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EDIZIONI
MESSAGGERO 4
PADOVA
3/2005
.----- 0UADERNI DI RIVISTA LITURGICA. TERZA SERIE, 1
pp. 264. € 18,07
Per la prima volta in lingua
italiana viene edita la tra
duzione fedele dell'edizio
ne tipica del Messale della
chiesa siro-malabarese. Al
lettore e allo studioso di cul
tura occi.dentale e di liturgia
prevalentemente romana
viene offerta la possibilità di
entrare in diretto contatto
con la liturgia eucaristica del
rito siro-malabarese, caratte
ristico dentro la grande tra
dizione liturgica siro-orienta
le. Dopo il lungo periodo di
giurisdizione latina (I 599-
1896) la comunità dei <<cri
stiani di san Tommaso» sta
cercando di realizzare, in
fedeltà al Vaticano Il, una
propria riforma liturgica. Il
libro, nella prima parte, ne
presenta l'itinerario e il frut
to il Messale, preceduto dai
decreti, rubriche, norme e
direttive. La seconda parte
presenta un profilo storico, teologico e spirituale della liturgia eucaristica siro-malabarese,
un'introduzione all'anno liturgico e al calendario con i riferimenti biblici delle letture delle
domeniche e dei giorni festivi con titoli tematici. La terza parte, con la traduzione italiana
dei principali documenti della Santa Sede, aiuta a comprendere e approfondire il grande
rinnovamento liturgico in atto e offre, al contempo, il miglior commento possibile alla
liturgia eucaristica siro-malabarese. Il libro termina con una rassegna bibliografica essen
ziale.
Paul Pallath, è nato nel 1959 a Ezhacherry nella diocesi di Palai dei cristiani di san Tommaso
(chiesa siro-malabarese), nello stato federale del Kerala in India. Compiuti gli sttJdi
filosofici e teologici al Pontificai lnstitute of Theology and Philodophy Alwaye
(Kerala), è ordinato presbitero nel 1987. Consegue il dottorato in Diritto canonico
orientale (CCEO) presso il P.ontificio Istituto Orientale (Roma) nel 1994, e in Diritto
canonico latino (CIC) presso la Pontificia Università Lateranense (Roma) nel 1997.
Attualmente è Officiale presso la Congregazione per il culto divino e la disciplina
dei sacramenti. È autore di una nutrita bibliografia.
Informazioni e ordini: Edizioni Messaggero Padova
Via Orto Botanico, 11 • 35123 PADOVA .
tel 049 8225777 • fax 049 8225688 • e-mail. em @mess-s-antonio.it
147
anno XXV, n. 3
maggio-giugno 2005
Antiche chiese orientali
SOMMARIO
Editoriale 3-8
Filippo Carcione
Le. antiche chiese orientali 9-20
Mark Sheridan
Le chiese della tradizione alessandrina: copta, etiopica, eritrea 21-3 3
Philip B. Najim
Le chiese gemelle d'Oriente: la chiesa assira e la chiesa caldea 35-54
Mikhael Al-J amil
Le chiese di tradizione siro-occidentale 55-66
Robert Kendirjian
La tradizione ecclesiale armena 67-94
Paul Pallath
Le chiese orientali dell'India 95-110
Johan Bonny
Il dialogo ecumenico tra la chiesa cattolica e le antiche
chiese dell'Oriente 111-124
Edmond Farahian
Le minoranze cristiane del Medio Oriente
Una riflessione sull'attualità e l'avvenire 125-134
Documentazione: Documenti del dialogo teologico
L'anafora di Addai e Mari- Siti internet sulle chiese orientali 135-152
Invito alla lettura: Chiese d'Oriente in terra musulmana
(Vincenzo Poggi) 153-157
In libreria 158-160
Con approvazione ecclesiastica
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siero dei rispettivi autori. · '
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ISSN 1123-3281
ISBN 88-250-1602-6
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MESSAGGERO DI S. ANTONIO-EDITRICE
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Direttore generale: Luciano Bertazzo
Direttore editoriale: Luciano Bertazzo
Autorizzazione del tribunale di Padova n. 660 del 30 giugno 1980
Finito di stampare nel mese di giugno 2005
Mediagraf-Noventa Padovana, Padova
Questo periodico è associato all'Uspi •
(Unione Stampa Periodica Italiana)
CredOg n. 147 3
EDITORIALE
Cristiani ad est di Costantinopoli
La ripresa delle relazioni fraterne con le antiche chiese dell'Oriente,
testimoni della fede cristiana in situazioni spesso ostili e tragiche,
è un segno concreto di come Cristo ci unisca
nonostante le barriere storiche, politiche, sociali e culturali.
GIOVANNI PAOLO Il, Ut unum sint, 63.
Quando ci si avvicina all'Oriente cristiano, lo si scopre multiforme
e poliedrico, molto più variegato di quanto in genere si immagina l'oc
cidentale medio. Il cristianesimo, come dice Orientale lumen (= O L ), è
stato «capace di assumere i tratti caratteristici di ogni singola cultura e
con un sommo rispetto di ogni comunità particolare» (OL 5). Un mo
saico ricco e composito formato di tessere diverse: «In un tempo nel
quale si riconosce come sempre più fonda mentale il diritto di ogni po
polo a esprimersi secondo il proprio patrimonio di cultura e di pensiero,
l'esperienza delle singole chiese d'Oriente ci si presenta come un auto
revole esempio di riuscita inculturazione» (OL 7).
Per precisare il tema trattato in questo numero -le «antiche chiese
dell'Oriente» - dobbiamo innanzitutto evidenziare che esistono due
«orienti». Le chiese a est di Roma, quelle di tradizione bizantina, ven
gono comunemente qualificate come «chiese orientali». Ma c'è .pure
l'est di Costantinopoli, l'Oriente dell'Oriente - per così dire-, che ci
porta a scoprire realtà di chiese spesso dimenticate e che pure sono sal
damente ancorate alle origini del cristianesimo e ce ne rr1:.ostrano la
capacità di sopravvivenza e di adattamento inesauribile. E di questo
«Oriente dell'Oriente» che ci occupiamo nella presente monografia (cf
l'articolo introduttivo di F. CARCIONE).
Sulla scorta degli studi di Ronald Roberson, uno dei massimi
esperti in questo campo, propongo ora alcuni spunti per inquadrare le
tematiche esposte nei singoli articoli.
Il nome di «chiese ortodosse orientali» (in inglese: Orientai Ortho
dox Churces per distinguerle da Eastern Orthodox Churches) è oggi
generalmente usato per descrivere un gruppo di sei chiese orientali: la
chiesa copta d'Egitto, la chiesa etiopica, la chiesa eritrea (cf. il contribu-
4 CredOg n. 147
to sulla tradizione alessandrina di M. SHERIDAN), la chiesa siro-orto
dossa (M. AL-]AMIL), la chiesa malankarese ortodossa, e la chiesa ar
mena apostolica (G. KENDIRJIAN). Come gruppo ci si riferisce a queste
antiche chiese orientali anche con i titoli di «chiese orientali minori»,
«chiese non-calcedonesi» o «pre-calcedonesi». Esse sono in comunione
tra loro, pur essendo ciascuna indipendente e dotata di proprie tradi
zioni distintive. La formulazione della loro fede cristologica non si con
forma alla definizione del concilio di Calcedonia (451), che asserisce
che Cristo è «da riconoscersi in due nature, senza confusione, immuta
bili, indivise, inseparabili,.non essendo venuta meno la differenza delle
nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata
la proprietà di ciascuna rzatura, e concorrendo a formare una sola per
sona e ipostasi» (DH 302). Nonostante ciò i cristiani aderenti a queste
chiese non gradiscono essere chiamati monofisiti, come per secoli sono
stati etichettati dagli altri cristiani. Rifiutano infatti la posizione - que
sta sì eterodossa - di Eutiche, che ritiene che in Cristo l'umanità sia
«assorbita» dalla divinità in un'unica natura divina. Preferiscono
esprimersi secondo la formula di san Cirillo alessandrino, che parla di
«una sola natura incarnata del Verbo di Dio»; questa formula, se in
terpretata secondo la mens del suo autore, è certamente ortodossa (cf
can. VIII del II concilio di Costantinopoli, DH 429), e sottolinea for
~emente l'unità della persona divina di Cristo.
Oggi è largamente riconosciuto dai teologi e dai pastori delle di
verse confessioni che le differenze cristologiche tra queste chiese e quel
le che accettano Calcedonia sono solo di natura verbale, e che, in real
tà, sia le une che le altre professano sostanzialmente la stessa fede in
Cristo, usando formule differenti (e parole utilizzate a volte in senso
opposto dagli uni e dagli altri).
Esiste però anche una divisione precedente tra le chiese, quella che
risale al rifiuto della chiesa persiana di accettare la definizione del con
cilio di Efeso (4 31). La chiesa assira dell'Oriente, per secoli detta nesto
riana per l'accoglienza data a Nestorio e Teodoro di Mopsuestia, ana
tematizzati dal concilio· efesino, pur separata da tutte le altre chiese
dell'impero romano, fiorì con una mirabile attività missionaria, che
portò il cristianesimo nelle regioni più lontane dell'Asia. Dalla chiesa
persiana furono per secoli guidati i cristiani di san Tommaso in India e
le comunità nestoriane della Mongolia e della Cina. Vicende storiche e
persecuzioni, insieme alle recenti tragedie della guerra dell'Iraq, por
tano all'attuale situazione, per cui questa chiesa sopravvive a fatica in
patria, e si trasferisce sempre più nella diaspora, soprattutto nordame-
CredOg n. 147 5
ricana: proprio negli Stati Uniti risiede oggi il patriarca di questa chiesa
(cf P. NAJIM).
Benché infatti tra il IV e il VII sec. tutte queste chiese abbiano
conosciuto una notevole floridezza, a partire dall'arrivo dell'islam ad
oggi esse sono tuttavia numericamente molto ridotte. Alcune di esse
sono sopravvissute per secoli in aree in cui è presente una maggioranza
non cristiana e più recentemente altre hanno sofferto per decenni la
persecuzione da parte di diversi regimi e addirittura epurazioni etni
che. Questo martirio, che ha segnato in varia misura sia le chiese afri
cane, sia quelle mediorientali e caucasiche, ha portato come con,seguen
za ad uno stillicidio di emigrazione, che ha via via assottigliato le fila
dei cristiani d'Oriente (E. FARAHIAN). Il caso del Medio Oriente è par
ticolarmente drammatico. Lì dove è iniziata l'avventura dei discepoli
di Cristo sta diventando sempre più difficile continuare a vivere la fede
per tutte le denominazioni cristiane. L'emigrazione dalla Palestina,
Libano, Giordania, Siria, Iran e Iraq è stata particolarmente intensa
nella seconda metà dèl secolo scorso, soprattutto a causa del perdurante
conflitto israelo-palestinese e delle intifada (dal 1987-1993 e dal 2000),
le guerre del Golfo, e già prima la sanguinosa guerra civile libanese
(1975-1990). La già povera economia locale ha risentito dei tremendi
contraccolpi causati soprattutto dalla mancanza della principale risors~
economica dei cristiani dell'area: il turismo religioso e i pellegrinaggi. E
evidente che nessuno abbandona il paese delle sue radici se non a ma
lincuore, ma la mancanza di sicurezza, l'innegabile discriminazione
sociale e la prospettiva di una vita migliore, soprattutto per chi ha già
parenti emigrati, è un forte richiamo a lasciare il proprio martoriato
paese. Così, per ésempio, se nel 1952 i cristiani in Giordania erano il
18% della popolazione ora sono meno del 3,4%; in Israele i. cristiani
sono oggi il 2-3 %: se all'indomani della seconda guerra mondiale Be
tlemme e Nazareth contavano una popolazione cristiana per 1'80 e il
60%, oggi la percentuale non stj,pera rispettivamente il 20 e il 30%. Gli
studi dimostrano che più si assottigliano le comunità cristiane, più au
menta la probabilità che altri partano. Anche ricerche fatte in Libano
mostrano che le minoranze, in percentuale, emigrano di più rispetto a
chi è in maggioranza, e lo stesso accade alle classi di cultura elevata
rispetto a quelle di più modesta istruzione. Quello che rimarrà delle
comunità delle antiche chiese in Iraq lo sapremo solo quando sarà pas
sata la tempesta che ancora avvolge quel paese e non accenna a dimi
nuire. In India, in cm:zdizioni quanto mai diverse da stato a stato, i
cristiani sono complessivamente 24 milioni, il 2,3 % del miliardo e 28
6 CredOg n. 147
milioni di indiani. Sono tuttavia concentrati in alcuni stati del Sud: in
Kerala, patria dei cristiani di san Tommaso, sono oltre il 19% della
popolazione, nel Tamil Nadu sono il 15,7%.
Solo in Etiopia la situazione è diversa: la chiesa ortodossa etiope
raccoglie circa la metà della popolazione: un'isola cristiana in mezzo a
un mare islamico. Non dobbiamo dimenticare, infine, che gli armeni,
che ora godano di una certa libertà, sono stati però, meno di cent'anni
fa, vittime di un genocidio etnico di proporzioni drammatiche, per di
più taciuto e negato per decenni, e le cui ferite sono ancora brucianti.
L'«lnvito alla lettura», curato da V. POGGI del Pontificio Istituto
Orientale, evidenzia principalmente la problematica della convivenza
delle minoranze cristiane nel contesto islamico, nel desiderio di permet
tere a quanti vogliono andare oltre la superficie delle questioni, di ap
profondire un tema attuale e delicato, per i risvolti che comporta a livello
di cultura della coesistenza pacifica.oltre che del dialogo iriterreligioso.
La storia della chiesa, soprattutto in Oriente, ha conosciuto fin dal
primo millennio divisioni e contrapposizioni. Ma queste non furono
mai sentite come qualcosa di irrevocabile e definitivo. Il desiderio di
riunire un solo gregge sotto l'unico pastore, Cristo, è sempre rimasto nel
cuore di tutti i cristiani, che hanno cercato di realizzarlo pur con meto
dologie a volte non adeguate. Dopo le divisioni di Efeso e Calcedonia,
e il grande scisma d'Oriente (1054), che separò anche i bizantini dalla
comunione con Roma, il sacco di Costantinopoli perpetrato dai crociati
latini nel 1204 sigillò tremendamente la separazione dall'Occidente.
Tentativi di riunione si ebbero con il II concilio di Lione (1274) e con
il concilio di Ferrara-Firenze (1439), ma non sortirono gli effetti spera
ti. Lo sviluppo successivo della teologia romano-cattolica, che sottoli
neava vigorosamente la necessità della diretta giurisdizione del papa su
· tutte le chiese locali, implicò sempre più che quante non accettavano
tale giurisdizione venissero considerate come oggetto di attività missio
naria, con lo scopo dichiarato di staccare i cristiani ad esse appartenenti
portandoli nella comunione cattolica. Si afferma anche la nozione di
«rito», secondo la quale i gruppi di cristiani orientali che accettavano
l'unione con Roma venivano ricevuti nell'unica chiesa, ma potevano
mantenere la loro tradizione liturgica e disciplina canonica particolare.
L'attività missionaria, talvolta condotta con il supporto dei governi
cattolici dei paesi con minoranze ortodosse, si diresse praticamente ver
so tutte le chiese orientali. La conseguenza fu che segmenti più o meno
consistenti di ciascuna di queste chiese pervennero all'unione con Ro
ma. Non tutte le unioni furonoperò il risultato dell'attività dei missio-
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nari cattolici: i maroniti libanesi, per esempio, rivendicano di non essere
mai stati fuori della comunione con la chiesa ~attolica e gli armeni e i
caldei hanno una lunga storia di dialogo e di relazioni con Roma.
Queste unioni comportarono per gli orientali, tra le altre cose, un
processo di latinizzazione, cioè di adozione di pratiche, usi liturgici e
disciplinari propri della tradizione latina. Questo fatto, che causò no
tevoli tensioni e difficoltà (vedi in particolare il caso dell'India nel con
tributo di P. PALLATH) portò alcune di queste chiese a perdere contatto
con le proprie radici spirituali. La tradizione monastica, per esempio,
così centrale nella spiritualità orientale, è svanita nella maggior parte
delle chiese orientali cattoliche, lasciando spazio a forme di vita religio
sa modellate sulle congregazioni apostoliche latine. Dal concilio Vati
cano Il in poi, si sono messi in atto ·invece grossi sforzi per invertire
questo processo e aiutare le singole chiese a riappropriarsi delle genuine
tradizioni peculiari.
Le chiese cattoliche di cui facciamo menzione in questo fascicolo
sono quelle che provengono dalle vicende e dalle scissioni interne alle
chiese sopra ricordate (non quelle di matrice bizantina): le chiese pa
triarcali caldea, armena, copta, sira, maronita; le chiese arcivescovili
maggiori siro-malabarese e siro-malankarese; la chiesa sui iuris etiopi
ca. Secondo i canoni del diritto orientale le diverse denominazioni dello
status giuridico delle chiese intendono descrivere la diversa relazione di
esse con la sede romana. Le chiesa cattoliche patriarcali godono di una
vasta autonomia, sia nell'eleggere i vescovi che il proprio patriarca (che
deve però chiedere l'ecclesiastica communio al papa). Gli arcivescovi
maggiori invece, dopo l'elezione, devono essere confermati da Roma
prima di iniziare il loro ufficio. I rapporti di queste chiese con la Santa
Sede è curato dalla Congregazione per le chiese orientali. Il termine
«uniate» riferito a queste chiese, usato in senso dispregiativo dalle con
troparti non cattoliche, viene oggi accantonato sempre più, nella ricerca
di una guarigione delle ferite del passato per guardare insieme al futuro.
Nonostante il fatto che le chiese ortodosse possano vedere le chiese
orientali cattoliche come ostacolo alla riconciliazione con i latini, per
ché memoria di una lacerazione fraterna causata da fattori esterni, la
chiesa cattolica sostiene che esse debbano essere invece considerate un
«ponte», non un prodotto del proselitismo romano, ma anzi un'occa
sione di reciproca conoscenza e un segno di sollecitudine verso la ricon
ciliazione. Così si esprime Giovanni Paolo II in proposito: «Le chiese
orientali entrate nella piena co_munione con questa chiesa di Roma vol
lero essere una manifestazione di tale sollecitudine, espressa secondo il
8 CredOg n. 147
grado di maturazione della coscienza ecclesiale in quel tempo. Entran
do nèlla comunione cattolica, esse non intendevano affatto rinnegare la
fedeltà alla loro tradizione, che hanno testimoniato nei secoli con eroi
smo e spesso a prezzo del sangue. E se talvolta, nei loro rapporti con le
chiese ortodosse, si sono verificati malintesi e aperte contrapposizioni,
tutti sappiamo di dover invocare incessantemente la divina misericor
dia e un cuore nuovo capace di riconciliazione, oltre ogni torto subito o
inflitto» (OL 21).
Il dialogo ecumenico tra la chiesa cattolica e le antiche chiese orièn
tali, riapertosi per l'impulso del concilio Vaticano II, sta dando i suoi
frutti a livello teologico (cf l'articolo di J. BoNNY), attraverso il supera
mento di malintesi stratificatisi nei secoli e induriti dalla mancanza di
contatti - se non polemici - tra chiese ormai separate, viventi in contesti
assai diversi e soprattutto con lingue reciprocamente incomprensibili.
La «Documentazione» che viene fornita con questo numero com
prende alcuni testi spesso citati nei vari contributi: alcune fra le più
significative Dichiarazioni comuni della chiesa cattolica e delle antiche
chiese orientali, l'anafora di Addai e Mari della chiesa assira, alcune
cartine che aiutino a individuare le località di cui si parla e le loro
ubicazioni e uno schema sintetico, quasi un albero genealogico, delle
diverse chiese allo stato attuale.
L'intenzione del nostro fascicoto è in definitiva duplice: da una
parte, portare all'attenzione del nostro pubblico la varietà nascosta del
cristianesimo orientale; convinti, come diceva GiovanniPaolo II, che
«la venerabile e antica tradizione .delle chiese orientali sia parte inte
grante del patrimonio della chiesa di Cristo, la prima necessità per i
cattolici è di conoscerla per potersene nutrire e favorire, nel modo pos
sibile a ciascuno, il processo dell'ynità» (OL 1). In secondo luogo,fami
liarizzare con queste chiese di minoranza e con le loro tradizioni aiute
rà certamente i lettori a percepire in modo nuovo e più consapevole le
difficoltà dei cristiani nei paesi del Medio Oriente. Sono fratelli di fede
che hanno diritto al nostro interessamento nei loro riguardi, perché una
colpevole negligenza non ci porti a trascurare - come spesso essi lamen
tano - quanti con fatica e dedizione si adoperano perché il messaggio
cristiano continui a risuonare lì dove fin dall'inizio ha cominciato a
diffondersi per mezzo di «queste chiese orientali che sono state la culla
della nostra fede e verso le quali siamo tanto debitori» (Giovanni Paolo
II, Lettera apostolica Les grands mystères [1.5.1984]).
a. r.