Table Of ContentFu l’Italia prefascista una democrazia? Nel settembre 1945 Parri
affermò che in Italia non era mai esistita una democrazia. Invece
Benedetto Croce sostenne che l’Italia aveva posseduto un regime de-
mocratico coi fiocchi. Chi aveva ragione? Nel 1952 Salvemini risicò
una risposta, dando ragione un po’ all’uno e un po’ all’altro: demo-
crazia non perfetta, ma in cammino.
Nei trent’anni del postfascismo l’Italia è una democrazia? L’inter-
rogativo sul postfascismo è di quelli che scottano. Prima di risponde-
re, ci sono tanti fatti da chiarire, e da considerare.
Una cosa è certa, cioè che la situazione internazionale mette a
fuoco i punti deboli e le contraddizioni di casa nostra. Con la crisi
economica mondiale, un paese naturalmente povero come il nostro
non può sopportare quegli sprechi, quei nababbi, quella programma-
zione del tirare a campare, quella strategia del chiudere un occhio,
quell’elefantiasi burocratica, quell’agricoltura presa per il collo, quel-
la corruttela a macchia d’olio, quel disastroso culto dell’automobile,
quei seicento miliardi che, secondo De Mita, si perdono nelle tasche
dei “maneggioni” appollaiati intorno ai partiti. Con la distensione
che avanza, cade il mito dello stato di necessità. Non si può più eser-
citare “il privilegio dell’intimidazione,” che fu tanto caro al liberale
Salandra e che oggi si chiama arroganza del potere. Non si può più
andare avanti col giolittismo della DC al posto dello stato.
Italo Pietra è nato nel 1911 a Godiasco (provincia di Pavia). Ha
partecipato come ufficiale di complemento alle campagne di Abissi-
nia e di Albania. Ha comandato le formazioni partigiane dell’Oltrepò
Pavese. Ha collaborato al “Mercurio,” a “Iniziativa Socialista,” a “Criti-
ca Sociale.” È stato per molti anni inviato dell’“Illustrazione Italiana”
e del “Corriere della Sera.” Ha diretto “Il Giorno” dal gennaio 1960
al giugno 1972 e “Il Messaggero” dal maggio 1974 al 19 giugno 1975.
ltalo Pietra
Il paese di Perpetua
Feltrinelli
Prima edizione: novembre 1975
Copyright by
©
Giangiacomo Feltrinelli Editore
Milano
Via, Perpetua, siamo amici, ditemi quel che sa
pete, aiutate un povero figliuolo.
Mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo.
1.
C'era una volta in Molise un parroco di campagna che con
fessando la gente di Montàgano imponeva, come penitenza, di
piantare alberi. A distanza di tre secoli, le conseguenze sono
ancora manifeste nel paesaggio. Se, tra il 1945 e il 1975, i diri
genti della DC avessero dovuto rendere conto dei propri errori
ad un uomo di quello stampo, l'Italia avrebbe cambiato colore
a poco a poco. Oggi sarebbe verde di foreste infinite, e non
avrebbe il primato delle alluvioni e della siccità.
L'errore fondamentale è quello di avere guidato il paese dalla
liberazione alla restaurazione. I democristiani si danno il vanto
di avere "ricostruito," ma hanno il torto di avere ispirato la rico
struzione alla formula "com'era, dov'era," che non è infausta sol
tanto nel caso dei monumenti. L'obiettivo di De Gasperi era la re
staurazione dello stato prefascista. Fanfani poi, che nel 1945 pas
sava per "sinistro," era decisissimo ad andare avanti, ma non sa
peva dove: "piu che tendere a destra o a sinistra, bisogna tende
re avanti."
Adesso capita spesso che su certe posizioni della sinistra ita
liana, riparlando del 25 aprile, affiorino le delusioni, come dopo
il Risorgimento. A volte sembra stimolante parlare di Resistenza
tradita. Ma prima di arrivare a tanto, prima di prendere la strada
dei "se" e dei "ma" in vista delle cose che potevano essere e non
sono, bisogna considerare il contesto internazionale e le condi
zioni del nostro paese nei primi tempi del dopoguerra. C'era la
sentenza di Yalta; l'Europa, spaccata in due, arrancava tra grandi
incognite e l'Italia era terra di frontiera, e aveva fame. Il mondo
correva verso la guerra fredda: e la Grecia passava dalla Resi
stenza alla guerra civile, riflettendo di terra in terra, di battaglia
in battaglia, le posizioni dei blocchi contrapposti sulla scena pla·
netaria. Non era tempo di avventure né di fughe in avanti.
Allora per la DC è stato facile, e quasi naturale, prendere la
testa del blocco d'ordine. Per tanta e tanta gente, dopo il crollo
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del fascismo, c'era il vuoto, e l'incognita del nuovo: e la paura
del salto nel buio, prima e dopo il referendum. Al nord, tanta
gente aveva paura del "rosso," dopo le stagioni della Resistenza
e l'avanzata dei comitati di liberazione. In genere il sud non ca
piva e non poteva soffrire "il vento del nord," questa nuova tro
vata dei "polentoni" della Valle Padana che avendo dato vita al
fascismo nel primo dopoguerra si gloriavano di averlo ferito a
morte sul finire della seconda guerra mondiale. Allora, tra l'aria
del nord e quella del sud correva la stessa differenza che passa
tra liberazione e occupazione: gli angloamericani, che nel luglio
del 1943, sbarcando in Sicilia, erano ancora nemici, furono accolti
come alleati, nel giugno del 1944, entrando in Roma "città aperta,"
e il 29 aprile del 1945 trovarono Milano già liberata. Per tanti e
tanti reduci, era difficile mandare giu le sentenze sulla "guerra
sbagliata" e quindi l'amarezza delle battaglie inutili, dei sacrifici
a vuoto, degli anni buttati via, dei compagni perduti. Guadagnava
facilmente terreno il mito della "guerra tradita," cosi come nel
primo dopoguerra il mito della "vittoria mutilata." Questa volta,
c'era anche il problema dei profughi dall'Istria e dalla Dalmazia;
la questione di Trieste, bramata da Tito, aveva ben altri echi che
quella di Fiume tenuta da D'Annunzio contro Roma e contro lo
stato.
La DC venne a trovarsi sul filo della corrente; bastava lasciarsi
portare da quel fiume, dal fiume dei conservatori che si faceva
sempre piu gonfio. Era quel partito a dare un'idea di prudenza,
di continuità, di fedeltà alla tradizione, di quiete dopo il vento
del nord.
Si accendevano battaglie accanitissime per il referendum del
2 giugno: e la DC si teneva in disparte. C'era la paura dell'epura
zione: e la DC parlava tanto di pacificazione, propugnando il
colpo di spugna, la liquidazione delle "polemiche crude e inutili
sulla responsabilità della guerra," il superamento della contrappo
sizione tra fascismo e antifascismo. C'era la paura del "rosso": e
la DC meritava da Nenni l'etichetta di "partito contro la rivolu
zione." Era difficile resistere alla tentazione di rovesciare le posi
zioni del passato remoto, quando i cattolici, non avendo un partito
e non ubbidendo al non expedit, avevano votato per i conserva
tori; adesso i conservatori votavano in massa per la DC.
Alle spalle del partito c'era già il Vaticano, con gli apparati
collaterali delle parrocchie e delle associazioni cattoliche: a causa
della guerra fredda, ci si mise anche l'America, col prestigio
della vittoria, del capitalismo trionfante, degli aiuti abbondanti e
necessari. La tradizionale condanna del "rosso" riceveva dalla
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guerra fredda un carattere di necessità. Non c'era PIU spazio
per i romanticismi; era l'ora del realismo, della concretezza e
cosi via.
Romantici erano chiamati quelli della sinistra DC che facevano
capo alla rivista "Cronache Sociali" (Dossetti, La Pira, Zaccagnini,
Moro, Baget-Bozzo, Lazzati, Fanfani, Glisenti). C'era chi li bollava
col marchio dell'integralismo; e chi li accusava di essere "pro
fessorini" e di parere domenicani. Avevano tre torti, imperdo
nabili in quel tempo: si opponevano alla linea di De Gasperi;
prendevano di mira i "mobili antichi" del Partito popolare; par
lavano sul serio di antifascismo e di tensione morale. Cosi, attac
cavano i padreterni del prefascismo, Nitti, Orlando, Bonomi,
Croce, "curatori fallimentari di una classe politica che, abituata a
intendere l'arte del compromesso parlamentare come unico ele
mento di azione, non seppe rispondere ai bisogni profondi del
paese." Dossetti vedeva nello stato tradizionale la base di uno jus
singolare, di un diritto privilegiato per i detentori degli stru
menti di produzione: quindi la necessità di fare una "casa nuova,"
di realizzare l'inserimento e la partecipazione delle masse alla vita
dello stato. La Pira metteva a fuoco "l'attesa della povera gente,"
i problemi della classe proletaria che non dispone degli stru
menti di produzione e vive quindi in condizione di inferiorità
economica, sociale, culturale e politica: una vera e propria vio
lazione della giustizia.
Le posizioni di "Cronache Sociali" erano attaccate duramente
dal grosso degasperiano (e con particolare energia da Andreotti).
Per giunta, dovevano fare fronte agli attacchi della maggioranza
dei partiti minori che partecipavano ai governi De Gasperi. Nel
l'estate del 1951, la "Corrente" si sciolse. Secondo Dossetti, era
troppo forte la distanza tra quello che si voleva fare e quello che
si poteva fare; era impossibile contrastare De Gasperi e impos
sibile collaborare con lui; bisognava tirare un bilancio negativo
sul partito; mancavano al mondo cattolico le basi culturali e
ideologiche per impostare una politica di rinnovamento dello
stato. Non restava che sciogliere ·"Cronache Sociali"; conveniva
passare dalla politica attiva ad un lavoro di ripensamento e di
preparazione in vista di una nuova ideologia. Alcuni amici di
Dossetti si misero in disparte; altri tornarono ad unirsi per ri
prendere l'azione politica su un piano di "riformismo condizio
nante De Gasperi." Fanfani si era già distinto nell'avvicinamento
a De Gasperi e al centro; ebbe l'onore di andare a fare il ministro
dell'agricoltura (e di spolpare un po' la riforma Segni, già molto
magra).
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Li per li, senza gli impedimenti di quell'opposizione, il par
tito sembrò procedere piu speditamente: in realtà era mutilato.
Non aveva piu una sinistra adatta ai tempi, perché quella di
Granchi era vecchia, e particolarmente incline al vecchio modo
di far politica. Senza il contrappeso di "Cronache Sociali," senza
quell'ansia di rigore morale, senza quella spinta alla ricerca di
un nuovo modo di far politica, la DC risultò ben presto diversa.
Le sue speranze erano i ricordi, il suo obiettivo la conserva
zione dello status quo. Si presentava come partito di centro che
va verso sinistra, ma la tattica prediletta era quella dell'immo
bilismo: e non si facevano eccezioni che per andare verso destra.
Il 3 gennaio del 1952 De Gasperi invocò l'aiuto di Pio XII descri
vendo una DC moralmente e ideologicamente a pezzi e indicando
le responsabilità, vale a dire il nemico da colpire: no, non era
Gedda, bensi ciò che rimaneva ancora del dossettismo, "una fra
zione la quale presume di rappresentare la vera dottrina cri
stiano-sociale e che ritiene di essere depositaria dell'intimo senso
della riforma cristiana, a differenza degli opportunisti o realiz
zatori d'oggi, considerati elementi transitori di compromesso."
C'era poco da scegliere e bisognava scegliere: "o concentrare
attorno ai cattolici piu sicuri e operosi uno schieramento ampio
che possa resistere all'ancora fortissimo schieramento nemico,
ovvero creare una specie di laburismo cristiano che proceda alla
riforma sociale trascurando l'eventualità della riduzione delle for
ze e quindi il rischio di essere troppo deboli per difendere le
nostre ragioni supreme dello spirito e della civiltà." Secondo De
Gasperi, gli insegnamenti pontifici e le settimane cattoliche non
lasciavano dubbi sulla scelta da fare, cioè sulla necessità di collo
care le soluzioni ideali entro il quadro delle condizioni reali: era
facile insistere unilateralmente sui provvedimenti sociali ( disoc
cupazione, distribuzione di terre, costruzione di case, ecc.) "tutte
finalità sacrosante, ma che non si possono raggiungere se non a
condizione di avere in mano sicura il governo e di non perdere
la possibilità di agire sulle leve economiche e finanziarie." Non
si poteva essere piu chiari, né piu realisti, ne piu centristi nel
senso del centrismo che significa centro-destra.
Nel 1952 il segretario del partito, Gonella, propugnò la "demo
crazia protetta," fondata sulla legge maggioritaria e spinta sino
alla revisione costituzionale. La consegna era quella di non cam
biare niente, di fare quadrato intorno a De Gas peri, di "sottoli
neare trionfalmente che l'ideologia e l'opera dei governi a dire
zione democristiana hanno presieduto alla ricostruzione dell'Italia
dalla recente rovina."
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