Il popolo che sconfisse la morte. Gli etruschi e la loro lingua

179 Pages·2003·3.181 MB·Italian

by  Giovanni Semerano

Giovanni Semerano
Il popolo che sconfisse la morte
Gli etruschi e la loro lingua
Bruno M ondadori
Tutti i diritti riservati
© 2003, Paravia Edizioni Bruno Mondadori Editori
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La scheda catalografica è riportata nell’ultima pagina del libro.
In copertina: particolare della Tomba degli Àuguri, VI secolo a.C.
Indice
IX Introduzione
Il mistero etrusco e il fascino delle origini
XII Abbreviazioni
L’irradiazione dall’antico mondo culturale
MESOPOTAMICO
3 I Tirreni e le avventure dei Pelasgi
7 II sistema etimologico
I PERSONAGGI DELLE ORIGINI
13 Phersu e colui che vinse la morte
21 Tagete e Tarchunus
Alle radici culturali del mondo etrusco
29 II vaso di Tragliatella
37 Gli elementi del computo degli Etruschi: i numeri
41 Come leggevano gli Etruschi, sul quadrante del tempo,
le vicende del loro passare: nomi dei mesi e dell’anno
Gli Etruschi negli spazi del loro mondo reale,
nella loro terra e nei paesi raggiunti
dall’influsso della loro civiltà
49 I toponimi etruschi
73 I fiumi etruschi
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93 Le divinità etrusche
119 Roma arcaica sullo sfondo della civiltà etrusca
Appendice
129 Le Lamine di Pyrgi
135 La Tavola di Cortona
145 Altre voci
149 Nota della curatrice
153 Bibliografia
159 Indice dei nomi e dei personaggi
a Rosa Maria
per anni mia guida e rifugio
Alfabeto etrusco
Alfabeto VII-V V-I Valore
modello secolo a.C. secolo a.C fonetico
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Introduzione
Il mistero etrusco e il fascino delle origini
Nei libri viene oggi spesso evocato il mistero etrusco per eluder­
lo o mostrare che tale non è più, e questo mistero, che a migliore
ragione una volta veniva riferito alla lingua, fu esteso poi alla
provenienza dell’antico popolo italico. E poi tanti misteri hanno
cominciato a turbinare intorno a nomi di popoli antichi, con il
richiamo di attraenze ignote e ci si è accorti che c’è un mistero
dei Celti, un enigma dei Fenici, un arcano dell’antica Britannia,
senza tralasciare «la sfinge sarda», per dirla con Max Leopold
Wagner. E nessuno ha mai osato allargare l’ala del mistero alla
Grecia, la gran luce che ignora se stessa, un mistero che
Aristofane alleggeriva nell’atmosfera di un mito sorridente in cui
le cicale venivano onorate come simbolo della nobiltà autoctona,
figlie della terra, e Demos si coronava il capo con cicale d’oro,
nonostante che lo spettro dei Pelasgi sorgesse talora come le om­
bre evocate da Ulisse nelle tenebre dei Cimmeri.
Non mai così a proposito come per la querelle sugli Etruschi le
narrazioni e le notizie convogliate da tradizioni relativamente
tarde, e che usiamo chiamare decorosamente fonti letterarie,
evocarono il disdegno di Ecateo sui discorsi dei Greci che, così
numerosi, nel loro contraddirsi e intrecciarsi rumorosamente
spesso sfiorano il riso ('EA.A.f|vcov Xóyoi noXXoi te kcù yeXotoi).
E i Greci, ai quali il sacerdote di Sais rimproverava corta memo­
ria, si trovano a dover disegnare con i colori dei tempi eroici av­
venimenti i cui riflessi appartengono alla storia che ci stringe da
presso, un po’, penosamente, per mendicare alle favole antiche
qualche affinità di origine e di gloria con i Romani.
Qualche tempo fa, il semitista Giovanni Garbini richiamava l’at­
tenzione su una scoperta che, quasi quarant’anni or sono, suscitò
IX
Il popolo che sconfisse la morte
molte speranze sulla possibilità di svelare il cosiddetto “mistero
etrusco”: le iscrizioni su lamina d’oro del santuario di Pyrgi, da­
tate intorno al 500 a.C., conservate nel Museo di Villa Giulia a
Roma. Provò a tradurle un maestro dell’etruscologia come Mas­
simo Pallottino, ma l’incerto risultato deve aver scoraggiato altri
dal ritentare la prova.
Garbini definiva metodologicamente le cause delle insuperabi­
li difficoltà nel rendere puntualmente un testo etrusco. E conclu­
deva rilevando che la fiducia generalmente riposta in alcuni lin­
guisti e nelle loro analisi grammaticali dell’etrusco ha perpetuato
lo stato di fondamentale incomprensione del testo. I lineamenti
di una grammatica etrusca, più volte tracciati, avrebbero potuto
avere una legittimazione solo da un supporto storico, a partire
cioè, come per tutte le lingue prima non conosciute, da un piano
di riferimento scientificamente accertato.
L’oscurità del passato, che qui si cerca di illuminare sulla scor­
ta di testimonianze irrefutabili, induce invece a trasmettere, ge­
nericamente, con denotazioni prive di senso, come, per esempio,
“micenee”, vicende di popoli mediterranei. Non sono mai acco­
state a designazioni pertinenti, come, per esempio, aramee o fe­
nicie o altro; invece sono spesso genti semitiche che si scoprono
attori reali, creatori di nuove culture.
Le stesse origini etrusche e, in particolare, la lingua etrusca,
sono rimaste avulse da quella realtà pelasgica, cioè tirrena, lonta­
ne dall’essere concepite come sorte da una larga koiné in cui si
fusero le culture semitiche sviluppatesi ai margini o in ambito
mediterraneo.
Lo studioso professionale di tale disciplina, per lo più, sdegnò,
con superbo fastidio, di uscire dal suo bozzolo di specialista,
come scrisse giocosamente Bottéro, di specialista cioè che, con­
clude burlescamente Bernard Shaw, «a furia di assottigliare sem­
pre più la sua area di ricerca, finisce col sapere tutto su nulla».
Per fortuna si tratta ancora di qualche sconsiderato che si pro­
clama autorizzato dal nostro mondo accademico a non leggere,
ma solo a giudicare ciò che sospetta di non consentire alla sua
fede. Egli non sa di fregiarsi così dell’emblema di un magistero
che insegna a non pensare, che ignora la critica costruttiva, non
partigiana. Una critica di valori, attiva in altri mondi accademici di
x
Il mistero etrusco e il fascino delle origini
paesi più felici per gli incrementi della scienza, che è disciplina di
una costante e insonne ricerca. Chi legga ciò che pubblicò la rivi­
sta inglese “Nature”, un articolo dedicato al mondo accademico
nostrano, non ha che da arrossire.1
Altro che mondo accademico. Non so se ai tempi di Giordano
Bruno spirassero venti meno sinistri, perché egli preferisse fre­
giarsi del titolo di accademico di nulla accademia.
Ma non mancano evasioni a eludere il compito di affrontare
problemi fondamentali di ordine filologico-storico. La vocazio­
ne, per esempio, che seduce qualcuno, dell’esibire esempi di ciò
che le arti plastiche antiche avrebbero ispirato alle opere delle
nuove creazioni: una seriosa guida alla storia dell’arte.
E vi è l’evasione, più che utile, dello scavo, dell’esplorazione del
terreno: eviteremmo volentieri l’afrore della frase crociana: «qual­
che scavatore di cocci». Ma sappiamo che se affiorasse alla luce il
millesimo testo etrusco resterebbe ancora muto, perché la lingua
etrusca è l’unica disciplina (amara contraddizione) che non ha
una lingua e tutto, o quasi tutto quello che si suole ripetere di una
sua subliminale ermeneutica è faticosamente congetturale, grazie
alla singolarità del sistema dominante.
Così è lacerante la rinunzia ad avviare un colloquio con quel
popolo, ad ascoltare ciò che i miti nascondono nei labirinti di
anime antiche, di ciò che quel popolo saprebbe comunicarci di
là dalle buie nebbie del passato.
Tutto il resto è congerie, bellurie dei moderni, degrado di una
scienza che non è il possesso di una verità perenne, ma una quo­
tidiana, affannata ricerca.
Affannata... Solo i grandi hanno il senso della dimensione di
un simile compito. L’eterno Faust, Goethe, fermò un pensiero
che è guida a una dignitosa libertà: «Questa è l’ultima conclusio­
ne della saggezza: merita la libertà e la vita solo chi sa conqui­
starle ogni giorno».
1 A. Abbott, Forza scienza!, in “Nature”, 412, 19 luglio 2001, pp. 264-265.
XI
Abbreviazioni
CAD: The Assyrian Dictionary of the Oriental Institute of the Univer-
sity of Chicago, University of Chicago Press, Chicago 1963 ss.
CIE: Corpus Inscriptionum Etruscarum Academiis litterarum Borus-
sica et Saxonica legatum, Istituto di Studi Etruschi e Italici,
Firenze 1970.
CIL: Corpus Inscriptionum Latinarum. Consilio et auctoritate Acade-
miae Litterarum Regiae Borussicae, de Gruyter, Berlin 1862 ss.
ES: E. Gerhard, G Körte, A.G. Klügmann, Etruskische Spiegel,
Reimer, Berlin 1839-97.
FGrHist: F. Jacoby, Die Fragmente der griechischen Historiker, a c. di
G. Schepens, Brill, Leiden 1933 ss.
PW: Realencyclopädie der klassischen Altertumswissenschaft, a c.
di A. Pauli e G. Wissowa, Stuttgart-München 1919 ss.
TLE: Testimonia Linguae Etruscae, a c. di M. Pallottino, La Nuova
Italia, Firenze 1968 [1954].
vS: Akkadisches Handwörterbuch, unter Benutzung des lexikali­
schen Nachlasses von Bruno Meissner (1868-1947), a c. di W.
von Soden, Harrassowitz, Wiesbaden 1965.
WUS: J. Aistleitner, Wörterbuch der ugaritischen Sprache, a c. di O.
Eissfeldt, Akademischer Verlag, Berlin 1963.