Table Of ContentNICOLAI HARTMANN
IL PROBLEMA
DELL’ESSERE SPIRITUALE
A cura di
Alfredo Marini
« LA NUOVA ITALIA » EDITRICE
FIRENZE
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
Ia edizione: gennaio 1971
Titolo originale dell’opera:
Das Problem des geistigen Seins
Walter de Gruyter & Co., Berlin 1933
Presentazione, traduzione e glossario di
Alfredo Marini
PRINTED IN ITALY
© Copyright 1933 by Walter de Gruyter & Co., Berlin
& 1971 by « La Nuova Italia » Editrice, Firenze
PRESENTAZIONE
Presentare quest’opera di Hartmann, parlare, in generale,
del pensiero di un filosofo che ha scelto per sé la fedeltà
all’essere in quanto tale, la disciplina dell’obbiettività e il
disprezzo per la parzialità dei punti di vista [Standpunkt-
lichkeit], può sembrare imbarazzante per chiunque, an
che per chi lo ha fedelmente tradotto. Da un lato, trat
tando la sua filosofia come un punto di vista tra gli altri,
non si vorrebbe dare l’impressione intempestiva di condurre
una polemica a buon mercato contro uno dei piu grandi pen
satori del nostro tempo; dall’altro, la preoccupazione di
non essersi mai abbastanza liberati del proprio punto di
vista (qualunque esso sia), ingenera il timore di non saper
aderire con pari lucidità agli eterni « contenuti » di pro
blema [Problemgehalte], alla cui elaborazione ΓAutore de
dicò tutta la vita, e quindi di non esporre mai abbastanza
fedelmente il suo pensiero. Hartmann, infatti, non ci of
fre, come Natorp, un metodo filosofico di pensiero il quale,
senza sfornare « proposizioni definitive sulla struttura del
l’universo », ci garantisca « la via sicura per un infinito
progresso della conoscenza », togliendo la filosofia dalla
« condizione vergognosa di dover tornare ogni momento
sui suoi passi e di trovarsi ogni volta, dopo enormi sforzi,
press’a poco al punto di partenza » non ci offre, o non
intende offrirci una nuova « impostazione » di problemi
[Problemstellung] filosofici piu o meno tradizionali, più
1 P. Natorp, Philosophie, ihr Problem u. ihre Probleme. Ein
führung in den kritischen Idealismus, Göttingen 191812, pp. 12-13.
VI PRESENTAZIONE
o meno « decisivi »; soprattutto, non ci offre una nuo
va versione del problema che la filosofia è a se stessa
sempre di nuovo. Quest’ultimo problema, che fu quello
di Husserl, era il piu lontano dalla mente di Hartmann.
Nicolai Hartmann ci offre dei risultati. In questo senso,
anzi in ogni caso, nulla è piu superfluo che la pretesa di
esporre i risultati del pensiero di Hartmann: i suoi scrit
ti sono tutti da leggere; essi non contengono suggeri
menti, prospettive, allusioni; essi contengono nella forma
più chiara i precipitati del suo pensiero, i risultati decanta
ti, obbiettivati, compatti come cose, delle sue ricerche.
Hartmann non ignora i problemi, se non in quanto essi
sono soltanto « opera umana » e presto o tardi, a seconda
del peso che acquistano nello spirito obbiettivo, passano
di moda e sprofondano nell’oblio. Cosi, egli conosce bene
le formulazioni e le definizioni concettuali che la nostra
tradizione filosofica ha dato delle categorie dell’essere e
del pensiero; ma queste, come tutti i « concetti », sono
a loro volta soltanto una parte dell’essere, mentre le cate
gorie stesse ne sono la struttura. Ed è la struttura dell’es
sere che la sua dottrina delle categorie intende portare al
la luce. Quanto all’essere stesso, Hartmann è il primo a
dire che « non lo si può né definire né spiegare ». Infatti,
« l’essere è il termine ultimo a cui può volgersi l’indagine.
Ciò che è ultimo non è mai definibile. Si può definire sol
tanto in base a qualche altra cosa che stia al di là di ciò ch’è
cercato. Ma dietro a ciò che è ultimo non c’è niente... Non
c’è proprio da stupirsi. Questa difficoltà non riguarda so
lo l’essere. In tutti i domini problematici c’è qualcosa di
ultimo, che in quanto tale non può essere determinato piu
intimamente. Nessuno può definire che cosa siano lo spiri
to, la coscienza, la materia. Li si può solo circoscrivere,
farli risaltare rispetto a ciò che è diverso e descriverli per
mezzo delle specificazioni » '.
1 N. Hartmann, La fondazione dell’ontologìa, trad. F. Barone,
Milano 1963, p. 127.
PRESENTAZIONE VII
Hartmann ci offre dei risultati, dunque, ma risultati
che non sono soluzioni di problemi posti dagli uomini e
perciò risolubili dagli uomini, bensì elaborazioni [Bear
beitungen] di problemi, tanto irrisolvibili quanto inevita
bili, posti all’uomo dall’essere stesso. Esiste per noi il
problema dell’essere perché l’essere stesso ce lo pone. Che
non si tratti di un problema « nostro », che non si tratti
come per il primo Heidegger, del problema del « senso »
dell’essere, che il problema sia « dell’ » essere nel senso sog
gettivo del genitivo, non significa tuttavia (come nell’ul
timo Heidegger) che l’Essere si ponga nell’uomo la do
manda su se stesso e che l’uomo diventi il luogo e lo stru
mento dell’avventura dell’Essere. Per Hartmann, il con
cetto tradizionale della metafisica è pura Standpunktlichkeit
sistematica, che si distrugge da sé perché, acriticamente,
ignora la permanenza della dimensione metafisica dei pro
blemi. Permanenza che Hartmann, come Husserl, accetta
o affronta, senza timore e tremore, senza angoscia.
Piuttosto, secondo Hartmann, va imputato al neokan
tismo (non già a Kant) il pregiudizio che la filosofia non
debba essere metafisica: ciò equivale a credere « che nella
scienza si debbano ammettere solo quei problemi che si
possono risolvere ». In realtà, la domanda metafisica che
sta al fondo di tutti i problemi, in cui tutti i problemi
« vanno a finire » e per cui, in generale, le domande si im
pongono senza alcun riguardo alla loro solubilità o insolu
bilità, non è altro che l’« enigmaticità del mondo » che
« non è creata dall’uomo, né può essere tolta da lui » *.
In questo senso, l’essere è solo la dimensione di tut
ti quei problemi che hanno un margine di irrazionalità,
e quindi sono « metafisici », di tutti gli eterni contenuti di
problema che non è l’uomo a porsi ma che proprio all’uomo
si imporranno sempre, e che sono altresi la base inesauribile
di tutti quelli che l’uomo si pone e risolve.
1 N. Hartmann, Filosofia sistematica, trad. A. Denti e R. Can
toni, Milano 1943, pp. 125, 136; Kleinere Schriften II, Berlin
1957, pp. 281, 283.
Vili PRESENTAZIONE
Può stupire che una filosofia la quale si occupa solo di
problemi metafisici irrisolvibili, ci offra solo risultati con
creti; può stupire che una « filosofia » che vuol esser
« scienza » dell’« enigmaticità » del mondo, riesca effettiva
mente a produrre una grande massa di risultati precisi ed
univoci (scientifici) circa tale enigmaticità, senza esau
rirla né risolverla con costruzioni sbrigative, ma anche sen
za assumere consapevolmente su di sé quell’enigmaticità,
senza farsi sempre di nuovo problema a se stessa in quanto
filosofia! Tra l’essere indefinibile e l’eternità non umana
dei suoi problemi da un lato, e una filosofia altrettanto eter
na (e non umana), altrettanto impraticabile, dall’altro, si
apre per Hartmann una dimensione che, in prima istanza
almeno, è al di qua sia della tesi dell’essere o dell’oggetto
(«realismo» naturale), che di quella del non-essere,
del pensare o del soggetto (« punti di vista speculati
vi », idealismo in testa): è una dimensione neutrale o me
diana che forse non è ancora filosofia, ma certo non è di per
sé enigmatica. È la dimensione della « elaborazione » scien
tifica dei problemi metafisici, l’ontologia. « L’ontologia —
dice Hartmann — prende la “ via mediana ” tra questi
estremi. La sua tesi è: c’è un ente reale fuori della co
scienza, fuori della sfera logica e oltre i limiti della ratio;
la conoscenza dell’oggetto è in relazione con questo ente e
ne riproduce una parte, per quanto la possibilità di tale ri
specchiamento debba restare incomprensibile; ma l’imma
gine della conoscenza " non esaurisce l’ente ”, non è com
pleta (adeguata), né simile all’ente. Il realismo naturale
con la sua tesi, nuda e cruda, della realtà, ha ragione, per
ché il reale si trova nella direzione obbiettiva della cono
scenza naturale; ma ha torto per la sua pretesa di adegua
tezza. I punti di vista speculativi hanno ragione in quanto
confutano quest’ultima pretesa, torto in quanto tolgono
il reale dalla direzione obbiettiva. Nell’ontologia si riassu
me ciò in cui ambedue hanno ragione. Essa conserva la
tesi realistica della visione naturale del mondo, ma scarta
la sua pretesa di essere adeguata. Con ciò, essa fa qual
PRESENTAZIONE IX
cosa di molto simile a quello che la visione scientifica del
mondo ha sempre fatto »
In questa prospettiva, l’ontologia procede per tre gra
di, che sono: quello « fenomenologico », quello « apo-
retico » e quello « teorico » (cosi, almeno, nella Meta
physik der Erkenntnis [1921], perché Hartmann,
come s’è accennato, è ben lontano dal concepire un vero e
proprio « metodo filosofico » che comporterebbe un
« monismo metodico » da lui già criticato nel neokantismo
e nella fenomenologia. Il metodo della conoscenza è per
lui, rispetto all’oggetto, quello che per Natorp era l’esse
re, come oggetto, rispetto alla conoscenza: una pura
funzione. E quindi può cambiare secondo l’oggetto). Il
momento fenomenologico consiste nella ricognizione
e descrizione esauriente di quella parte dell’ente che è co
nosciuta; il momento aporetico, nella esplicitazione delle
aporie ed antinomie « naturali » che emergono dal fenome
no descritto; la teoria, nella soluzione o nella elaborazione
di tali aporie, non già partendo da un punto di vista sog
gettivo, ideologico o speculativo, ma servendosi di quel mi
nimo di ipotesi circa la parte sconosciuta dell’ente ('mi
nimum di metafisica) che è permessa e giustificata dal
fenomeno e dalle sue aporie naturali.
Quando Hartmann parla di punti di vista speculativi
[spekulative Standpunkte], non intende riferirsi sol
tanto e in generale alla cosiddetta filosofia delle Welt
anschauungen, ma, in particolare, sia a quelle teorie
che i suoi maestri Cohen e Natorp consideravano
« dogmatiche », sia a quelle che Husserl chiamava
«pure costruzioni di pensiero» (e dalle quali, dal can
to suo, non escludeva lo stesso idealismo critico dei mar-
burghianil). Mentre Husserl, cui stava a cuore l’intui
zione del fenomeno-essenza e il ritorno alle cose stesse,
rifiutava innanzitutto il costruzionismo delle « ipotesi »
marburghiane, Hartmann concentrava nella Standpunktlich-
1 N. Hartmann, Metaphysik der Erkenntnis, Berlin u. Leipzig
192512, pp. 181-182; La fondazione dell’ontologia, cit., cap. I a.
X PRESENTAZIONE
keit il difetto fondamentale di tutti i sistemi filosofici, con
le loro unilateralità, estremismi, forzature: e la Standpunkt-
lichkeit è il soggettivismo, il far centro sulla soggettività,
la pretesa di essere l’ombelico del mondo, il non ricono
scimento della centralità e obbiettività delle cose stesse,
della durezza del reale e del peso dell’essere. Per lui,
l’espressione più pura e riassuntiva dell’atteggiamento fi
losofico speculativo è quindi proprio l’idealismo critico,
o trascendentale, della Scuola di Marburgo: la sua pretesa
che la riflessione sulle condizioni trascendentali della
conoscenza (l’« origine » di Cohen, come l’« unità sin
tetica » di Kant) fosse la « filosofia prima » e non, co
me in Kant, la preparazione alla metafisica; che il fon
damento della conoscenza fossero le sue stesse leggi e non la
« cosa in sé » di Kant; che ci sia dell’essere solo « per » il
pensiero, che l’essere coincida con l’ « oggetto » e sia
quindi una pura funzione del pensiero, la « x » incognita
nell’equazione della conoscenza. Cosi, sia Husserl che
Hartmann (il quale fu molto vicino alla fenomenologia di
Husserl, e specialmente di Scheier, appunto negli an
ni del proprio distacco dal neokantismo) « tornano alle
cose stesse », ma a Husserl interessava di piu il ritorno, a
Hartmann la cosa, o, se preferiamo, all’uno interessava il
« vero » essere delle cose, all’altro il loro « essere » vero
e proprio. Il che, come vedremo, non è precisamente la stes
sa cosa.
La « neutralità » della fenomenologia husserliana
è una riflessione trascendentale sulle intenzionalità del
la coscienza o del mondo-della-vita, che si astiene dal
parteciparvi, e viene ottenuta mediante l’ « epoche » non
solo del non-essere neokantiano, ma anche della kantiana
« cosa in sé » (che non è necessariamente la « cosa stes
sa »!) ed altresì di tutta la dimensione gnoseologica. È,
quindi, una neutralità metodico-filosofica che scopre
una dimensione nuova ed autonoma della ricerca e non si
concepisce come introduzione a un punto di vista specula
tivo particolare, ma come filosofia tout court, cioè come
PRESENTAZIONE XI
introduzione « sempre di nuovo » (e non una volta per
tutte) alla visione spregiudicata « nel » mondo dell’atteg
giamento naturale o del senso comune (e il senso comune,
per la fenomenologia, contiene « anche » la speculazione,
l’ideologia, il mito, la fede, la tesi dell’essere e quella del
non essere e, insomma, omne humanum). Problema, que
sto, che gli specialisti di fenomenologia husserliana chiama
no anche tZeZZ’einströmen e che noi potremmo indicare, in
modo inesatto ma suggestivo, come il problema del
' ritorno nella caverna ’, secondo il mito platonico.
La « neutralità » dell’ontologia di Hartmann è invece,
da un lato, una posizione-limite puramente iniziale fLa fon
dazione dell’ontologia, cap. X a, e cap. XXII a) la quale
non riguarda il lavoro che l’ontologia compie, ma il modo
di apparire della dimensione ontologica stessa nel momento
in cui, compiuta l’« epoche » (non dell’atteggiamento
naturale ma solo della Standpunktlichkeit speculativa),
ne scopriamo la possibilità; questa neutralità, che è tale in
quanto è al di sopra dei punti di vista [ übers tandpunktlich],
coincide, d’altro lato, con quella sovrastoricità [Über
geschichtlichkeit] dei problemi che l'ontologia pertratta, del
la quale il filosofo è, secondo Hartmann, il funzionario o
l’amministratore [Verwalter] *. L’« epoche » di Hartmann,
se è lecito servirsi di questa parola, che del resto Hartmann
occasionalmente usa, è soltanto «epoche » del non essere,
e non anche dell’essere come quella di Husserl. Perciò la
sua ontologia, che teme di scambiare i punti di vista con
l’essere stesso, ma fa un’eccezione per il punto di vista
« originario » dell’essere, non si mantiene neutrale,
è anzi destinata a scegliere fra Z’intentio recta dell’atteg
giamento naturale e scientifico e Z’intentio obliqua della
riflessività. Quest’ultima, per lui non fa parte dell’atteg
giamento naturale ed è, in ogni caso, un tipico punto di vi
sta idealistico, sia essa riflessione sulla conoscenza (la
1 N. Hartmann, La fondazione dell’ontologia, cit., p. 120;
Kleinere Schriften II, cit., pp. 280, 285.
XII PRESENTAZIONE
morale, l’estetica, la cultura in generale) o sulla « co
scienza »; sia essa logico-trascendentale o fenomenologico-
trascendentale.
« Abbiamo dietro di noi — dice Hartmann — un secolo
di formazione intellettuale riflessa, tale da non conoscere il
tipo e il presupposto della propria riflessività. Una simile
formazione si identifica con una fondamentale incapacità
di cogliere l’aspetto dell’essere originariamente dato »
(La fondazione dell’ontologia, cap. IV d). La riflessione
husserliana sui modi di datità non è meno riflessione della
riflessione marburghiana sul fatto culturale: esse appunto
si fermano al dato (oggetto o fenomeno), non arrivano al
le cose.
L’aspetto dell’essere « originariamente » dato è, per
Hartmann, quello còlto dalla coscienza ingenua del
mondo, non meno che dalla coscienza scientifica, e l’on
tologia si pone sulla linea retta della loro intentio. Met
tendo fuori causa, definitivamente e una tantum, i « pun
ti di vista », egli riconquista quella direzione geradehin
che Husserl chiamava l’intenzionalità della corrente di
coscienza o della Lebenswelt, ma il fenomeno che de
scrive non è l’intenzionalità del mondo-della-vita, perché
quest’ultimo, egli non lo mette fuori azione ma vi par
tecipa e, sul prolungamento virtuale del realismo inge
nuo e delle scienze obbiettive, « compie » a sua vol
ta l’intenzionalità naturale. Il fenomeno che la sua on
tologia « vede » è, allora, soltanto il correlato obbietti
vo di quell’intenzionalità. È facile immaginare che questo
« presupposto realistico » si proietterà come una ben pre
cisa condizione di possibilità sul carattere intrinseco dei
fenomeni, sulla nascita delle aporie e sulla funzione delle
teorie che l’ontologia di Hartmann successivamente de
scriverà, discuterà e sistemerà *.
In questo quadro, ciò che l’ontologia di Hartmann de-
1 Cfr., al proposito, A. Banfi, Principi di una teoria della ra
gione, (s. 1.), Parenti, 1960, pp. 366-367; F. Barone, Nicolai Hart
mann nella filosofia del Novecento, Torino 1957, p. 21.