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EMPOWERMENT
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COLLANA DIRETTA
DAL PROF. ARTURO CATTANEO
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MATTEO RAMPIN
Fede
nella Ragione
Ragionamenti sul credere
Presentazione Card. Angelo Scola
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© 2010, Marcianum Press, Venezia
Impaginazione e grafica: Linotipia Antoniana, Padova
Progetto e grafica di copertina: Rinaldo Maria Chiesa
Immagine di copertina:
Georges de La Tour (1593-1652), Maddalena penitente, cm. 128x94
Parigi, Louvre. © 2010 Foto Scala, Firenze
ISBN 978-88-6512-008-8
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[La nostra condizione] ci rende incapaci di sapere con certezza e di ignorare in
senso assoluto. Navighiamo in una vasta via mediana, sempre incerti e flut-
tuanti […]. Qualsiasi approdo a cui pensassimo di attaccarci e di assestarci si
muove e si allontana da noi; e se lo seguiamo, sfugge alla nostra presa, scivo-
la via da noi e fugge in un’eterna fuga. Niente si ferma per noi. Questa è la
nostra condizione che ci è naturale e tuttavia la più contraria alla nostra incli-
nazione; ardiamo dal desiderio di trovare uno stabile assestamento e un’ulti-
ma base immobile per edificarvi una torre che s’innalzi all’infinito; ma ogni
nostro fondamento scricchiola e la terra si apre sino agli abissi.
BLAISEPASCAL, Pensieri, 72
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Premessa
«Lei è credente?».
Questa domanda mi è stata posta molte volte. Non so
se ho mai saputo rispondere in modo adeguato a una que-
stione così importante: tanto importante da essere, per
molti, l’unica vera Questione. So però che ogni volta, pri-
ma di rispondere, mi sono sorpreso a porre a me stesso una
serie di altre domande.
Che cosa significa, essere credente?
In che cosa crede, oggi, chi crede in Dio? In che cosa cre-
de, chi non ci crede? Quali ricadute pratiche hanno sulla vi-
ta quotidiana questi due opposti atteggiamenti nei confron-
ti dell’esistenza? Che cosa fa, il credente, della sua vita? E il
non credente? Esiste davvero una differenza tra i due?
Come si può credere, oggi? Come si può ancora credere,
nonostante tutto quanto è accaduto nel Novecento e no-
nostante tutto quanto continua ad accadere?
La fede è qualcosa di irrazionale, un fossile di funzioni
mentali arcaiche o infantili? Esiste un credere che salva-
guardi la razionalità?
Come medico psichiatra, la domanda mi è stata posta in-
numerevoli volte, in situazioni che non permettevano am-
biguità o risposte di comodo: uomini e donne di ogni età,
oppressi dalla sofferenza fisica e mentale, costretti a indossa-
re una maschera che celasse la smorfia dell’angoscia, espulsi
dalla società, costretti alla solitudine più profonda, crocifis-
si alla mancanza di senso, si sono chiesti assieme a me se
questo loro vivere nella pena avesse un senso, un senso sta-
bile, sicuro, assoluto, o se invece non fosse più ragionevole
ritenere che tutto è casuale, non vi è alcun senso e si deve
guardare la realtà senza altre aspettative che quelle permes-
se dal realismo.
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Fede nella ragione
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Devo precisare che i tentativi di rispondere alle doman-
de sul senso dell’esistenza mi sono sempre costati fatica, sia
che riguardassero la mia personale vicenda, sia che riguar-
dassero quella dei miei occasionali compagni di viaggio. La
mia investigazione si è sempre mossa all’insegna della diffi-
denza verso ciò che è facilmente consolatorio e verso l’ir-
razionale nelle sue forme inesorabilmente deludenti. Ho
sempre diffidato anche di coloro che “sentono” Dio e par-
lano del credere come di un “sentire”: per decenni ho vis-
suto senza sentire Dio, anzi, sentendo sempre una tangibi-
le assenza di Dio. Nemmeno ora “sento” Dio.
Ho sempre confidato nella ragione scientifica, nel suo
fondarsi sull’esperienza diretta e ripetibile, nel suo radicar-
si sulla precisione del linguaggio matematico: peraltro, è la
ragione stessa a mettere in guardia sul fatto che la ragione
scientifica può essere una diva gelosa, pronta ad assidersi
sul trono degli dei che dichiara di voler abbattere e a ri-
vendicarne le prerogative.
Ho sempre guardato con simpatia agli anticonformisti e
agli eretici: oggi, in una società tecnologica e opulenta che
sembra ridurre il bisogno di trascendenza a pratiche folclo-
ristiche o superstiziose e ingabbia i grandi temi esistenziali
entro stantie categorie politiche a tutela degli interessi di
casta, gli eretici potrebbero essere proprio i “veri” credenti,
le persone che hanno ancora il coraggio di credere in una
causa, di vivere per quella causa senza sconti né riserve, di
morire per quella causa. Ma quali credenti? Quelli adunati
in schiere fanatiche pronte a lapidare chi non è dalla loro
parte? Quelli che abbandonano il mondo ritirandosi nella
solitudine claustrale, in risposta a impulsi difficili da co-
municare? Quelli che ostentano il loro status di salvati e
scimmiottano gesti e vezzi appresi in lunghe frequentazioni
clericali, senza saper trasmettere con i fatti una dottrina
che pure conoscono a parole? Chi sono i credenti? Chi è
credente?
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Premessa
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Dopo le riflessioni che per lungo tempo mi hanno ac-
compagnato, che ne è oggi della domanda “Lei crede?”
Ancora mi viene posta, ancora la pongo a me stesso.
Avverto ancora la necessità di occuparmi della questione,
perché constato che il bisogno di risposte certe riemerge
sempre: esso affiora sia nella certezza che esiste un
Assoluto, sia nella certezza che l’unica Verità Assoluta è
quella scientifica, sia nell’assoluta certezza che non esiste
alcuna verità e tutto è nulla.
Oggi mi pare di poter rispondere alla domanda con una
maggiore cognizione di causa.
Mi pare che chi dichiara di non credere in Dio, crede ne-
cessariamente in qualcos’altro. È precisamente questo, il
punto: non si può non credere in qualcosa, o meglio non si
riesce a vivere consapevolmente – e perciò liberamente, e
dunque pienamente –, senza un riferimento al quale guarda-
re. Questo, soprattutto nei momenti critici; del resto, se si
ammette che è importante possedere un punto di riferimen-
to, tutti i momenti diventano critici, cioè importanti, e la
vita stessa diventa lo snodarsi di una successione di momen-
ti importanti, ognuno dei quali si riveste di una luce sfolgo-
rante: la luce del senso che le diamo. Senza senso, la vita
non può essere vissuta davvero: la si vive “per scherzo”, per
finta, per gioco, per caso. E dunque, ci si devepronunciare: si
deve scendere dentro di sé, si deve scandagliare nelle om-
bre, senza timore, sperando che qualcosa cominci a prende-
re forma; si deve insistere nella ricerca, finché qualcosa non
diventi più chiaro e si scopra che sì, ci si può pronunciare.
Sì, ci si può sbilanciare, a favore di una delle due ipote-
si: credere in Dio o non credere in Dio.
Sbilanciarsi ha senso, e non farlo è l’atto più insensato
di una vita che ha – ed è – sete di senso, e che senza un
senso diventa fatica, noia, disgusto, disperazione.
Questo libretto è stato scritto in risposta alle domande
che per decenni mi sono state poste e mi sono posto.