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VINCENZO
CICERO
L’essere costituisceil tema per eccellenza, antichissimo ESSERE
e inesauribile, della filosofia, nel cui ambitol’analogia,
d’altra parte,viene prevalentemente consideratacome un
meccanismo logicosubordinato alle leggi universali del E ANALOGIA
pensaree funzionale ad argomenti più eminenti (assai
istruttivo in proposito è il caso dell’analogia entis).
In questo scritto sipropone invece una rara tematizzazione
della struttura analogicacome tale, con ciò prospettando la
possibilità di ripensare in modo radicalel’essere e il suo
senso. Tra i diversi interlocutori, due spiccano su tutti:
Aristotele, il primo a fornireuna definizione tecnica di
analogia, e Heidegger, che nel XX secolo ha rilanciato la
A
questione del senso di essere. I
G
O
L
A
Vincenzo Cicero (1962) è ricercatore di filosofia della N
scienza presso l’Università di Messina. Tra le sue A
pubblicazioni: Filosofia, matematica e storia in Platone E
(1998); Il Platone di Hegel(1998); L’opera d’arte come finestra E
R
(2006); Istante durata ritmo. Il tempo nell’epistemologia E
S
surrazionalista di Bachelard(2007); Detective del tempo S
E
(2010). Ha anche curato diverse traduzioni italiane
di opere di Hegel e Heidegger.
€ 15,00
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Direttori di collana
Jacopo Agnesina, Università del Piemonte Orientale - Vercelli
Diego Fusaro, Università di Milano - San Raffaele
Segretario di redazione
Mario Carparelli, Università del Salento
Comitato Scientifico
Giovanni Bonacina,Università di Urbino
Vincenzo Cicero, Università di Messina
Massimo Donà, Università di Milano - San Raffaele
Domenico Fazio, Università del Salento
Sebastiano Ghisu, Università di Sassari
Giuseppe Girgenti, Università di Milano - San Raffaele
Marco Ivaldo, Università di Napoli - Federico II
Roberto Mordacci, Università di Milano - San Raffaele
Pier Paolo Portinaro, Università di Torino
Andrea Tagliapietra, Università di Milano - San Raffaele
I membri del Comitato Scientifico fungono da revisori. Ogni saggio pervenuto
alla collana “I Cento Talleri”, dopo una lettura preliminare da parte dei Diret-
tori di collana, è sottoposto alla valutazione dei membri del Comitato Scienti-
fico (due per ogni saggio).
Le proposte di pubblicazione devono essere inviate ai seguenti indirizzi:
[email protected], in forma cartacea, Casa Editrice “il Prato”, via Lombardia
43, 35020 Saonara (Padova).
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VINCENZO CICERO
ESSERE E AN AL OG IA
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Ringraziamenti
La mia gratitudine va innanzitutto a Diego Fusaro, per aver ac-
colto in questa fresca e vivace collana de philosophicisla mia fatica
(che è peraltro da considerarsi prodotto della ricerca di cui al
progetto d’ateneo dell’Università di Messina, anno accademico
2008/9). Quindi a Fabio, Pietro e Salvo, per la pazienza con cui
hanno letto in progressle varie parti del dattiloscritto. E a Barbara
e Claudia, per la revisione delle ultime bozze.
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Introduzione
Legame di comunanza tra legami: è la formula con cui sembra
possibile pensare l’analogia in una maniera inedita, senza
nel contempo abbandonare la prossimità con le sorgenti e
i flussi (le cascate e i riflussi) della tradizione filosofica. La
prima condizione di questa possibilità noetica è che nella
comunanza (koinwniva) si colga il senso strutturale princi-
piale di ei\nai, essere. L’altra è che il legamevenga conside-
rato, secondo anche le sue ascendenze etimologiche, come
l’espressione più propria del levgeindell’ajnalogiva.
Così, da un profondo ripensamento dei due filosofemi
classici dell’essere e dell’analogia, sia ciascuno per sé sia –
decisivamente – nel loro connubio, potrà (in un momento
ulteriore e in altra sede) profilarsi una nuova sistematica
del sapere, una epistemologia generale che sia in grado di
facilitare l’intercomunicazione teorico-pratica fra le tre aree
fondamentali dello scibile: scientifica, filosofica, poietica.
§ 1. La filosofia non è finita
Essere, accomunare. Assai arduo pensare ora che l’essere
possa avere un senso più radicale, più paradigmatico – più
“originario” – di quello dell’accomunamento. Perciò, a
quasi un secolo dalla più poderosa riproposizione recente
della questione del senso di essere, è giunto il momento di
risentire tale senso e, se possibile, consentirvi.
Riproporre la questione spetta eminentemente al sapere
filosofico, che nel suo genoma reca inscritto il vincolo pri-
vilegiato all’essere. Ma allora si impone subito la conside-
razione che: la filosofia, nonostante Heidegger ne abbia
redatto con solennità un singolare necrologio, non è affatto
giunta alla sua fine. A una nuova svolta sì, non però al suo
confine estremo – quale stolto autoprofeta, del resto, vor-
rebbe millantare una simile apocalissi? Filosofia resta il sa-
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persi dell’uomo come essenzialmente limitato, come mar-
chiato dal fuoco del tempo, eppure, benché lungi dall’es-
sere un dio, come qualcosa di divino; il sapersi del mortale
come mortale eppure – nell’intimo, in qualche modo, in-
sieme – immortale.
Poiché però il discorso heideggeriano sulla fine del pen-
sare filosofico, pur non costituendo certo il referto su un
mero decesso, è una meditazione che delinea comunque
uno scenario in cui philosophia consummata est, la gravità di
questa prospettiva per l’avvenire del filosofare rende qui
indispensabile riguardarne almeno gli aspetti più rilevanti.
Il primo dei quali consiste nella considerazione della fine
innanzitutto come confinamento.
Il gioco fine/confinamento, Ende/Vollendung, viene eseguito
da Heidegger nel quadro delle due schiette identificazioni
con cui si apre il suo scritto del 1964 Das Ende der Philosophie
und die Aufgabe des Denkens: «filosofia è metafisica», e «la
metafisica è platonismo»1. Il destino della filosofia appare
qui intrecciato, anzi agglutinato alle varie vicende della me-
tafisica, la quale, sempre nell’ottica heideggeriana, riceve la
sua misura decisiva e configurazione essenziale dalla specu-
lazione platonica: «Attraverso tutta la storia della filosofia,
nelle sue diverse figure rimane decisivo il pensiero di Pla-
tone»2. Il finire del filosofare coinvolge quindi in maniera
diretta il destino, platonicamente segnato, della metafisica;
e non può essere confuso con un mero cessare, concludersi,
decadere o estinguersi, cioè con determinazioni tendenzial-
mente solo negative. È un avvenimento epocale, dice Hei-
degger, un accadimento che, rispetto all’epoca storica che ne
viene investita, s’instaura come inattuale, intemporale, in
quanto appartiene alla (proviene dalla) epocalità dell’Essere3.
note
1Heidegger, Das Ende der Philosophie, in: Id., Zur Sache des Denkens, pp.
69 e 71.
2Ibid., p. 71.
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Essere e analogia § 1 7
La fine, das Ende, dev’essere intesa disambiguando la parola
affine Vollendung, che di solito viene impiegata nel significato
di «compimento», ma qui, non essendo in causa alcuna per-
fezione (Vollkommenheit) – «come se la filosofia, con la sua
fine, dovesse aver raggiunto la perfezione suprema» –, va ac-
cepita senz’altro come «confinamento», riduzione entro i
confini di una località definita:
Il discorso sulla fine della filosofia significa il confina-
mento della metafisica. [...] La fine della filosofia è il
luogo in cui il tutto della sua storia si raccoglie nella pos-
sibilità estrema. Fine, inquanto confinamento, indica
questo raccoglimento.4
note
3Cfr. ibid., p. 70, nota 4 (marginale): «L’epocale non è però l’attuale /
bensì ciò che per l’epoca è inattuale». Sull’epocalità dell’Essere cfr. Hei-
degger, Der Spruch des Anaximander,pp. 337 s.
4Heidegger, Das Ende der Philosophie, pp. 70 s. – Che in questa Vollen-
dung sarebbe fuori luogo parlare di maggiore o minore perfezione, Hei-
degger lo ribadisce tramite l’argomento della naturale assenza di
graduatorie in filosofia: «Non solo ci manca ogni criterio (Maßstab) che
ci consenta di valutare la perfezione di un’epoca della metafisica rispetto
a un’altra, ma non sussiste in generale alcun diritto di valutare in questo
modo. Il pensiero di Platone non è più perfetto di quello di Parmenide.
La filosofia di Hegel non è più perfetta di quella di Kant. Ogni epoca
della filosofia ha la sua propria necessità. Noi dobbiamo semplicemente
riconoscere che una filosofia è così com’è. Non sta comunque a noi pre-
ferirne una rispetto a un’altra, così come è invece possibile riguardo alle
diverse visioni del mondo» (ibid., p. 70). Tuttavia, poche righe più
avanti sta la frase in cui si parla del pensiero platonico come determi-
nante (maßgebend) per l’intera storia della metafisica: ma allora in questo
caso la misura (Maß) c’è, è data dalla stessa filosofia platonica! Difficile
poter chiamare questo incontro proposizionale altrimenti che contrad-
dizione. Del resto, è difficile che le parole sulla necessità di astenersi
dal preferire singole epoche metafisiche rispetto ad altre si conciliino
con la noncuranza o scarsa attenzione heideggeriana verso certe epoche
metafisiche (la tardo-antica, la medievale, e buona parte dell’epoca mo-
derna fino a Kant) e certi pensatori (Plotino, Tommaso, Cusano e Spi-
noza su tutti). In Heidegger si trovano non di rado situazioni analoghe
in cui degli enunciati, acriticamente assunti ed espressi, assurgono d’un
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Heidegger ammonisce che, dal raccogliersi o concen-
trarsi dell’intera vicenda metafisica nella località della sua
possibilità estrema, non bisogna ovviamente aspettarsi il
rampollare di neofilosofie modulate secondo lo stile fin lì
conosciuto. La filosofia finisce confinata in un luogo in cui
avviene il suo estremo, definitivo trapasso – iniziato al-
l’epoca del pensiero greco – nelle molte scienze autonome
il cui tratto fondamentale unitario è la tecnicità. Dall’ori-
ginario distacco di matematica e fisica, a quello di chimica
e biologia, agli ambiti scientifici di più recente autono-
mizzazione esplicitamente menzionati nello scritto del
1964 (psicologia, sociologia, antropologia culturale, logi-
stica e semantica), il pensare filosofico ha dovuto via via
rinunciare a zone rilevanti dell’antico dominio, e adesso,
nel tempo del suo definitivo passaggio a scienza empirica
dell’uomo, è costretto infine a subire la colonizzazione da
parte dell’operazionalità e modularità del pensare calco-
lante-rappresentante. Alla fine non sparisce, la filosofia,
proprio perché si perpetua in una prole folta e ognora più
potente, ma così il suo confinamento si rivela un intermi-
nabile sfinimento (Verendung)5 davanti all’attuale trionfo
del positivo, del positum e dispositumdell’organizzazione tec-
nico-scientifica su scala mondiale.
note
tratto a (presunti) elementi corroborativi dell’argomentazione princi-
pale. Si tratta di asseverazioni solenni, frasi epocali alla cui appariscente
pensosità non corrisponde però in circumstantiaalcun travaglio specula-
tivo: gesti quindi spiccatamente inadatti alla filosofia, la quale d’al-
tronde, se non ammettesse alcun tipo di graduazione, non potrebbe
neanche giudicare se stessa. Senza un Maßstab, come si può fare distin-
zione tra ciò che appartiene alla filosofia autentica e ciò che ne resta
fuori, p.es. le Weltanschauungen?, e come pronunciare la stessa sentenza
sulla metafisica quale platonismo? Certo, in filosofia non si fanno clas-
sifiche: ma davvero non si può esibire la superiorità della filosofia di
Kant rispetto p.es. a quelle di Mendelssohn e di Lambert?
5 Cfr. ibid., p. 69, n. 3 (marginale): «Che cosa significa [qui]: esser
giunto alla fine? inizio di un lungo s-finire [Ver-enden]».
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Essere e analogia § 1 9
Confinamento e sfinimento, Vollendung e Verendung, sono
perciò le parole per intendere adeguatamente la Auflösung
con cui Heidegger contrassegna l’ultima possibilità – la
fine – del pensare metafisico, cioè: «la dissoluzione della
filosofia nelle scienze tecnicizzate»6. Dopo di che, con una
mossa non proprio sorprendente, anzi per lui consueta, e
in genere accompagnata (come qui) da una processione di
domande retoriche, Heidegger chiede se, essendo giunto
il pensare della filosofia alla sua possibilità ultima, non si
dischiuda per il pensare inquanto tale una possibilità
prima, quella che la stessa filosofia, pur discendendone, non
sarebbe mai stata in grado di esperire e recepire propria-
mente: «Se così fosse, allora nella storia della filosofia, dal
suo principio alla sua fine, in modo nascosto dovrebbe an-
cora essere riservato al pensare un compito che non sarebbe
accessibile né alla filosofia inquanto metafisica, né alle
scienze provenienti da essa. Pertanto chiediamo: ...» (se-
guono cinque domande, la prima delle quali dà il titolo
alla seconda e ultima parte dello scritto: «Quale compito,
alla fine della filosofia, rimane ancora riservato al pensare?»)7.
Nel prosieguo del discorso heideggeriano, fatta la tara
alla tattica retorica (il saggio Das Ende der Philosophie era
stato redatto in vista di una conferenza), questo pensare
ancora possibile, non-calcolante e non-filosofico – cioè, in-
sieme non-metafisico e non-platonico –, si profila come
pensare estatico entro la Lichtung des Seyns, il luco dell’Es-
sere8. È qui chiaramente all’opera uno sfilacciamento, se
non uno strappo, del legame tra sapere filosofico ed essere,
note
6Ibid., p. 73.
7Ibid., pp. 73 s.
8Per la terminologia heideggeriana in italiano rinvio ai miei lavori:
Nota del traduttore e Glossari, in: Heidegger, Holzwege, pp. IX-XVIIe447-
702; Parole fondamentali di Heidegger (sulla Lichtungpart. § 2, pp. 207-
213). Cfr. anche Henologia e oblio dell’Essere, in cui tratto tra l’altro il
rapporto tra l’Essere, l’esserci e la storia della metafisica.