Table Of ContentLa bomba di piazza Fontana fu opera degli americani.
La politica è una droga
che non prevede disintossicazioni.
G overnare è fa r credere.
Per il Vaticano contano solo i soldi.
Politici incoerenti? Certo, embè?
I politici sono marionette nelle mani dei banchieri.
Non c'è leader p o litic o che non possa essere arrestato p e r tangenti.
La politica è un’arte, cultura e ragione non contano.
La mafia ci appartiene, tanto vale accettarla.
I politici si convincono intimamente di quel che gli conviene.
Le grandi potenze ammazzano e torturano.
Oltre a ll’Fbi, fu il m ondo e c o n o m ic o
a mettere in p ie d i M a n i Pulite.
. è per questo che Berlusconi finirà male.
La p o litica ha bisogno d i s ile n zi e zone d ’ombra.
Esistono tradimenti doverosi e persino morali.
Le regole non scritte, i meccanismi pro
fondi, le dinamiche eterne del gioco: per
la prima volta un protagonista indiscusso
della vita pubblica italiana racconta senza
pudore né ipocrisia cos’è e come funziona
la politica.
Sapientemente indirizzato dal giornalista
Andrea Cangini, il presidente Francesco
Cossiga mette a nudo il potere e con esso
l’uomo che lo incarna. Svela l’arcano, dice
l’indicibile, strappa la maschera alla realtà
con l’ironia e l’arguzia di chi ha cavalcato
I
a testa alta lungo le strade impervie della
Prima e della Seconda repubblica.
Aneddoti, riflessioni, rimandi storici, vere
e proprie rivelazioni accompagnano il let
tore alia scoperta di verità “scandalose”
fino a oggi mai rivelate con tanta schiet
tezza. La natura del potere, il ruolo del
denaro, l'uso dei servizi segreti, la violen
za, la guerra, le massonerie, i rapporti tra
stati, la religione, il Vaticano, la verità, la
finzione, i complotti, il caso, il lato di te
nebra dell’uomo e del politico. Il trionfo e
la caduta, la vita e la morte. Impossibile
annoiarsi, difficile restare indifferenti.
Andrea Cangini,
laureato in Scienze politiche,
ha quarantun anni, molti dei quali passati
a raccontare la politica sul «Quotidiano Na
zionale». Ha due figli: osservando loro, più
che frequentando Montecitorio, ha capito i
meccanismi più profondi della natura umana.
E dunque del gioco politico.
Fran cesco C ossiga
h
Fotti il potere
G li arcana d e lla p o litica
e d e ll'u m a n a n a tu ra
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A Paolo M eli. Ho fatto prima io
solo perché hai fatto prima tu.
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I
Introduzione
L'immagine che meglio riassume l'essenza della
politica è quella dei cavalli che corrono furiosi sul
tufo di piazza del Campo, dei fantini che in equili
brio precario sulla schiena nuda dell'animale si col
piscono al volto col nerbo, della folla che, divisa in
fazioni, esulta o impreca dopo aver volentieri finan
ziato ogni genere di nefandezza pur di vincere.
Metafora della guerra, esaltazione dell'identità,
trionfo del complotto e laboratorio del caso, il palio
di Siena è, infatti, imo spettacolo ormai per molti
incomprensibile. C'è persino chi, amando il cavallo
più del cavaliere, vorrebbe abolirlo. Dopo quasi
ottocento anni di storia condivisa, di regole natural
mente tradite e di gesta mai dimenticate, la maggio
ranza degli italiani guarda al palio e stenta a ricono
scersi: non ne capisce più il senso, non ne afferra più
il valore. Lo guarda come il bambino guarda un gio
cattolo troppo a lungo ignorato e ormai inutilizzabi
le. Di più: ripugnante, nella sua brutale violenza. E
chi pure dice di amarlo sembra averne rimosso la
dimensione tragica vedendone solo il folclore.
Nella crisi del palio si specchia la crisi della
Politica.
I partiti perdono iscritti, i giornali lettori, le elezio
ni elettori e i politici sono ai minimi storici negli
indici di gradimento. La gente non si fida. Non si
fida più. La gente non si fida dei politici (anche) per
ché non li capisce. E ha smesso di capirli proprio
quando loro hanno smesso di parlare la lingua della
politica e dello Stato nella speranza di diventare,
appunto, comprensibili. Vicini alla gente. Di più:
uguali alla gente. Così uguali da apparire mediocri.
Così mediocri da risultare superflui. Così superflui
da venire, inesorabilmente, disprezzati.
Nell'epoca dei numeri e dei ragionieri, parole
come stato, nazione, patria, forza e guerra, hanno
ormai perso ogni significato recondito e una politica
sempre più omologata al conformismo televisivo
del politicamente corretto le pronuncia malvolentie
ri e sempre banalizzandole.
Capita così che sia la destra (Berlusconi) sia la
sinistra (D'Alema) spieghino contro ogni evidenza,
esperienza o studio, il terrorismo islamico alla luce
della povertà. Capita che un ministro della Difesa
(Arturo Parisi, ma avrebbe potuto sostenerlo chiun
que altro) in televisione si dica orgoglioso del fatto <\
die «da quando siamo al governo, i nostri militari
impegnati all'estero non hanno ucciso nessuno». Il
che, oltre a essere un falso storico, è un nonsenso:
come se il precetto ispiratore delle forze armate
fosse quello, evangelico, del non uccidere... Capita
che un altro ministro della Difesa (Ignazio La Russa,
ma la tendenza era già in atto da tempo) sia così
affezionato alla vecchia idea che il mestiere del mili
tare sia quello di prepararsi alla guerra da proporre
l'utilizzo dell'esercito per, nell'ordine, il piantona
mento dei rifiuti campani, la sicurezza nelle grandi
città, la prevenzione delle morti sul lavoro, il contra-
i
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sto all'immigrazione clandestina, la pulizia delle
strade milanesi dalla neve caduta a Natale, lo sbadi-
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lamento del fango provocato da frane e alluvioni.
Capita che un presidente del Consiglio (Romano
Prodi) derubrichi a «questione urbanistica» la scelta
di raddoppiare una base militare americana sul
suolo italiano. Capita che, al Senato, nella scorsa
legislatura, centrodestra e centrosinistra diano
prova del proprio indefettibile attaccamento all'idea
stessa di sovranità nazionale votando, con raro spi
rito bipartisan, un ordine del giorno in cui si auspi
ca che il destino dei nostri connazionali sequestrati
in zone di guerra sia sottratto alla responsabilità
diretta del governo per essere inopinatamente tra
sferito alle Nazioni Unite. Che se la sbrighino loro,
insomma. Capita che le campagne elettorali venga
no ormai disputate a colpi di carte bollate dietro le
porte chiuse delle aule di oscuri tribunali ammini
strativi. E capita infine che i simboli dell'unità
nazionale siano con crescente entusiasmo messi alla
berlina da nord a sud nell'afasia di un presidente
del Consiglio (Silvio Berlusconi) il cui debordante
privato ha intanto fatto piazza pulita di quel po' che
dello stile istituzionale poteva forse sopravvivere.
Ormai pervasi dalla morale del senso comune, i
politici, orfani di ogni possibile retorica, sembrano
aver così smarrito tanto la bussola quanto la forza.
Vìviamo in un'epoca di transizione. Un'epoca di
nebbia, dunque. Viviamo nell'epoca dell'individuali
smo diffuso, del crollo delle ideologie e fors'anche
delle idee, della globalizzazione dei mercati e dei
gusti, del superamento dello Stato, dell'apoteosi
(nonostante tutto) del mercato, delle identità tradizio
nali in crisi, della rimozione della tragedia e dell'affer
mazione dei valori femminili su quelli virili. I figli di
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