Il diluvio

368 Pages·1999·4.105 MB·Italian

by  William Ryan & Walter Pitman

IL DILUVIO
WILLIAM RYAN — WALTER PITMAN
Titolo originale dell'opera: Noab's Flood. The new scientific
discoveries on the event that changed history
© 1998 — Walter C. Pitman III and William B. F. Ryan
La 1° edizione è stata pubblicata da Simon and Schuster,
New York, N.Y.
Traduzione dall'inglese a cura di: Aldo Audisio
Sovraccoperta: Studio Aemme
Redazione: Edistudio, Milano
1° Edizione 1999
© 1999 — Edizioni Piemme spa
15033 Casale Monferrato (Al) — Via Del Carmine, 5
Tel. [phone] — Fax [phone]
Stampa: arti grafiche TSG s.r.l. — Via Mazzini, 14 — Asti
SEAN HUNTER RYAN
6.4.1972 — 8.12.1995
I sentieri che portano su e giù per la foresta dei cedri
piangono per te: il pianto non smette giorno e notte. Piange
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la prateria; ti lamenta come fosse tua madre. L'orso, la iena,
la tigre, il cervo, il leone, il bufalo, lo stambecco — tutti gli
animali della piana ti piangono. Il fiume Ulaia, sulle cui
sponde noi passeggiavamo, ti lamenta; noi percorremmo le
sue sponde. La pura corrente ti piange dove noi riempimmo
i nostri otri.
Gilgamesh, tavoletta VII, colonna I (Gardner and Maier,
1985)
Allora Dio disse a Noè: È decisa per me la fine di ogni
mortale poiché la terra, per causa loro, è piena di violenza
... Ecco io sto per far venire il diluvio dell'acqua sopra la
terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne in cui è l'alito
di vita; tutto ciò che è sulla terra perirà.
... in quel giorno eruppero tutte le sorgenti del grande
abisso e le cateratte del cielo si aprirono ... Le acque
divennero sempre più poderose sopra la terra e coprirono
tutti i più alti monti che sono sotto il cielo... per
centocinquanta giorni.
Genesi 6, 13.17; 7, 11.19.24.
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Prologo
I TESTIMONI
Piegato nello sforzo, l'uomo rema freneticamente verso
terra, una palata a destra, una a sinistra, quando s'accorge
stupefatto che sotto la sua chiatta spunta una foresta. Le
chiome degli alberi, stranamente imbrattate di uno scuro
terriccio rossastro, spuntano dal nero abisso che egli e la
sua famiglia hanno scrutato ansiosi, quasi disperando di
giorni migliori. Non sa che dirsi. Non si tratta dell'immagine
riflessa della terra e del cielo che egli ha avuto modo di
osservare sulla superficie della laguna, quando le tife
sembrano allungarsi in direzione opposta da uno stelo
comune sul bordo dell'acqua. E neppure lo aiuta il ricordo di
quando, nella luce soffusa della notte, due lune si dipartono
dall'orizzonte separandosi in due sfere, una che sale, l'altra
che scende.
La prua dell'imbarcazione penetra nella misteriosa foresta
le cui cime spuntano dalla superficie dell'acqua. Una sola
volta gli era successo di assistere a un fenomeno simile. Fu
quando alcuni cercatori lo avevano portato con sé su per il
possente fiume01 che scende da occidente, là dove muore il
sole, ed erano penetrati nelle alte montagne in cerca di un
certo verde tesoro metallico. Con quelli era salito in un
posto selvaggio dove le acque di rapide spumeggianti
precipitavano entro una forra stretta e tortuosa, sollevando
alte nell'aria nubi di spruzzi. Stava in piedi su una rientranza
pianeggiante che riparava le rovine di un santuario
abbandonato02 . Aveva raccolto un sasso liscio,
presumibilmente scagliato sulla rupe dalla corrente che gli
scendeva sotto i piedi, e nella rappresentazione di una dea-
pesce vi aveva riconosciuto una faccia umana03 con occhi
discosti e una larga bocca serrata04 in una smorfia di
tristezza, come sopraffatta da un cattivo presentimento. Poi
voltandosi indietro nella direzione da cui era venuto aveva
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visto le cime degli alberi che spuntavano attraverso gli
spruzzi e aveva immaginato di librarsi come un'aquila al
disopra delle nubi. Adesso ha la sensazione di essere
quell'aquila che tenta di posarsi frammezzo le piante.
Affamato ed esausto, invoca che quel luogo di sosta non
scompaia, costringendolo a proseguire la fuga dalla sua
dimora sommersa.
L'uomo abbandona la grande pagaia per potersi
aggrappare con entrambe le mani alle cime emergenti degli
alberi. Si apre a fatica il passaggio tra il fitto e fetido
groviglio dei rami, si studia di allacciare un piccolo canapo
salvatore intorno alla corteccia calcinata del primo fusto
robusto che gli riesce di incontrare. I figliuoli si gettano in
acqua e si fanno strada tra il frascame. Forzano i loro corpi
emaciati attraverso il folto dei rami finché i piedi toccano
terra. Si arrampicano fuori dell'acqua, troppo stremati per
gioire. I loro corpi tatuati sono ricoperti dei detriti del
tappeto boschivo: foglie marce, insetti, funghi e uno strato
di polline mischiato alle alghe che hanno attraversato
nuotando.
Per quasi tutta una luna quella gente ha vagato smarrita e
senza meta in uno sconfinato cosmo acqueo. Hanno
costruito in fretta la loro imbarcazione, appena sufficiente
per la famiglia e alcune capre05 . Vi hanno pure caricato le
sementi da posare in nuovi campi, ogni varietà di granaglie
custodite in cesti intrecciati e avvolte in pelli per mantenerle
asciutte. Non hanno provveduto a fornirsi d'acqua, poiché le
acque del lago sul quale sono partiti erano dolci. Ma durante
il viaggio sono diventate inspiegabilmente salate, e hanno
ucciso i pesci e gli uccelli selvatici che provvedevano al loro
mantenimento. Grandi e putride macchie di carogne
coprivano a perdita d'occhio la superficie dell'acqua.
I naviganti hanno attraversato un mare di relitti spinti da
terra, una sorta di strame che in principio era fatto di
legname alla deriva, sbiancato e squarciato dall'implacabile
opera devastatrice del sole.
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Ma col passare dei giorni e delle settimane cominciarono a
imbattersi in interi tronchi con la corteccia ancora attaccata,
apparentemente trascinati da poco alla deriva dai fondivalle
boschivi dell'interno. Finché nel corso della loro odissea la
pelle dei tronchi galleggianti aveva cambiato, dal verde del
muschio, nell'argento del lichene. Uccelli in cerca di cibo si
posavano sull'imbarcazione e sui relitti galleggianti che la
chiudevano intorno. Non erano i noti uccelli dalle lunghe
zampe che raccoglievano col becco le sottili conchiglie
lungo la spiaggia, bensì uccelli che ricordavano loro le
remote partite di caccia attraverso le sconfinate praterie. Il
fringuello si aggirava saltellando fra corde e attrezzi, e
volava via solo quando all'orizzonte apparivano le bianche
vette di montagne lontane.
La famiglia si raduna a terra col carico portato in salvo.
Mentre sta scaricando la chiatta, vede con spavento che
intorno all'albero cui questa è ormeggiata l'acqua sta
salendo.
La fuga non è finita. Per sfuggire all'inesorabile assalto del
diluvio dovranno continuare il viaggio a piedi. Decidono di
tagliare diagonalmente per il fianco della collina, nella
speranza di incrociare una valle fluviale che li conduca in
prati aperti dove le bestie possano pascersi.
Le nocciòle sono ancora chiuse nel loro piatto involucro
peloso e troppo acerbe per essere raccolte; altrettanto il
piccolo e duro frutto del bagolaro o spaccasassi. Ma ci sono
pur sempre radici, tuberi e altre cose con cui nutrirsi. Sulle
piste battute dal cervo riconoscono lo sterco che rivela la
presenza dell'orso e della pantera. L'aria profuma dei fiori
del lauro. Non dovrebbe essere lontano un torrente. Man
mano che salgono in fila indiana spingendo le bestie che
forniscono loro il latte e la lana, le caducifoglie si sfrondano
e lasciano trapelare la luce del sole da cui i loro corpi
traggono calore.
La pista raggiunge un sentiero che sembra essere stato
battuto dal passaggio di altre comitive. Sboccano in
un'ampia valle che corre verso il primo sole mattutino. Un
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largo fiume06 scorre alle loro spalle, diretto al lago dal quale
essi sono fuggiti07 .
Si accampano provvisoriamente per far pascolare le bestie.
Si guardano all'indietro per vedere se sono inseguiti
dall'acqua che ha sommerso l'intero loro mondo.
Dai genitori hanno appreso che i nonni e i padri dei nonni
avevano costruito case di canne08 e dissodato campi lungo
le sponde del grande lago, in prossimità delle sue rive. Però
nell'arco di generazioni il lago si era ritirato ed era stato
separato dall'abitato da una laguna e da una striscia di
sabbia che il vento aveva modellato a dune, e dove essi
raccoglievano i robusti steli delle graminacee per tesserne
stuoie. I paesani erano ad usi al lento crescere e decrescere
del lago che accompagnava il ritmico mutamento delle
stagioni.
Sapevano riconoscere la stagione dell'anno dall'altezza
dell'anello di mittili09 abbarbicati ai pali del pontile dove le
imbarcazioni stavano ormeggiate quando non erano lontano
per la pesca o per trasportare merci sul fiume. Succedeva
che da luoghi remoti al di là dell'altra riva del lago
arrivassero grosse imbarcazioni con equipaggi che si
facevano capire con il linguaggio strettamente
indispensabile al commercio.
Dapprincipio la salita dell'acqua lungo la riva del lago fu a
malapena notata. Nessuno se ne preoccupò finché gli
uomini dei pescherecci non parlarono di un rumore
misterioso e mai udito. Non trascorsero molti giorni che il
fragore fu udito dal lato del sole meridiano. Il mugghìo
cresceva, decresceva, poi riprendeva. Assuefatti alla
naturale quiete della riva lacustre, allo sciabordio di piccole
onde lungo la spiaggia, al frusciare degli animali nella
macchia e all'animazione della vita paesana, gli abitanti si
inquietarono al rumore sconosciuto che penetrava per le
pareti delle loro capanne. Esso portava la minaccia di una
lontana e violenta burrasca di pioggia che aveva già
cominciato a dilatare il lago oltre le sue sponde.
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Il rombo della bufera non scemava. In verità il diluvio di
pioggia non raggiunse mai il villaggio, però i suoi effetti
erano visibili ovunque: il pontile sommerso, le scosse del
suolo e il continuo ingrossamento del lago. Col passare del
tempo la laguna si ricongiunse al lago.
Se la bufera avesse continuato, il villaggio sarebbe stato
minacciato dalla marea montante. Fra la gente, pochi fecero
i preparativi per trovare scampo all'interno. Alcuni che
avevano caricato le loro canoe per risalire il fiume
osservarono sgomenti che questo aveva invertito
misteriosamente il suo corso e adesso risaliva verso
l'interno. Altri, temendo che il turbine si rovesciasse
direttamente su di loro e capovolgesse le imbarcazioni,
rifuggirono l'acqua e cominciarono a emigrare attraverso
l'arida steppa verso terreni di caccia distanti dal lago. Altri
non si mossero affatto. A memoria d'uomo — ragionavano
costoro — l'acqua non era mai cresciuta al punto da allagare
il villaggio, che sorgeva sulla sommità di una ragguardevole
altura — dopotutto per raggiungere il punto più alto del
posto occorrevano molte giornate di cammino.
In effetti le inondazioni erano in genere benefiche.
Allagavano i campi seminati, e se l'acqua non protraeva
troppo la sua visita le prossime messi sarebbero state
generose. Però questa tempesta non accennava a finire,
anzi si rafforzava.
La terraferma scomparve rapidamente alla vista.
Cominciata a piccoli passi al giorno, la bufera moltiplicò per
cento il ritmo della sua invadenza. Coloro che non erano
partiti alle prime avvisaglie, alla fine videro il loro villaggio
trasformato in un'isola che andava costantemente
restringendosi. I capitani dei grossi pescherecci e mercantili
levarono l'ancora per resistere alla bufera avanzante e
mantenersi a galla. Il resto della popolazione fu colto dal
panico. Cominciarono a smontare case e tettoie per trarne
travi e puntelli coi quali costruire imbarcazioni improvvisate.
Un gran numero di strane imbarcazioni furono trascinate via
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una a una, insieme con i loro terrorizzati occupanti,
dall'ondata di distruzione e di desolazione.
Finì che un mare di morte distrusse tutto quanto aveva un
sapore di quotidianità.
Anche altrove i primi segni premonitori dell'imminente
cataclisma furono sordi rumori, leggere scosse, come fremiti
provenienti da lontano. Alcuni gruppi di contadini del delta10
erano vissuti in gruppi di case su palafitte11 che sorgevano
in mezzo a campi e recinti per il bestiame. Era gente che
coltivava granaglie, allevava bestiame, pescava nel lago
vicino e cacciava la selvaggina nella macchia. Sbigottiti
dallo strano rumore, accorsero sulla scogliera e presero a
scrutare nella direzione da cui esso sembrava provenire.
Non riuscirono a vedere altro all'infuori di una nube
inconsueta che rischiarava il cielo notturno.
Un gruppo di lontani parenti stravolti e terrorizzati giunse
camminando lungo la riva, e raccontò come la sua valle
fosse stata inondata. Le acque del Grande Lago Salato che
la sovrastava erano defluite impetuose nel lago sottostante.
La conca dove avevano vissuto era diventata un fiume che
aveva travolto e spazzato via i loro villaggi.
Alcuni giorni dopo l'acqua superò il delta e salendo
attraverso la rete dei canali di irrigazione allagò alcuni
campi prossimi al lago. L'acqua torbida mulinava intorno alle
abitazioni e ben presto minacciò i granai. Il rumore lontano
mugghìava e cresceva ogni giorno col montare dell'acqua
che si trascinava dietro una scia di relitti galleggianti. I
paesani fuggirono terrorizzati su per il fiume verso le alture.
Timorosi di subire una punizione, innalzarono sacrifici alle
loro divinità femminili, supplicando che lo spaventoso
incubo avesse presto fine. Se poi le acque non si fossero
ritirate, avrebbero varcato con fredda determinazione lo
spartiacque in cerca di una nuova terra, a costo di scacciare
quegli altri coi quali avevano commerciato acquistandone la
brillante pietra nera con la quale, tagliata e lavorata,
avevano foggiato le lame affilate delle loro spade.
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In un altro punto della sponda del lago12 una colonna di
vagabondi si era mossa in direzione del rumore, ma era
stata costretta a ritirarsi verso terra dall'incalzare dell'acqua
della laguna dove era solita intrappolare gli uccelli acquatici.
Essi notarono oltre la costa una striscia di relitti galleggianti
che si muovevano lentamente in tondo lungo la spiaggia e si
allontanavano seguendo il deflusso. L'acqua era limacciosa.
La riva era infestata da pesci e avvoltoi putrefatti. Una
schiuma putrida penetrava nella laguna. La risacca
depositava sulla spiaggia e poi risucchiava la carogna
mutilata di un cervo con la pelle lacera e gli arti troncati e
come maciullati da una sorta di gigantesco essere maligno.
Per sfuggire al fetore la banda si arrampicò su per la
scarpata che dominava l'avanzante linea costiera. Non c'era
segno della grande selvaggina usa a muoversi in quella
zona, forse perché intimidita dall'inconsueto
comportamento della natura.
Quando la terra tremò sotto i loro piedi, i vagabondi si
fecero più attenti al rumore. Il tuono rintronava le loro
orecchie. Una nebbia gelida e salata li investì e offuscò il
sole creando uno scenario spettrale, piatto e senza ombre.
Da un altopiano13 videro terrorizzati un gigantesco
pennacchio di spruzzi che si gonfiava e saliva alto
dall'abisso, dalle cui profonde viscere eruttava un
raccapricciante ruggito. A chi aveva l'ardire di guardare in
basso dal orlo del precipizio si presentava una scena di
sconcertante devastazione. Era stato cancellato il familiare
paesaggio del fondo vallivo una volta così fertile. I fianchi
della valle, che essi ricordavano per i ripidi pendii coperti di
alberi frondosi, erano denudati. La valle, già così quieta,
appariva adesso come una ferita aperta dentro la quale un
orripilante Leviatano scendeva verso il lago sottostante col
procedere sinuoso di un serpente.
Là dove il varco piegava bruscamente, la violenta rapida
cozzava contro la parete opposta, ne sfaldava la roccia e
rimbalzava fin quasi sul pianoro dove si trovavano i
vagabondi.
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