Table Of ContentSaggi Tascabili Laterza
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Bernardo Bortolotti
CresCere insieme
Per un’economia giusta
Editori Laterza
© 2013, Gius. Laterza & Figli
www.laterza.it
Prima edizione marzo 2013
Edizione
1 2 3 4 5 6
Anno
2013 2014 2015 2016 2017 2018
Proprietà letteraria riservata
Gius. Laterza & Figli Spa,
Roma-Bari
Questo libro è stampato
su carta amica delle foreste
Stampato da
SEDIT - Bari (Italy)
per conto della
Gius. Laterza & Figli Spa
ISBN 978-88-581-0655-6
It was the best of times,
it was the worst of times.
Charles Dickens, 1859
Introduzione
«Questa è la mia ultima corsa», dice il tassista che mi
sta portando all’aeroporto JFK dal centro di Manhat
tan. «Non l’ultima della giornata, ma l’ultima della mia
vita. Oggi riconsegno licenza e taxi e domani ritornerò
a Porto Rico. Non riuscivo a pagare il mutuo e la banca
mi ha pignorato la casa. Dopo quarant’anni di Ameri
ca ritorno nel mio paese. Lì abiterò nella casa che mi
hanno lasciato i miei genitori e quello che mi resta mi
basterà per vivere».
Qualche volta capita di vivere momenti di verità,
istanti in cui ci si rende conto, improvvisamente, che
qualcosa è cambiato per sempre. Come è potuto ac
cadere? Ripercorriamo il film che abbiamo visto negli
ultimi anni.
Primo tempo. Dopo due decenni di crescita, l’econo
mia globale entra nella più grande crisi dal dopoguerra
a oggi. Il capitalismo finanziario è alle corde, scosso da
una profonda crisi di fiducia che paralizza operatori e
mercati.
Secondo tempo. La crisi finanziaria diventa econo
mica, e quasi tutte le economie avanzate vanno in reces
sione in sincrono. Entrano, quindi, in campo gli Stati at
tuando il più grande salvataggio bancario e il più vasto
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programma di espansione fiscale della storia recente.
Tra ricapitalizzazioni bancarie, iniezioni di liquidità e
aumenti della spesa pubblica, l’intervento dei governi
negli Stati Uniti e in Europa vale decine di miliardi di
dollari. La trasfusione fa uscire il paziente dal coma,
ma l’economia non si riprende e il debito pubblico di
venta un peso insostenibile per le finanze pubbliche di
molti paesi. Saltano l’Irlanda, il Portogallo e la Grecia,
gli anelli deboli della catena europea, e l’Italia entra a
pieno titolo nel circolo dei cosiddetti PIGS. Si adden
sano nubi sul rischio sovrano italiano e spagnolo, paesi
troppo grandi per essere salvati. L’uscita dall’euro non è
più un esercizio accademico, ma per alcuni paesi un’op
zione di politica economica.
Terzo tempo. La crisi economica diventa crisi so
ciale. Nasce il movimento degli indignados in Spagna,
Londra è messa a ferro e fuoco da rivoltosi che assaltano
i negozi. Mentre, a New York, Occupy Wall Street orga
nizza manifestazioni che sfociano in centinaia di arresti,
il governo greco licenzia trentamila dipendenti pubblici
che protestano per le strade di Atene. Nel frattempo, lo
tsunami sociale irrompe sulle sponde del Mediterraneo
e deflagrano le rivolte arabe prima in Tunisia, poi in
Egitto, in Libia, fino alla Siria per raggiungere nel Golfo
lo Yemen e il sultanato del Bahrein. Le dichiarazioni
dell’artista Ai Weiwei, rilasciato dopo mesi di carcere,
gettano nuove ombre sulla fragilità politica del modello
di sviluppo cinese.
La nostra storia inizia qui. Il finale del film non lo
conosciamo ancora, ma l’impressione, come recitava
un famoso articolo del Washington Post nel 1979, è
che «the cupboard of ideas is empty»: i problemi sono
troppo complessi e i leader in carica – per mancanza di
visione, incapacità o opportunismo – non sembrano in
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grado di risolverli. In una parola, mancano idee e lea
dership che ispirino fiducia. Ma se il pastore si mette a
inseguire le pecore, difficilmente queste rientreranno
all’ovile.
Si riaffacciano vecchie paure. L’insicurezza, la sfidu
cia, il pessimismo sul futuro degenerano, proiettando
rischi e scenari preoccupanti anche in democrazie con
solidate. A margine di un convegno, criticando la poli
tica della Merkel sulla Grecia e i suoi effetti sui mercati,
un vecchio banchiere inglese rispolvera, tra il serio e il
faceto, toni ed espressioni da seconda guerra mondia
le: «Se va avanti così, la Luftwaffe riascolterà presto la
musica dei nostri cannoni».
L’aneddoto, di per sé insignificante, segnala comun
que una tensione crescente e un rischio. Già in passato
abbiamo visto momenti di profonda crisi economica e
sociale sfociare in movimenti populistici, derive auto
ritarie e conflitti. È un fatto che il grande urto della
crisi del 1929 si trasmise rapidamente dagli Stati Uniti
ai paesi industrializzati d’Europa, provocando cadute
vertiginose del prodotto e dell’occupazione, interruzio
ni del commercio estero, l’abbandono del laissez-faire
a favore di un protezionismo che, alla fine, portò alla
militarizzazione della Germania nazista e allo scoppio
della seconda guerra mondiale.
Stiamo evocando guerre e scenari apocalittici: siamo
alla fine del mondo?
No, non siamo alla fine del mondo, ma probabil
mente alla fine di un mondo. Per questo motivo sareb
be un grave errore considerare questa crisi una delle
tante che abbiamo vissuto dal dopoguerra e pensare di
superarla con gli strumenti e le politiche tradizionali.
Alcuni sostengono che, in fondo, siamo usciti brillante
mente dalla crisi messicana nel 1982, da quella asiatica
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