Table Of ContentKAZIMIERZ TWARDOWSKI
CONTENUTO E OGGETTO
INTRODUZIONE DI STEFANO BESOLI
BOLLATI BORINGHIERI
Prima edizione giugno 1988
© 1988 Bollati Boringhieri editore s.p.a., Torino, corso Vittorio Emanuele 86
I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale
o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie' fotostatichc)
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Stampato in Italia dalla tipografia Capretto e Macco di Torino -,
CL 74-9265-0 ISBN 88-339-5428-5
Titoli originali
Idee und Perception
Eine erkenntnis-theoretische Untersuchung aus Descartes
Carl Konegen - Wien - 1892
Zur Lehre vom Inhalt und Gegenstand der Vorstellungen
Eine psychologische Untersuchung
Alfred Holder - Wien - 1894
Traduzione di Stefano Besoli
INDICE
Introduzione di Stefano Besoli La rappresentazione e il suo
oggetto: dalla psicologia descrittiva alla metafisica 7
Idea e percezione: una ricerca teoretico-conoscitiva su Descartes 25
o. Premessa i.Le diverse formulazioni del criterio 2. Natura e og
getto della percezione 3. Percezione e giudizio 4. Idea e percezione.
Percezione significa prensione del vero 5. La percezione chiara 6. La
percezione distinta 7. La percezione chiara e distinta come criterio di
verità 8. Il giudizio evidente 9. La rappresentazione distinta io. La
rappresentazione chiara 11. La rappresentazione chiara e distinta 12.
Riepilogo e conclusione Note
Sulla dottrina del contenuto e dell’oggetto delle rappresentazioni:
una ricerca psicologica 57
i.Atto, contenuto e oggetto della rappresentazione 2. Atto, contenuto
e oggetto del giudizio 3. Nomi e rappresentazioni 4. Il «rappresen
tato» 5.Le cosiddette rappresentazioni «senza oggetto» 6.Differen
za tra contenuto e oggetto della rappresentazione 7. Descrizione del
l’oggetto di una rappresentazione 8. L’ambiguità inerente al termine
«nota caratteristica» 9. Le componenti materiali dell’oggetto io. Le
componenti formali dell’oggetto 11. Le componenti del contenuto della
rappresentazione 12. Relazione tra oggetto e contenuto di una rappre
sentazione 13. La nota caratteristica 14. Le rappresentazioni indirette
15. Gli oggetti delle rappresentazioni generali Note
Indice dei nomi *7'
INTRODUZIONE DI STEFANO BESOLI
La rappresentazione e il suo oggetto:
dalla psicologia descrittiva alla metafisica
o. L’intrinseca rilevanza dell’opera di Twardowski (1866-1938) e
l’influenza che essa ha storicamente esercitato si possono rintracciare
lungo una duplice direttrice problematica.1 Da un lato, infatti,
Twardowski è stato il fondatore della prima scuola filosofica polacca,
dall’altro le sue acquisizioni analitico-concettuali rappresentano una
fase di transizione spesso ignorata o, per così dire, una sorta di
«anello mancante» situabile tra rimpianto intenzionalistico della
psicologia di Brentano e i successivi sviluppi delle riflessioni feno
menologiche di Husserl e della Gegenstandstheorie elaborata da
Meinong. Sul piano dell’impegno accademico e dottrinario l’im
postazione filosofica di Twardowski ha largamente ispirato quella
che è perlopiù conosciuta come la scuola di Leopoli-Varsavia,
all’interno della quale si sono formati filosofi quali Lukasiewicz,
Leéniewski, Ajdukiewicz, Kotarbinski e Tarski, che hanno in se
guito progressivamente promosso, nell’ambito di tale scuola, gli studi
di logica, matematica e semantica filosofica. Inserendosi nel clima
alquanto disarticolato e privo di una vera identità filosofica che ca
ratterizzava, in senso derogatorio, l’arretratezza dei diversi orienta
menti filosofici presenti in Polonia all’inizio del secolo, l’insegnamento
di Twardowski istituisce un quadro disciplinare in cui convergono,
in qualità di tratti qualificanti, l’opzione in favore di un realismo di
derivazione scolastico-aristotelica, il carattere obiettivistico dell’ap
proccio metodico, la strenua difesa di una concezione corrisponden-
tistica della verità, unitamente a una sensibilità vieppiù accentuata
per le questioni linguistiche nonché per la centralità che esse rive
stono nei singoli comparti tematici di cui l’edificio filosofico in
genere si compone. Oltre a ciò, l’interesse che Twardowski ereditò
8 BESOLI
da Brentano per un assetto apriorico e insieme descrittivo della
psicologia gli consentì, senza per questo incorrere in nuove accen
tuazioni psicologistiche, di informare un settore di indagini psico
logiche che, in linea del resto con alcune delle esigenze già fatte
emergere dalla scuola kiilpiana di Würzburg e da quella meinongiana
di Graz, tendevano a contenere il significato e il ruolo acquisito dalla
psicologia fisiologica e sperimentale, favorendo analisi di stampo non
positivistico e in qualche modo rivolte al campo delle scienze dello
spirito.2
Sul versante che rimanda invece ai momenti della sua formazione
culturale, per l’evoluzione intellettuale di Twardoswki assume un’im
portanza decisiva l’incontro con la filosofia di Brentano, sotto la
guida del quale egli compì i propri studi universitari a Vienna, tra
il 1885 e il 1889. Della teoria della conoscenza di Brentano egli ac
cettò la netta divaricazione tra rappresentazione e giudizio, la
distinzione tra un aspetto genetico della psicologia e uno descrit
tivo, il décalage tra esperienza interna ed esterna, il carattere fon
dante attribuito all’evidenza immediata dei giudizi riguardanti l’espe
rienza interna, la dottrina idiogenetica del giudizio, e infine la
riducibilità degli enunciati categorici in forma esistenziale. In piena
sintonia con il tenore psicognostico delle indagini che Brentano
aveva condotto a partire dal 1887, le ulteriori scansioni analitiche
che Twardowski apporta entro la cornice classificatoria dei feno
meni psichici improntata al criterio dell’intenzionalità prelude alle
chiarificazioni fenomenologiche di Husserl circa i vissuti coscien-
ziali e i relativi contenuti. Sotto il profilo coordinato dei risvolti
ontologici le analisi di Twardowski prefigurano, nei loro linea
menti essenziali, alcuni aspetti cruciali del programma meinongiano.
In particolare, l’individuazione di oggetti non esistenti e nondi
meno forniti di proprietà introduce al principio di indipendenza del
Sosein dal Sein, la cui prima formulazione si deve peraltro attri
buire a Mally, e alla connotazione compiutamente daseinsfrei che
la teoria dell’oggetto di Meinong si aggiudica.
Oltre alla funzione propulsiva che l’opera di Twardowski assolve
nell’indirizzo della cosiddetta Brentano-Schule, un merito non certo
indifferente le deriva dal fatto di aver criticamente rivisitato e ri
proposto all’attenzione — ancor prima di Husserl — il realismo
logico di Bolzano, al pensiero del quale egli fu introdotto attra
verso il magistero di Zimmermann, la lettura degli scritti di Kerry
e, non da ultimo, dalle indicazioni provenienti da Marty.
INTRODUZIONE 9
i. All’epoca in cui Twardowski presentò la sua tesi di dottorato
su Idea e percezione. Una ricerca teoretica-conoscitiva su Descartes
(1892) Brentano svolgeva già da tempo, a Vienna, funzioni di
semplice Privatdozent. Per questa ragione Twardowski dovette
formalmente sostenere la discussione della sua tesi con Robert
Zimmermann che, oltre a essere stato allievo di Bolzano, si collo
cava in prossimità della filosofìa herbartiana ed era comunque
estraneo alla tradizione di pensiero idealistica e kantiana. Tuttavia,
malgrado tale necessaria sostituzione, il contenuto della disserta
zione di Twardowski, sia per ciò che concerne l’affinità tematica
sia per i riferimenti concettuali che vi figurano, appare come del
tutto interno alle coordinate della psicologia di Brentano; in
essa, in maniera affatto omologa a quella sottesa al tentativo eser
citato da Natorp in piena congiuntura neokantiana, si attua un
investimento sistematico di alcune idee guida della filosofia carte
siana, a partire dalla valorizzazione del paradigma della riflessività
coscienziale o «percezione interna» e dalla ripresa delle radici e
dei motivi medievali su cui la filosofia di Descartes poggia.
Nel primo dei suoi scritti Twardowski prende in esame i fon
damenti della gnoseologia cartesiana e, più in particolare, riferen
dosi all’attività di giudizio e delineando la fisiologia concettuale
che le è propria, cerca di individuare ciò che in quest’ambito funge
da criterio di verità. Nel riconoscere al giudizio una struttura com
posita, qualificata dal concorso in esso di una funzione dianoetica
e di un momento volontaristico, Twardowski inscrive di fatto la
dottrina del giudizio cartesiana in quella tradizione di pensiero
stoica che ha in qualche modo influenzato, tra l’altro, la nozione
empiristica di belief e quella di Anerkennung, in cui Brentano aveva
risolto la natura del giudizio affermativo. Il compito preliminare
che Twardowski affronta è quello di analizzare le distinte funzioni
che l’idea e la percezione svolgono internamente al giudizio. Nel
disporre tale differenziazione, Twardowski ascrive alla cosiddetta
percezione «intellettuale» la funzione etimologica di prensione del
vero (Wahr-nehmung'), criticando con ciò tutti coloro — com
preso Brentano — che avevano inteso rendere la percezione per
mezzo della semplice rappresentazione, basandosi in parte sull’as
senza della percezione dalla classificazione dei fenomeni psichici
predisposta da Descartes e sul carattere mediano che essa si aggiu
dica tra la classe delle rappresentazioni e quella dei giudizi. La
IO besoli
considerazione critica che Twardowski rivolge nei riguardi di
Brentano non è tuttavia pienamente condividibile. Se è pur vero
infatti che Brentano, in sede di ricomprensione cartesiana, assi
mila la percezione stessa alla rappresentazione — designandola pe
raltro solo come Perzeption —3 è innegabile altresì che nel decorso
propositivo della propria filosofia egli avvicini considerevolmente
la percezione al giudizio, ravvisando in essa la presenza di un
Fürwahrhalten? I rilievi che Brentano oppone a Descartes riguar
dano, in senso stretto, il carattere naturalistico della dottrina del
l’evidenza cartesiana, ovvero il fatto di non avere sufficientemente
staccato rappresentazione e giudizio e di avere di conseguenza reso
la V or-stellung una sorta di pre-giudizio, rimanendo in tal modo
— al pari di Leibniz — «im Vorzimmer der Wahrheit».5 Al limite
«psicologistico» della gnoseologia cartesiana Brentano aveva ri
condotto altresì gli errori insiti nel modulo conoscitivo di Thomas
Reid,6 al quale imputava inoltre di aver fornito il modello all’errata
dottrina kantiana dei giudizi sintetici a priori. Coniugato al tema
dell’evidenza e alla relativa applicazione all’argomento del cogito è
il rimprovero che Brentano muove infine a Descartes per non aver
saputo distinguere l’evidenza assertoria, ottenuta tramite la per
cezione interna, dall’evidenza apodittica propria dei princìpi ana
litici o a priori, ai quali tuttavia corrispondono giudizi negativi
sprovvisti di qualunque existential import. Tale commistione si deve
essenzialmente al fatto che la percezione interna, dalla quale pro
viene ogni forma di evidenza immediata e alla quale è strettamente
correlato il criterio di verità, si applica cartesianamente non solo
agli atti o fenomeni psichici, ma anche agli oggetti loro immanenti,
alle idee obiettivamente in-esistenti, alle quali finisce così per spet
tare, in ragione di questa impropria attribuzione di realtà, una no
zione di verità o falsità materiale, che contrasta con quella formale
che risiede unicamente entro lo spazio logico del giudizio. Per
quanto Twardowski sottolinei con correttezza la necessità di emen
dare la concezione cartesiana dell’evidenza, egli resta certo al di qua
del grado di riflessione critica a cui Brentano sottoponeva — come
esito del suo work in progress — la dottrina degli oggetti imma
nenti e l’equivoco raddoppiamento dell’oggetto intenzionale a cui
essa ricorreva.7
Il richiamo cartesiano alla realtà obiettiva e non solo formale
delle idee nell’intelletto, scaturito da un’interpretazione forzata-
mente realista e ontologicamente impegnata dell’« objective inesse»
INTRODUZIONE ! I
di Suarez, costituisce dei resto un antecedente della nozione
di contenuto alla cui definizione Twardowski era già intento.8
Per questo, l’impegno che la sua dissertazione assume prescinde
fatalmente dall’affrontare tali questioni per dedicarsi piuttosto a
rilevare la difformità di ruoli che l’idea e la percezione rico
prono nell’ambito dell’ Urteilslehre cartesiana. La percezione, in
fatti, non è mera rappresentazione, ma non coincide nemmeno con
l’intera formulazione del giudizio. Mentre l’idea o rappresentazione
funge dunque da elemento materiale o sostrato del giudizio, la
percezione è invece ciò che, in qualità di componente catalettica
del medesimo, ne costituisce l’intima ragione formale: vale a dire,
è ciò che è in grado di motivare la nostra presa di posizione nei
riguardi dell’oggetto del giudizio e di condurci perciò a decretarne
l’assenso. Sulla base dell’analisi del «cogito ergo sum» e della ve
rità che pertiene a tale principio, Twardowski giunge così a indi
viduare nella «percezione chiara e distinta» il criterio che con
sente di riconoscerlo come vero. Tuttavia, pur identificando tale
genere di percezione con quella «ab intellectu», interna ed evi
dente, Twardowski sembra far propria e accettare la conclusione
cartesiana secondo cui la conoscenza che ne deriva risulta essere
necessariamente vera e sottratta a ogni possibilità di errore. Al
posto di interrogarsi sul significato profondo di tale criterio per
cettivo, Twardowski si ferma semplicemente a considerare l’espres
sione linguistica in cui esso compare e a esaminare la valenza che i
requisiti della chiarezza e della distinzione assumono in rapporto
alla percezione e, parallelamente, all’idea. Dalla disamina che
Twardowski conduce emerge che, mentre la distinzione conserva
in entrambi i casi lo stesso significato, per ciò che riguarda la chia
rezza le cose stanno però diversamente. Applicata all’idea, la chia
rezza sta infatti a significare che quella contiene la sua essenziale
nota caratteristica; in un contesto percettivo, la chiarezza denota
invece che la percezione, con il concorso necessario dell’attenzione
di colui che percepisce, coglie l’oggetto «in modo completo e in
tutte le sue parti». In assenza di un effettivo luogo definitorio, la
nozione di chiarezza — che è condizione necessaria della distin
zione — viene reperita mediante un semplice raffronto con la per
cezione visiva. In tal senso, l’interpretazione che Twardowski nel
l’insieme delinea non riesce pertanto a sortire risultanze soddisfa
centi. Resta infatti assai problematico concepire come dalla natura
«empirica» di un tale riscontro di completezza percettiva, che con
12 BESOLI
trasta tra l’altro con l’improbabile adeguazione di un’idea o con
cetto all’oggetto corrispondente,9 possa conseguire la condizione
determinante di un giudizio per di più dotato di indubitabile cer
tezza. La sostanziale condiscendenza che Twardowski manifesta
nei confronti delle argomentazioni cartesiane può spiegarsi, forse,
con l’implicita accettazione di alcune presupposizioni ontologiche
che una più «fedele» adesione all’opinione che il «secondo» Bren
tano legittimerà, à rebours, come quella univocamente autentica,
non avrebbe invece consentito.
2. La trattazione che Twardowski sviluppa nella breve ma densa
tesi di abilitazione sulla Dottrina del contenuto e deW oggetto delle
rappresentazioni (1894) si colloca — come è stato già correttamente
osservato —10 lungo quel tratto della filosofia meinongiana che da
un approccio conoscitivo fondato su un rappresentazionalismo or
todosso conduce a delineare una teoria del contenuto e delle sue
relazioni con l’oggetto pienamente emancipata da tali condiziona
menti. Nella Logica (1890) di Höfler, scritta con il contributo e la
supervisione di Meinong, viene esposta una dottrina del riferimento
resa ancora nei termini di una classica Bildertheorie. In essa figura
infatti la riproposizione della dualità tra un oggetto trascendente,
indipendente dal soggetto che pone in atto il riferimento, e un
oggetto immanente, altrimenti contrassegnato come il contenuto
della rappresentazione. Tale schema contrappositivo, entro il quale
l’oggetto immanente — adibito a funzioni di rappresentanza — con
sente la rappresentazione indiretta e approssimata dell’oggetto tra
scendente — è ciò che impedì per un certo tempo a Meinong di
servirsi delle nozioni di contenuto e oggetto se non in maniera si
nonimica e promiscua.11 Analoghe difficoltà compaiono nella tradi
zione dell’idealismo berkeleyano per il quale, nell’attività percettiva,
è l’oggetto stesso a divenire il «contenuto» della coscienza. Da ul
timo, anche nella Psicologia dal punto di vista empirico (1874) di
Brentano, che pur distingue tra l’atto e l’oggetto relativo, non si
procede tuttavia a definire un’ulteriore scansione tra contenuto e
oggetto, in quanto tali termini rinviano in modo convergente ed
equivoco a qualcosa che ha «in-esistenza intenzionale» nell’atto.
Con tale identificazione Brentano non intende peraltro presentare
l’oggetto intenzionale come tramite o correlato fenomenico dell’og
getto reale. Ciò che è intenzionalmente preso di mira è soltanto
l’oggetto mentale o immanente che inabita nel dominio della co