alla stesura di un poemetto che, compiuto in
pochi giorni, era destinato a oscurare la fama pure vastissima
di tutta la sua produzione lirica e drammatica: Dvenadcat’ (I
dodici).
Tutto inteso a rendere la « musica della rivoluzione », che
egli salutò fin dal suo sorgere come caos rigeneratore, come ca-
tarsi storica, insieme a pochissimi altri intellettuali ?, Blok co-
struì un testo affatto inusuale non solo alla tradizione poetica
russa, ma alla sua stessa maestria verbale 5.
Strutturalmente — dice un commentatore — il poema
è una serie di frammenti di disuguale lunghezza, diversis-
simi di metro, ispirazione e tono. In questa complessa
composizione il ritmo e lo stile oscillano fra gli estremi
opposti dell’arte d'avanguardia e della poesia popolare
[...]. L’esordio è descrittivo ed evocativo, il nucleo cen-
trale è narrativo [...]. Un insieme di figurine appare e
scompare in quadretti pantomimici culminanti in gesti e
parole che sono da soli minuscoli drammi, catastrofi mi-
crocosmiche ‘.
Ma il senso generale del poema, come avvertì acutamente
Lev Trockij, era « un grido di disperazione per il passato che
muore, ma un grido di disperazione che si sublima in speranza
per l’avvenire » 5.
Costruito dunque come amalgama dissonante di bozzetti e
metafore, il poemetto sui Dodici — che vanno intesi non come
dodici campioni dell’avanguardia operaia, ma come dodici re-
ietti, « chuligani », ladroni — trova la sua giustificazione espli-
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cativa nell’ultimo quadro, in cui appare chiaro essere coloro, a
loro insaputa e loro malgrado, dodici apostoli della nuova
realtà, guidati nella tempesta rivoluzionaria, tra i relitti della
caduta città borghese, da Gesù Cristo, che li precede reggendo
la bandiera rossa:
Così vanno con passo possente —
dietro — un cane affamato,
dinanzi, con la bandiera sanguigna,
e invisibile oltre la bufera,
e invulnerabile dalle pallottole,
in un lieve incedere sopra la tormenta,
in un niveo profluvio perlaceo,
con un bianco serto di rose, —
dinanzi, Gesù Cristo ‘.
Si può ben dire che con I dodici di Blok la presenza osses-
siva della figura di Cristo nell’avverarsi dell’evento rivolu-
nario pervade la letteratura sovietica fin dal suo sorgere ”.
*o *o *
Naturalmente, se « dei Dodici furono date le spiegazioni
più strane », in particolare « della chiusa s'è scritto sino alla
noia »”.
Com'è facile immaginare, la connessione tra Cristo e la ri-
voluzione “atea” dei bolscevichi venne guardata con pari so-
spetto e renitenza così da coloro che “facevano” o “stavano
pet” la Rivoluzione (la nota finale di misticismo, estranea alla
concezione materialistica da cui essa pure muoveva, appariva
“stonata”, “ambigua”: una “inutile giustificazione”, agli oc-
chi dei militanti); come da coloro che — più o meno aperta-
mente — la avversavano.
Questi ultimi, anzi, levarono esplicitamente a Blok l’accusa
di “sacrilegio” e di “empietà”, per avere egli “sporcato” il
Cristo con una banda di assassini, e per averlo posto a guida
di un movimento che, ai loro occhi, stava distruggendo la “ci-
viltà cristiana” *.
Particolarmente inviperiti per il fatto di trovarsi di fronte
“uno dei loro” (Blok era stato tra i corifei della più raffinata
cultura borghese prerivoluzionaria), alcuni ambienti dell’emi-
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grazione giunsero al punto, subito dopo la morte del poeta
(1921), di mettere in circolazione un falso, coniato su alcuni
versi precedenti all’Ottobre, che, letto come composto “dopo”
i Dodici, avrebbe dovuto testimoniare di un suo successivo
rifiuto della Rivoluzione, del suo “pentimento” per aver così
indegnamente usato la figura del Salvatore ?.
Se dunque è ben comprensibile che un livello immediata-
mente “ideologico” nella lettura del poemetto blokiano abbia
scatenato uno strascico interminabile di “interpretazioni” e po-
lemiche; ove ci si accosti ad esso, e al frammento conclusivo,
con la consapevolezza di avere a che fare con un testo “poe-
tico”, che richiede una debita attenzione per la sua strumenta-
zione linguistica (metaforica e simbolica), e ove si cerchi d’in-
tendere la stessa immagine conclusiva non solo nel suo dato
“complessivo”, ma anche nel contrappunto dei significati spe-
cifici, fortemente antinomici, che vi si realizzano: dico, se ap-
pena si mette in discussione l’apparente linearità del testo,
allora alla nettezza delle chiose più scopertamente ideologiche
subentrano le perplessità, i dubbi, l’incomprensione. Perché il
testo di Blok, a dispetto della sua scorrevolezza, è un testo
estremamente denso e difficile, pluristratificato, che cela in sé
una trama complessa di rimandi culturali e letterari: e allora,
se del Cristo dei Dodici s'è scritto, è vero, fino alla noia, alcuni
nodi semantici di quel celebre finale permettono tuttavia un
“supplemento di indagine” !°,
dodo*
C'è un episodio che vale a metterci in guardia da conclusioni
sommarie e affrettate: com’è noto, Vladimir Il’ié Lenin non
era persona da trattenersi, quando era il caso (anche in “lette-
ratura”), da giudizi sferzanti e netti; sono d’altronde evidenti
le ragioni per cui quel Cristo che guida la Rivoluzione potesse
non andargli a genio. Pure, ricorda V. Sul’gin, quando Lenin
gli chiese se amasse Blok, e l’interpellato rispose di sì, prose-
guì: « Anche Gleb [KrZiZanovskij] ha preso una sbandata per
Blok ». All'improvviso aggiunse: « V belom vencike iz roz /
vperedi Iisus Christos... Voi lo capite? Spiegatemelo ». E sen-
za attendere risposta, concluse: « Io non lo capisco » !!.
Se Lenin non « capiva » quello strano « Cristo rivoluziona-
rio », lo stesso Blok si dichiarò più volte estremamente per-
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plesso di fronte all'immagine conclusiva del poema. Varrà dun-
que la pena di ripercorrere, assieme a tutta la critica in mate-
ria, i momenti più esemplari di tali sue perplessità.
Leggiamo nel Diario (7/2/1918):
La religione è una porcheria (i preti ecc.). Pensiero
terribile di questi giorni: il problema non è che le guar-
die rosse « non sono degne » di Gesù, che adesso marcia
con loro; quanto il fatto che è proprio Lui che marcia
con loro, e bisognerebbe che fosse un Altro !.
La medesima idea è ripresa dopo qualche giorno sul Tac-
cuino (18/2/1918):
Che Cristo vada dinanzi a loro è indubbio. Il proble-
ma non è « se essi siano degni di Lui », ma il terribile è
che di nuovo Lui è con loro, e per ora non c’è un altro;
ma serve poi un Altro? !,
Sul problema del rapporto con i marxisti (dal Diario,
25/2/1918):
I marxisti sono i critici più intelligenti, e i bolscevichi
hanno ragione di temere I dodici !*. Ma... la “tragedia”
dell’artista rimane tragedia. Inoltre: se in Russia fosse
esistito un clero autentico, e non soltanto una accozza-
glia di persone moralmente ottuse, sacerdoti solo di no-
me, da tempo si sarebbe “fiutata” questa circostanza, che
« Cristo sta con le guardie rosse ». È difficile mettere in
dubbio questa verità, semplice per coloro che hanno let-
to il Vangelo, e ci hanno riflettuto su [...]. La « guardia
rossa » è l’acqua al mulino della chiesa cristiana (come i
settari, scrupolosamente perseguitati) [...]. Forse che ho
“inneggiato” (Kameneva)? Ho solo constatato un fatto:
se si guarda nel vortice della tempesta per quella strada,
si vede « Gesù Cristo ». Ma io stesso qualche volta de-
testo questo spettro femmineo !.
Cominciano a trasparire le prime antinomie: Cristo è l’al-
ternativa ad un Altro che manca; per il « cristianesimo puro »
non c'è dubbio che Egli stia dalla parte della Rivoluzione, ep-
pure si presenta sotto le spoglie di uno « spettro femmineo »
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talora quasi odiato; Cristo si fa strada ideologicamente (teolo-
gicamente?), ma si realizza “iconicamente”, figurativamente.
A questo proposito, è interessante quel che scrisse al pittore
Jurij Annenkov, che stava approntando le illustrazioni per i
Dodici *:
A proposito di Cristo: non è affatto così [come lo
aveva disegnato Annenkov in un primo tempo], piccolo,
curvo come il cane che sta dietro, che porta scrupolosa-
mente la sua bandiera e se ze va. Il « Cristo con la ban-
diera » è « così ma non così ». Sapete, quando una ban-
diera batte al vento {con la pioggia, o con la neve, e so-
prattutto con le tenebre notturne), sotto di essa si pensa
a qualcuno enorme, come della stessa entità (non è che
la porta, o che la tiene, com'è non lo saprei dire)”.
La stessa precisa imprecisione ricorre nella risposta che die-
de al poeta N. Gumilev, il quale ad un pubblico dibattito sui
Dodici (il 4/7/1919) aveva accusato la chiusa del poemetto
d’essere « appiccicata artificiosamente », e sostenuto che « l’im-
provvisa apparizione di Cristo è un effetto puramente lette-
rario », cioè esornativo, tutto esteriore:
Anche a me non piace il finale dei Dodici. Avrei vo-
luto che il finale fosse diverso. Quando finii, io stesso
rimasi stupito: perché Cristo? Ma quanto più guardavo,
tanto più chiaramente vedevo Cristo. Allora mi appun-
tai: purtroppo è Cristo "8.
Per Blok la figura di Cristo, ossessiva, invadente, in qual-
che modo perfino repulsiva (« purtroppo è Cristo », lo « spet-
tro femmineo », ecc.) era al tempo della stesura dei Dodici un
rovello continuo: all’inizio di gennaio aveva ripreso in mano
il Vangelo, s'era messo a leggere la Vie de Jésus di Renan,
voleva scrivere un dramma su Cristo (ne rimane solo un ab-
bozzo, in una paginetta del 7/1/1918: vi ricorre ancora una
immagine « femminea » !). Ci sono alcuni passi che valgono,
meglio di lunghi discorsi, a farci intendere la sostanza del suo
atteggiamento (anche “teologico”) verso Cristo. Sempre nel
1918, Blok stava preparando una prefazione all’edizione russa
di Arte e rivoluzione di R. Wagner; in margine al testo tede-
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