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I libri di DeriveApprodi
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Immagine di copertina: Torino. Fiat Mirafiori, 1973. Sul muro di cinta della palazzina degli uffici.
Foto di Dario Lanzardo (dettaglio). Per gentile concessione di Liliana Guazzo Lanzardo.
ISBN 978-88-89969-177-6
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Marco Clementi, Paolo Persichetti, Elisa Santalena
Brigate rosse
Dalle fabbriche alla «campagna di primavera»
Volume I
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Introduzione
L’epoca che abbiamo messo al centro della nostra indagine si è conclusa da tempo.
Cominciata con l’affermazione del modo di produzione fordista, è entrata in crisi tra
la fine degli anni Sessanta e il decennio successivo, quando le economie occidentali
attraversarono una fase di bassa crescita, accentuata dallo choc petrolifero, con riper-
cussioni negative sull’occupazione, i salari, la produttività e il profitto.
Il capitale, non solo italiano, sperimentò in quegli anni strade diverse per rimette-
re in moto la macchina produttiva e trovò la soluzione in un complesso di scelte,
come il decentramento produttivo, la progressiva deindustrializzazione, la contra-
zione del potere di acquisto dei salari e dei diritti dei lavoratori, che tendevano a ri-
durre e ingabbiare il conflitto sociale. Era la fine dell’operaio massa e fu in quel con-
testo che la lotta armata si sviluppò come risposta estrema a quella politica.
Il libro si apre con il ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani a Roma,
per tornare alla nascita delle Brigate rosse nelle grandi fabbriche del Nord, prosegui-
re con lo sviluppo della propaganda armata e affrontare il sequestro Sossi, evento im-
portante per comprendere l’andamento del rapimento di Moro. Nel corso del libro
abbiamo analizzato anche la risposta dei partiti e dello Stato, l’evoluzione delle inda-
gini sulla lotta armata, l’opera dei nuclei diretti dal generale dei Carabinieri Carlo Al-
berto Dalla Chiesa, il ricorso alla tortura e la situazione del mondo carcerario, radi-
calmente trasformata in quegli anni per l’introduzione del regime speciale.
Esiste un’ampia bibliografia saggistica sulle Brigate rosse, ma non sono stati mol-
tissimi i libri scritti da storici di professione1. Il motivo, forse, può essere sintetizzato
1 Ci si riferisce agli studi di Francesco M. Biscione, Luigi Bonate, Pino Casamassima, Giovanni Mario Ceci,
Donatella Della Porta, Giorgio Galli, Agostino Giovagnoli, Miguel Gotor, Marc Lazar, Massimo Mastrogre-
gori, Marie-Anne Matard Bonucci, Alessandro Orsini, Simone Neri Serneri, Andrea Saccoman, Vladimiro
Satta, Isabelle Sommier, Ermanno Taviani, Angelo Ventura e pochi altri, che riprenderemo nel corso della
trattazione. In occasione del centesimo anniversario della nascita di Moro, Massimo Mastrogregori ha
pubblicato una biografia dell’uomo politico che presenta aspetti inediti: M. Mastrogregori, Moro. La biogra-
fia politica del democristiano più celebrato e discusso nella storia della Repubblica, Salerno Editrice, Roma 2016.
Anche Guido Formigoni si è occupato di Moro politico in Aldo Moro. Lo Statista e il suo dramma, il Mulino,
Bologna 2016. In occasione del 35° anniversario della morte, l’Accademia di studi storici Aldo Moro orga-
nizzò un grande convegno sulla figura del politico che offrì, secondo Lorenzo Biondi «spunti originali di ri-
cerca […] con dei tagli che raccontano molto non solo di Moro ma degli interessi della nuova generazione di
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nelle parole di Renato Moro, professore ordinario di Storia Contemporanea all’Uni-
versità di Roma Tre, che valutando un volume sul rapimento di Aldo Moro lo ha defi-
nito «ben documentato ma, com’è comprensibile, lontano da una piena storicizza-
zione della materia»2. L’affermazione, decisa e importante, denota in effetti l’esisten-
za di una criticità: storicizzare la vicenda delle Brigate rosse è un esercizio
complesso. Eppure sono trascorsi quasi quattro decenni da quel periodo, un tempo
non breve. Nel 1953, a soli otto anni dalla Liberazione, Roberto Battaglia pubblicò la
prima, e ancora oggi valida, Storia della Resistenza italiana. Un altro storico, Guido
Quazza, diede alla stampe nel 1966 La Resistenza italiana: appunti e documenti. A ben
vedere, in rapporto è come se nel 1985 si fosse messo in dubbio la possibilità di fare
storia sulla Seconda guerra mondiale. In quell’anno Paolo Spriano aveva già pubbli-
cato da oltre un decennio la sua Storia del partito comunista, il cui ultimo volume, de-
dicato alla Resistenza e al Partito nuovo di Togliatti, si occupava del triennio 1943-
1945. Parte di quanto scritto allora da Spriano è stato ridiscusso, ma ciò rappresenta
la normalità in storia, non l’eccezione. Nessuno, però, ha mai sollevato dubbi sulla le-
gittimità di quei lavori3. Anzi, proprio quell’area politica e culturale da cui proveniva
Spriano, riconducibile al Partito comunista, aveva allora posizioni a volte dogmati-
che sulla storia della Resistenza, incontrando in seguito ampie critiche da una forte
corrente revisionista4. La stessa area culturale si è distinta in passato per aver spesso
negato alla storia della lotta armata la dignità di oggetto di studio, preferendo pam-
phlet di saggisti costruiti su una metodologia più che dubbia.
Vero è che fino al 2008 l’indagine storica sulla lotta armata in Italia è stata condi-
zionata dalla relativa possibilità di reperire materiale d’archivio; tra il 2008 e il 2012,
però, una mole importante di documentazione è stata progressivamente messa a di-
sposizione degli studiosi grazie alle cosiddette direttive Prodi e Renzi. Le fonti pri-
suoi studiosi». I temi trattati vanno dalle relazioni diplomatiche con Stati Uniti, Francia, Germania ed Eu-
ropa orientale al percorso verso la solidarietà nazionale, fino alle vicende interne alla Democrazia cristiana
e al rapporto tra Moro e le «masse». Tra i giovani studiosi che parteciparono al convegno ricordiamo Fran-
cesco Bello, Sara Tavani, Alessandro Saraceno, Giovanni Bernardini, Paolo Acanfora, Jacopo Cellini, Fran-
cesca Zilio, Mauro Campus, Diego D’Amelia, Marialuisa Lucia Sergio, Gaetano La Nave, Laura Ciglioni,
Andrea Argenio, Donatello Arimanno, Gianluca Scroccu, Guido Panvini, Ilenia Imperi, Ilaria Maria Pri-
scilla Barzaghi, Maurizio Zinni, Lia Perrone, Tiziano Torresi, Giovanni Mario Ceci, Maria Lorenza Murtas,
Michele Marchi e Daria Gabusi. Per maggiori informazioni si veda L. Biondi, Aldo Moro riscoperto dai tren-
tenni, «Europa», 13 maggio 2013 e dove si può leggere un interessante Documento di presentazione. Per
quanto riguarda la saggistica ricordiamo i volumi di Giovanni Bianconi, Eseguendo la sentenza, Einaudi, To-
rino 2008, di Andrea Colombo, Un affare di Stato. Il delitto Moro e la fine della Prima Repubblica, Cairo, Mi-
lano 2008 e Vincenzo Tessandori, Qui Brigate Rosse. Il racconto. Le voci, Dalai, Milano 2009.
2 Università degli Studi Roma Tre, Procedura di chiamata ad 1 posto di professore universitario di ruolo, fa-
scia degli associati, riservata al personale esterno all’Ateneo, Dipartimento di Studi Umanistici, Verbale n.
2, 30 giugno 2016, p. 21.
3 P. Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano, Einaudi, 5 voll., Torino 1967-1975.
4 Si veda in particolare il lavoro di C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza,
Bollati Boringhieri, Torino 2006.
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marie, conservate negli archivi di Stato a Roma (Centrale e della città)5, costituiscono
un corpusdi primissimo piano, visti gli enti produttori che vanno dal Sismi al mini-
stero degli Interni, dalla sala operativa dei Carabinieri al ministero degli Esteri, seb-
bene alcuni riscontri facciano ritenere che non tutto sia stato ancora versato6. Anche
l’Archivio Storico del Senato ha reso consultabile la grandissima mole di carteggi
non classificati raccolti dalle Commissioni parlamentari d’inchiesta che si sono oc-
cupate della materia (la prima, sul rapimento Moro, istituita con la legge del
23.11.1979, e la cosiddetta «Stragi», con legge del 17 maggio 1988). L’ultima Com-
missione parlamentare d’inchiesta, la seconda sul caso Moro, istituita con la legge n.
82 del 30 maggio 2014, sta a sua volta producendo altro materiale che può essere stu-
diato già oggi, restando esclusa solo la parte soggetta a classifica.
In storia, come in altri ambiti, il tempo non è assoluto: deve trascorrere a suffi-
cienza da una singolarità per poterla studiare, ma nessuno sa quantificarlo con esat-
tezza. Sono i processi, o le epoche, a formare l’oggetto di uno studio, e la loro durata
è imponderabile. La si può determinare solo una volta conclusi. Scrivere una storia
in corsa non è impossibile ma è certamente molto complicato.
Storia e memoria
Heyden White, rappresentante del linguistic turn, ha scritto che la storia è solo una
costruzione testuale costantemente reinventata secondo codici di tipo letterario e
che le narrazioni storiche sono finzioni verbali i cui contenuti possono essere inven-
tati o sono frutto di ricerca, ma le cui forme sono assai più vicine alla letteratura che
non alla scienza7. Claude Lanzmann ha messo in discussione la possibilità per gli
strumenti tradizionali della storia (archivi e documenti) di poter giungere alla verità,
contrapponendo loro il primato della testimonianza, un fattore che ha inevitabil-
mente posto la memoria al centro del racconto storico. Il sopravvento dell’esperienza
vissuta su quella tramandata ha certamente smosso le coscienze della storiografia,
favorendo lo sviluppo della storia orale, attribuendo anche una diversa attenzione
agli aspetti culturali e immateriali, prima spesso trascurati. Le donne e gli uomini re-
stavano masse anonime, semplice numero, statistica che non permetteva ai subal-
terni di emergere come soggetti narranti. Lavori come La formazione della classe ope-
raia inglesedi Edward P. Thompson, La storia della follia nell’età classicadi Michel Fou-
5 L’archivio di Stato di Roma conserva gli originali di molte lettere scritte da Moro durante la prigionia, sta
curando la digitalizzazione degli atti processuali sotto la direzione di Michele Di Sivo. Sulle lettere di Moro
si veda, tra gli altri, M. Gotor, Lettere dalla prigionia, Einaudi, Torino 2008 e M. Mastrogregori, La lettera blu,
Ediesse, Roma 2012.
6 Si vedano i carteggi in Archivio centrale dello Stato, Caso Moro, Ministero dell’Interno, Gabinetto specia-
le [ACS, Caso Moro, MIGS], che fanno riferimento ad altri fascicoli non presenti nel fondo. Esiste un pro-
blema di declassificazione che andrebbe affrontato nello spirito delle direttive Prodi e Renzi.
7 Hayden White, The Historical Text as Literary Artefact, J. Hopkins University Press, Baltimora 1985, passim.
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cault, La notte dei proletari di Jacques Rancière, Il Formaggio e i vermidi Carlo Gin-
zburg, hanno ridato voce ai subalterni, ricostruendone l’universo, offrendo loro un
proscenio prima negato. Tuttavia, ha osservato Enzo Traverso, quando la memoria
non riesce più a fare posto alla storia, sopraggiunge un «tempo compresso» che ri-
fiuta di farsi tempo passato8.Questa «presentificazione» del passato ha facilitato
l’azione delle memorie artefatte. Prestando attenzione allo sguardo che il vicino
porta sul lontano, Marc Bloch invitava a capovolgere l’idea di un presente in lotta pe-
renne per divincolarsi dalle eredità dei tempi andati. È il passato a essere il più delle
volte ostaggio di ciò che viene dopo. Se c’è oggi un’epoca prigioniera del presente,
questa riguarda in modo particolare gli anni Settanta. Ancora oggi vale più che mai
la lezione di Maurice Halbwachs, uno dei massimi studiosi della memoria sociale:
ciò che distingue la storia dalla memoria è proprio quel processo che consente il pas-
saggio dalla storiain mealla storia in sé.
Le testimonianze, però, vanno recepite sempre come fonti problematiche e non da
meno sono i carteggi conservati negli archivi: essi presentano criticità che spingono a
continue domande e verifiche. Molto dipende dal metodo oltre che dalla sensibilità
del ricercatore, ma è certo che senza una solida base documentale è difficile imposta-
re un’indagine in grado di dare risultati strutturati. Come si vedrà, nel corso della no-
stra ricerca abbiamo analizzato i carteggi disponibili, incrociandoli con le testimo-
nianze dell’epoca e con i racconti di alcuni protagonisti raccolti nel corso di lunghe e
ripetute conversazioni. Dove coglievamo delle contraddizioni, abbiamo cercato di ca-
pirne il motivo. A volte ciò è dovuto a espedienti usati dalle forze dell’ordine per copri-
re una fonte, altre a veri e propri errori, altre ancora a ricordi diversi rispetto a uno stes-
so episodio. In ambito di memoria si tratta della normalità, essendo la memoria stes-
sa una continua rielaborazione che tende a mantenere in vita la propria identità,
collocandola in un passato che si modifica necessariamente a ogni rievocazione.
Storia e metastoria
Tra le posizioni di chi è convinto, come noi, che fare storia su quegli anni si possa e si
debba e di chi ancora esprime forti perplessità, si è fatta strada una terza via, quella
dell’indagine di tipo saggistico, che da decenni si alimenta con ipotesi dietrologico-
complottistiche e ha prodotto una vastissima bibliografia, in particolare sul caso
Moro. Nel prossimo volume ricostruiremo le genesi di questa narrazione che ac-
compagna le vicende della lotta armata fin dalle sue origini, ma incontra un fonda-
mentale punto di svolta nel 1984, quando il Pci in crisi di strategia dopo il naufragio
del compromesso storico, impresse una svolta politica sulla vicenda Moro con una
mozione presentata il 9 maggio 1984 sia alla Camera che al Senato. Il Partito comu-
8 Enzo Traverso, Il passato: istruzioni per l’uso. Storia, memoria, politica, ombre corte, Verona 2006.
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nista prese le distanze dalla relazione di maggioranza che aveva votato l’anno prece-
dente (assieme alla Democrazia cristiana, agli indipendenti di sinistra, ai repubblica-
ni e ai socialdemocratici), in chiusura dei lavori della prima Commissione d’inchie-
sta parlamentare sul rapimento Moro9, così come dalla sentenza del primo processo
in Corte d’Assise che si era concluso nel 1983, avviando una stagione complottista
che non si è ancora conclusa10.
Ciò che preme sottolineare qui, per restare sul terreno della critica, è la sordità co-
gnitiva delle narrazioni dietrologiche, impermeabili alle smentite accumulatesi nel
tempo. Le teorie del complotto, a causa del loro divenire circolare, si sottraggono alla
verifica della coerenza interna ed esterna delle loro asserzioni, non recepiscono mai
la confutazione che, anzi, in taluni casi leggono come una dimostrazione ulteriore
della cospirazione contro la verità. La logica e i principî della razionalità illuministica
non funzionano di fronte a una retorica che ricorre a tecniche argomentative come il
metodo dell’amalgama, la confusione di tempi e luoghi, l’uso di acquisizioni parziali,
di ricostruzioni lacunose, di errori macroscopici, manipolazioni, invenzioni, corre-
lazioni arbitrarie, affermazioni ipotetiche, false equazioni. Se non fosse così dirom-
pente l’impatto sociale che queste teorie hanno avuto, varrebbe più di ogni altro il
motto, «non ti curàr di lór, ma guarda epassa»11. Uno degli assiomi su cui si basa que-
sta produzione pseudoscientifica consiste nel fatto che i brigatisti definiti «irriduci-
bili»12non abbiano mai parlato, perché nascondono chissà mai quali segreti. Si tratta
di un falso. Mario Moretti, per citare un esempio, ha rilasciato una lunga intervista a
Rossana Rossanda e Carla Mosca pubblicata poi in volume13. In passato era stato in
corrispondenza con altri due giornalisti molto noti, Sergio Zavoli e Giorgio Bocca.
Possediamo parte di quell’epistolario, dal cui tono si possono ricavare diverse infor-
mazioni. Nel marzo 1985, per esempio, Bocca scriveva a Moretti, riferendosi al pro-
cesso Moro Ter: «Vedo che ti hanno sistemato fra gli irriducibili. Ma che senso ha
9 Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassino di Aldo Moro
e sul terrorismo in Italia, 20 dicembre 1979-29 giugno 1983 (Legge 23 novembre 1979, n. 597) VIII Legi-
slatura. Presidenti Biasini, Schietroma, Valiante.
10 La mozione fu presentata il 9 maggio 1984 alla Camera e al Senato dai capigruppo Chiaromonte e Na-
politano, a firma rispettivamente dei senatori Pecchioli, Tedesco, Tatò e Flamigni e dei deputati Zangheri,
Spagnoli, Violante, Serri, Macis e Gualandi; «In nessun modo – è scritto nel testo della mozione – si può ri-
tenere conclusa la vicenda del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro con le formule giudiziarie già inter-
venute e con la stessa inchiesta parlamentare. […] Alla liberazione del prigioniero non si pervenne anche
perché furono presenti nel mondo politico atteggiamenti trattativistici incompatibili con una rigorosa e
penetrante azione di polizia e che anzi costituirono alibi ed incentivo per le omissioni e negligenze sopra
richiamate»; ACS, MIGS, b. 11.
11 Alterazione popolare del verso dantesco Non ragioniam di lor, ma guarda e passa. D. Alighieri, Inferno, III 51.
12 Riguardo alla estraneità del termine «irriducibile» dal lessico brigatista e più in generale della lotta ar-
mata, si può leggere l’articolo di Paolo Persichetti apparso su: https://insorgenze.net/2013/02/04/irridu-
cibili-a-cosa/.
13 Mario Moretti con Carla Mosca e Rossana Rossanda, Brigate rosse. Una storia italiana, I edizione, Anabasi,
Roma 1993. Le citazioni in questo volume sono dalla seconda edizione, Baldini & Castoldi, Milano 2002.
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mettere assieme la irriducibilità di chi per sopravvivere nella galera si chiude in una
sua torre rifiutando il confronto con il mondo e con la storia e chi come te ci ragiona
sopra separando l’accettazione della sconfitta attuale dal ripudio della propria espe-
rienza, delle proprie responsabili scelte? Come sempre le persone intelligenti, dun-
que complesse, vengono rifiutate dalle categorie schematiche. Credo che sia questo
ciò che vuoi dire quando mi scrivi della inutilità di parlare a chi non vuole ascoltar-
ti»14. E poche settimane prima: «Caro Moretti, da quando ti ho conosciuto mi fanno
ridere i toni […] con cui i cronisti giudiziari parlano di te: il grande capo, taciturno e
misterioso»15. Un tentativo di intervista, del tipo che poi venne fatto da Mosca e Ros-
sanda, fu provato proprio da Bocca, che nel 1984 inviò a Moretti una serie di quesiti
sulla storia delle Br, usando le risposte per il libro Noi Terroristi del 1985. Anche
Mario Scialoja cercò un contatto che andasse oltre un articolo di giornale e nel genna-
io 1993, dopo che Moretti aveva ottenuto il primo permesso premio, gli scrisse del
suo «interessamento a una lunga intervista sia per l’Espresso, che per qualcosa di più
ampio come potrebbe essere un libro pubblicato da un’importante casa editrice»16.
Scrissero a Moretti anche il giornalista de «l’Europeo», Stefano Zurlo, Giuseppe Ni-
cotri de «L’Espresso», Renzo Rotta di Rai3 e, come detto, Sergio Zavoli, con cui tra il
1989 e il 1990 realizzò una puntata della trasmissione La notte della Repubblica.
Circa dieci anni più tardi, Zavoli si rivolse nuovamente a Moretti: «Oggi sto prepa-
rando […] un programma che andrà in onda a partire dal 20 gennaio ’98 con il titolo
C’era una volta la prima Repubblica. Affronteremo le vicende più significative che
hanno caratterizzato la vita italiana dal ’48 a oggi […]. Dunque, un’altra occasione im-
portante per proseguire nella ricerca di verità spesso ancora taciute, per le quali Lei
ha invece fornito, con scrupolo anche storico, ampi e meritevoli chiarimenti»17.
Dopo le memorie e i racconti pubblicati da diversi esponenti delle Br non disso-
ciati, la tesi che postulava il mutismo dei brigatisti ha subìto un adeguamento: il si-
lenzio brigatista sulla supposta «dinamica reale» del sequestro Moro si sarebbe cri-
stallizzato attorno a una versione di comodo, pattuita con lo Stato o con indefiniti set-
tori di esso insieme a frazioni della Democrazia cristiana. Si tratta di un falso. Gli ex
brigatisti hanno raccontato le loro verità. Non coincidevano, però, con quanto si spe-
rava di leggere.
14 Archivio di Mario Moretti, lettera autografa di Giorgio Bocca a Moretti del 18 marzo 1985.
15 Ivi, lettera olografa di Giorgio Bocca a Moretti del 20 febbraio 1985.
16 Ivi, Lettera autografa di Mario Scialoja a Moretti del 21 gennaio 1993.
17 Ivi, Lettera autografa di Sergio Zavoli a Moretti del 9 gennaio 1998.
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