Table Of ContentUniversale Laterza
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Chiara Alessi
Design
senza designer
Editori Laterza
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© 2016, Gius. Laterza & Figli
www.laterza.it
Prima edizione gennaio 2016
Edizione
1 2 3 4 5
Anno
2016 2017 2018 2019 2020
Proprietà letteraria riservata
Gius. Laterza & Figli Spa,
Roma-Bari
Questo libro è stampato
su carta amica delle foreste
Stampato da
SEDIT - Bari (Italy)
per conto della
Gius. Laterza & Figli Spa
ISBN 978-88-581-2218-1
È vietata la riproduzione, anche
parziale, con qualsiasi mezzo
effettuata, compresa la fotocopia,
anche ad uso interno o didattico.
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di trasmettere la conoscenza.
Chi fotocopia un libro, chi mette a
disposizione i mezzi per fotocopiare,
chi comunque favorisce questa
pratica commette un furto e opera
ai danni della cultura.
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a Ettore
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Io so gli odori dei mestieri:
di noce moscata sanno i droghieri,
sa d’olio la tuta dell’operaio,
di farina sa il fornaio,
sanno di terra i contadini,
di vernice gli imbianchini,
sul camice bianco del dottore
di medicina c’è un buon odore.
I fannulloni, strano però,
non sanno di nulla e puzzano un po’.
Gianni Rodari
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Introduzione
Luoghi comuni, mestieri speciali
Due anni fa ho scritto un libro sulla nuova scena del
design italiano1: fatti, luoghi, modi, nomi e voci; azien-
de, scuole, spazi critici, fenomeni produttivi e poetiche
della professione. Mi sono accorta però che la maggior
parte dei miei lettori associa quella ricerca soprattutto
con l’elenco dei nomi che vi sono riportati, di volta in
volta considerati troppi, troppo pochi, giusti, perfetti-
bili, accettabili, in parte già noti, in alcuni casi scono-
sciuti, ecc. In molte occasioni mi sono trovata a dover
ribadire che non si è trattato di stilare una classifica dei
migliori, né di redigere una suddivisione in categorie
dei nuovi designer italiani, e che quei nomi sono sta-
ti scelti perché rispondono a titolo esemplificativo alle
varie modalità che si articolano, mischiano e interseca-
no oggi nell’approccio al design. Che i nomi, insomma,
sono meno importanti, in questi casi, dei sistemi a cui
rispondono. E che, non a caso, il capitolo ad essi dedi-
cato è preceduto da altri tre. Ma questo non ha evitato
che mi si chiedesse ripetutamente di fare ancora nomi.
1 C. Alessi, Dopo gli anni Zero. Il nuovo design italiano, Laterza,
Roma-Bari 2014.
VII
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Ho capito che il popolo del design ha bisogno di
nomi. Forse questa necessità è insita nel dna stesso della
storia del design, che è nata e vive nella firma – dell’a-
zienda o del designer –, rivendicando un’identità e una
paternità proprio in tutti quegli oggetti d’uso comune
per tanti secoli considerati anonimi. Forse è un nuovo
bisogno alimentato dal sistema mediatico e da un pro-
cesso che ha trasformato in star i progettisti, i quali, spe-
cialmente dagli anni Novanta in poi, hanno cominciato
a superare in fama l’iconicità dei loro prodotti. O forse
dipende dal fatto che i nomi sono delle sineddoche di
storie, e la gente ha bisogno di storie. Questa esigenza
per tanti anni è stata soddisfatta dai prodotti stessi, che
erano dei veri e propri personaggi di una vita borghese
aspirazionale, caratterizzati, quasi animisti. Poi sono su-
bentrati i brand, dell’autore e della marca, a dare forma
alle nostre case e ai nostri riti, dal privato all’esibizione
pubblica. Il design erano i nomi, anche un po’ idea-
lizzati, degli oggetti, delle aziende e, ovviamente, dei
designer.
Il design «dopo gli anni Dieci», invece, probabil-
mente passerà alla storia come il momento del design
concepito al di là dei nomi dei singoli designer, nono-
stante siano tantissimi, o forse proprio perché sono
così tanti. Io stessa nel mio volume precedente ne ho
nominati un centinaio e da allora almeno altrettanti si
sono fatti giustamente avanti per rivendicare la loro
esistenza; senza contare tutti quei nuovi professioni-
sti che più o meno legittimamente oggi si definiscono
tali. Inoltre, con la sostituzione dei designer di massa
con una gran quantità di designer anonimi, stiamo as-
sistendo a un livellamento della specificità del designer
a favore dell’accessibilità, prima d’ora sconosciuta, agli
strumenti di progettazione e creazione. Viviamo nell’e-
VIII
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poca del design diffuso, del «Design, when everybody
designs», come recita il titolo di un recente libro di Ezio
Manzini2.
A questo si aggiunge poi il fenomeno per il quale
pratiche sempre più diffuse (anche se con qualche re-
sistenza nel sistema del design italiano tradizionale),
come quella dell’open source – per cui dei semilavorati
(hardware o software) vengono scaricati, modificati e
re-uploadati per essere resi accessibili e ri-modificabili
a tutti –, chiedono evidentemente un radicale ripen-
samento dell’autorialità e dei suoi conseguenti diritti,
che difficilmente riescono ancora a rientrare nelle gri-
glie canoniche e che, anche sotto il profilo dei legittimi
riordinamenti della distribuzione economica dei com-
pensi, stanno portando a galla una inadeguatezza non
più accettabile (mi riferisco al sistema delle royalties,
variamente calcolate, che fino a poco tempo fa erano lo
strumento più diffuso, giacché garantivano a quelli che
tradizionalmente sono considerati long sellers una buo-
na tenuta economica, a volte anche per generazioni, e
che, oggi che ci sono sempre più prodotti che vendono
sempre meno e per periodi sempre più corti, richiedo-
no un aggiornamento urgente). Ecco perché «tutti sono
designer» è forse il luogo comune per eccellenza – in-
sieme agli altri che proveremo a trattare – da cui inizia
questo libro.
C’è stata un’epoca del design italiano in cui il desi-
gner era effettivamente una figura totale, un intellettuale
che incontrava e sovrastava la stessa cultura industriale,
iniettandole una linfa mai conosciuta prima; aveva un
2 E. Manzini, Design, When Everybody Designs. An Introduction
to Design for Social Innovation, The MIT Press, Cambridge (Mass.)
2015.
IX
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