Table Of ContentLIBERA UNIVERSITÀ DI BOLZANO
FACOLTÀ DI
SCIENZE DELLA FORMAZIONE
Corso di laurea quadriennale in
Scienze della Formazione primaria
I CONNETTIVI COME STRUMENTI
DI COESIONE TESTUALE
UN APPROCCIO LABORATORIALE
ALLA GRAMMATICA DEL TESTO
Relatore presentata da
Prof. Silvia Dal Negro Maria Cristina Curzi
Parole chiave: connettivi, linguistica testuale,
competenza comunicativa, riflessione grammaticale
Sessione invernale
Anno accademico 2012/2013
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INDICE
INTRODUZIONE pag. 5
CAPITOLO I
IL SIGNIFICATO CONDIVISO pag. 13
I.1 La prospettiva cognitiva sul significato pag. 13
I.2 La narrazione pag. 16
I.3 La narrazione nel linguaggio infantile pag. 18
I.4 La narrazione nell’acquisizione del linguaggio pag. 20
I.5 la linguistica testuale pag. 24
CAPITOLO II
COSTRUIRE LA COESIONE pag. 29
II.1 C’era una volta un testo pag. 29
II.2 Il testo coeso pag. 32
II.3 Le ragioni della coesione pag. 36
CAPITOLO III
CONNETTIVI:
UNA DEFINIZIONE PROBLEMATICA pag. 41
III.1 I connettivi negli studi di linguistica testuale pag. 41
III.2 I connettivi nei dizionari pag. 48
III.3 I connettivi nelle grammatiche di
consultazione pag. 53
III.4 I connettivi: una nuova classe del discorso? pag. 58
CAPITOLO IV
I CONNETTIVI NELLE STRATEGIE
DI COMPRENSIONE E PRODUZIONE pag. 62
IV.1 I connettivi nel testo infantile pag. 62
IV.2 Connettivi e competenza testuale pag. 66
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IV.3 La comprensione del testo scritto pag. 72
CAPITOLO V
ANALISI DI UNA PROVA DI COMPRENSIONE pag. 78
V.1 Descrizione della prova svolta in classe pag. 78
V.2 Criteri di scelta dei testi pag. 81
V.3 Descrizione dei connettivi pag. 85
V.4 Analisi dei risultati pag. 89
V.5 Riflessioni conclusive sui risultati pag. 92
CONCLUSIONI pag. 102
BIBLIOGRAFIA pag. 105
APPENDICE pag. 111
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INTRODUZIONE
Se si prendono in mano i testi scolastici per l’insegnamento
dell’italiano, la prima osservazione che si impone riguarda la
divisione netta tra la cosiddetta grammatica e l’antologia di testi. La
riflessione sulla lingua si articola in due momenti ritenuti
indispensabili, ma separati: un aspetto prescrittivo, riferito alle
strutture morfosintattiche, e un aspetto interpretativo, incentrato
sull’analisi di diversi generi letterari. Completamente diversi anche
gli strumenti di lavoro proposti agli alunni: nello studio della
grammatica si incontrano frasi avulse dal contesto, inventate
appositamente per esemplificare i concetti teorici esposti, mentre
l’approccio al testo si avvale del rapporto diretto con brani tratti
dalla letteratura per l’infanzia o dalla tradizione letteraria. La frase
da un lato e il testo dall’altro sembrano essere due elementi
linguistici separati ed oggetto di discipline diverse.
Per secoli l’oggetto di riferimento nello studio della lingua è stata la
frase, ossia un modello teorico di enunciato che esprime una forma
sintattica completa (Altieri Biagi, 1985). Il grammatico si occupava
di individuare la struttura interna delle parole (morfologia) e le
possibili combinazioni nella frase (sintassi). La valutazione della
correttezza linguistica dipendeva dall’appropriatezza delle strutture
morfosintattiche e dalle scelte lessicali in relazione ad un modello di
lingua definito a priori. Il riferimento teorico era una concezione
statica di lingua, in cui le parole sono classificate come oggetti
naturali. Le grammatiche tradizionali presentavano dunque una serie
di categorie e di possibili paradigmi, che venivano trasmessi agli
alunni attraverso un insegnamento di tipo normativo (De Mauro,
2009).
Nel Novecento gli studi sulla lingua sono stati notevolmente ampliati
da diverse discipline, quali la linguistica, la psicologia, la sociologia,
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l’antropologia, la filosofia del linguaggio, che hanno aperto
innumerevoli prospettive teoriche confluite poi in settori ben
delineati. Ogni diversa visuale ha imposto la consapevolezza
condivisa che la lingua non possa essere compresa appieno
limitando lo studio alle singole frasi, ma soltanto all’interno di una
più ampia riflessione sulla comunicazione.
Negli studi teorici hanno acquisito rilevanza gli elementi procedurali
che definiscono il funzionamento di una lingua e il rapporto tra la
lingua e il contesto. In particolare l’approccio descrittivo dei teorici
strutturalisti o funzionalisti ha focalizzato l’attenzione sulle regolarità
interne alla lingua, ricavabili da fatti osservati e generalizzati.
L’approccio costruttivista, invece, ha studiato i processi attraverso i
quali l’uomo inventa il significato della lingua all’interno di un
ambiente culturalmente determinato e attraverso relazioni sociali
significative. Le due concezioni non sono in conflitto tra loro, perché
entrambe sono fondate sull’analisi delle operazioni linguistiche, che
sostituiscono gli stati della grammatica tradizionale (Cambiaghi,
1997).
Il modello elaborato dai linguisti, dunque, cerca di spiegare la
produzione linguistica del parlante in un contesto reale,
destrutturandola in una serie di livelli contenenti sistemi di regole.
L’apparato morfosintattico è soltanto uno dei livelli della lingua a cui
si affiancano le componenti fonologiche, grafemiche, lessicali,
testuali e pragmatiche. Per utilizzare la lingua in modo da agire sul
contesto, il parlante deve essere in grado di gestirne ogni livello,
padroneggiando abilità diverse. La capacità di agire in tal senso è
definita competenza linguistica (Balboni, 1994).
Il problema del rapporto tra la linguistica teorica e la didattica delle
lingue diventa centrale nell’infuocato dibattito sull’educazione
linguistica degli anni ’70. De Mauro (1977) in particolare denunciava
la mancanza di testi scolastici ispirati ai principi della linguistica. La
didattica avrebbe dovuto prendere in considerazione l’ordine
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gerarchico stabilito dagli studi teorici per ricostruire un nuovo
sistema di insegnamento basato su criteri funzionali. L’assenza di
tale prospettiva era attribuita dall’autore alla mancanza di una
grammatica teorica di riferimento che offrisse una descrizione
strutturale dell’italiano. Un’altra causa fondamentale era la scarsa
preparazione dei docenti di italiano nei campi della linguistica, della
glottologia e della semantica.
Gli anni ’80 videro un’intensa sperimentazione che portò allo
sviluppo di molteplici proposte didattiche ispirate ai nuovi sistemi
teorici. Per ricordarne almeno due tra quelle che hanno avuto una
vasta eco nei corsi di formazione e aggiornamento degli insegnanti,
si possono ricordare gli itinerari proposti da Maria Luisa Altieri Biagi
(1987) e Isabella Poggi (1989), ispirati il primo alla linguistica
funzionalista e il secondo alla grammatica razionale.
Tuttavia le ipotesi formulate in ambito teorico hanno avuto un
impatto limitato sull’insegnamento. Sobrero (1996) ha analizzato
alcune tra le grammatiche più adottate nelle scuole italiane,
arrivando ad una conclusione deludente. I testi hanno aggiunto alla
parte descrittiva che analizza la morfologia e la sintassi, numerose
nozioni di sociolinguistica e di pragmatica, ma l’impostazione
tradizionale mantiene il ruolo predominante e non si presta ad
essere integrata in un modello descrittivo organico. I testi si limitano
ad aggregare nuovi contenuti, in modo che gli insegnanti possano
selezionare gli argomenti in base alle loro preferenze, senza
proporre una scelta esplicita tra le diverse teorie.
Un risultato analogo emerge da una ricerca finalizzata a verificare
come la scuola concepisca la riflessione sulla lingua (Fiorentino et
al., 2009). L’indagine prende in esame sia l’opinione dei docenti,
attraverso un questionario, sia l’analisi di alcune grammatiche
scolastiche. Dei testi si afferma che, pur presentando alcuni concetti
tratti dalle più recenti teorie linguistiche, hanno mantenuto i modelli
tradizionali di analisi delle categorie grammaticali con notevoli
incongruenze. La grammatica è affrontata in modo astratto, senza
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riferimenti ad un modello glottodidattico coerente. Le conoscenze
relative restano imprigionate in esercizi creati appositamente, ma
non sono trasferite ad altri contesti.
Anche se basate su ricerche limitate, le posizioni ora presentate
confermano che la grammatica nei testi scolastici è ancora intesa
come un insieme di norme da apprendere attraverso lo studio
mnemonico e l’esecuzione di esercizi meccanici appositamente
elaborati. Si preferisce mantenere una rigida distinzione tra l’analisi
delle forme morfologiche e sintattiche e la riflessione sulla lingua nel
suo complesso, pur riconoscendo gli apporti fondamentali dati dalla
linguistica in tal senso. Una tale impostazione presenta forti limiti,
tra i quali due sembrano estremamente negativi per il processo di
apprendimento.
In primo luogo si preferisce un procedimento induttivo dalla regola
all’applicazione, negando la valenza del ruolo attivo dell’alunno sia
per la costruzione di processi cognitivi di ristrutturazione delle
conoscenze sia per la creazione di una motivazione intrinseca. Il
modello normativo non lascia spazio alla formulazione di ipotesi, alla
sperimentazione e all’uso creativo, ponendosi al di fuori delle
indicazioni didattiche suggerite dalla ricerca teorica e dalla
legislazione. A tal proposito, però, bisogna tener presente che la
progettazione di una didattica efficace non è delegata in nessun caso
al libro di testo, ma dipende essenzialmente dalla programmazione
del docente. Di conseguenza la diffusione di testi tradizionali non
dimostra necessariamente l’assenza di pratiche basate su un
approccio sperimentale.
Il secondo elemento di rischio insito nell’impostazione tradizionale
dipende dal ruolo prevalente dell’analisi morfologica e sintattica
nell’insegnamento della grammatica, che relega le altre dimensioni
della lingua ad un ruolo marginale, riducendole spesso ad un
insieme di nozioni a cui non sono collegate esercitazioni pratiche. La
riflessione grammaticale rischia di essere un momento a sé,
separato dall’acquisizione della competenza linguistica, quasi a
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suggerire che non esista relazione tra la consapevolezza delle norme
linguistiche e l’acquisizione delle abilità di ricezione e produzione
della lingua.
La questione può essere affrontata da due prospettive diverse.
Innanzitutto ci si può chiedere se la competenza metalinguistica,
che deriva dalla conoscenza delle strutture grammaticali, migliori le
prestazioni linguistiche. La risposta non è incoraggiante: le ricerche
non sembrano dimostrare una ricaduta positiva dello studio della
grammatica formale sulle abilità linguistiche di base (ascoltare,
parlare, leggere e scrivere). Se tali conclusioni si rivelassero
definitive, la riflessione sulle strutture formali della lingua avrebbe
valore solo in quanto esercizio di capacità cognitive di osservazione
e astrazione (Lo Duca, 2004).
La stessa domanda può essere però ribaltata in una seconda
prospettiva: è necessaria la conoscenza dei fenomeni linguistici per
una comunicazione verbale o scritta efficace? Così formulato il
problema non ammette che un’unica risposta. La capacità di
comprendere o produrre messaggi implica la conoscenza dei
meccanismi attraverso cui la lingua esprime i significati, gli scopi, i
destinatari. Tra questi ogni aspetto (fonologico, morfosintattico,
lessicale, testuale, pragmatico) riveste un’importanza fondamentale
per la comprensione. Soltanto la conoscenza razionale delle diverse
modalità con cui la lingua può esprimere funzioni diverse permette
di interagire in un contesto reale (Colombo, 1984).
La necessità della riflessione linguistica risulta evidente proprio nelle
scelte imposte dalla comunicazione, anche le più semplici. Pertanto
la discussione sull’insegnamento della grammatica, ha gradualmente
introdotto nuovi temi relativi ai contenuti da privilegiare. Se
l’attenzione è concentrata solo sulle componenti morfosintattiche si
trascurano molti aspetti della lingua, altrettanto necessari. Inoltre
anche le caratteristiche della struttura della frase risultano
sicuramente più comprensibili quando sono riferite a situazioni
comunicative reali. Per comprendere come le forme linguistiche
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rispondano a precise esigenze comunicative, non è sufficiente uno
studio meccanico delle regole, ma occorre lavorare su enunciati
estratti da situazioni significative. Per tale ragione, la frase come
unico ambito di analisi, è uno spazio troppo ristretto, mentre il testo
(orale o scritto) garantisce la possibilità di esplorare la relazione tra
il significato ricercato e la forma scelta dal parlante.
Il testo infatti è un macroatto linguistico, in cui sono espressi atti di
composizione, atti di riferimento, atti di focalizzazione informativa
(Ferrari, 2009). Questi richiedono un complesso di abilità che
utilizzano le conoscenze sul sistema linguistico. Nella produzione e
nella comprensione si integrano dunque abilità procedurali e
conoscenze dichiarative, nella manifestazione di una competenza
altrimenti non valutabile. In conclusione, una didattica che vuole
sviluppare la competenza linguistica lavora necessariamente sui
testi, ponendosi l’obiettivo di utilizzare le conoscenze morfologiche,
sintattiche e lessicali in un compito di lettura o scrittura.
Mettere il testo al centro della riflessione linguistica permette di
costruire un processo didattico centrato sull’alunno e mediato
dall’insegnante. Al tradizionale insegnamento normativo della
grammatica, che prevede la presentazione di una “regola”, seguita
da esercizi applicativi, si sostituisce un lavoro attivo su materiali
linguistici reali, attraverso i quali ricostruire i meccanismi di
funzionamento della lingua con un ragionamento induttivo (Brugè,
2000). L’approccio descritto risponde alle caratteristiche di una
didattica epistemologicamente fondata perché l’alunno si avvicina
alla disciplina, appropriandosi gradualmente non solo dei nuclei
concettuali fondamentali, ma anche del metodo scientifico che le è
proprio. Di conseguenza, l’interiorizzazione delle regole avviene
attraverso un processo di osservazione, di generalizzazione, di
raccolta dei dati e di ricerca di principi generali che possano essere
sottoposti a validazione.
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Description:Parole chiave: connettivi, linguistica testuale, competenza comunicativa, riflessione grammaticale. Sessione invernale. Anno accademico 2012/2013