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Giorgio Bocca
BASSO IMPERO
Grazie a un'inedita mistura di fondamentalismo religioso e fondamentalismo
economico - sostiene Bocca - la superpotenza globale di Bush procede, tra lo
stupore dell'Europa e del mondo, ad attuare il suo disegno di conquista
economica e controllo militare. Ma lo stupore, argomenta Bocca, non ha
ragion d'essere: il modello democratico americano è sempre stato fin dai
suoi inizi legato alla ricchezza - vista come premio divino - e alla conquista,
assai poco sensibile, invece, alle tematiche sociali e all'egualitarismo. A
differenza dell'Europa, nella quale non solo la sinistra ma anche la destra ha
sviluppato nel tempo una sensibilità sociale.
Indice
1. Il secolo americano
2. Dio è con noi
3. La democrazia controllata
4. Le guerre
5. L'impero
6. Informare per consumare
7. Terrorismo chiama terrorismo
8. La ricostruzione
9. L'Europa antiamericana
10. Cortigiani e machiavellici
11. L'occupazione impossibile
12. Un impero nato male
13. La provincia dell'impero
14. Il simil Bush
15. L'Editto di Arcore
1. Il secolo americano
I realisti, i machiavellici hanno vinto, la bandiera a stelle e strisce sventola su
Bagdad, si è ristabilito l'ordine asimmetrico per cui un morto americano
conta più di mille morti iracheni, il cavalier Berlusconi è un genio perché ha
fatto i suoi giri di valzer fra Bush, il Papa, l'Europa e Bossi. È l'ora di fare un
bilancio di questa gloriosa avventura. Abbiamo cancellato le speranze sorte
nel 1945 dopo le stragi della Seconda guerra mondiale, distrutto in un colpo
solo le strutture di un diritto internazionale, le Nazioni Unite, l'Unione
europea, la Fao, il patto di Kyoto per la difesa dell'ambiente, siamo tornati
alla antica, naturale legge della giungla, dell'homo homini lupus, al divide et
impera, alla guerra continua. Abbiamo finalmente fatto una guerra come si
deve, in cui quelli con la pelle bianca mandano in prima linea quelli con la
pelle nera per sconfiggere i terroristi con la pelle marrone e per difendere da
quelli con la pelle gialla il paese americano, benedetto da Dio, che è stato
rubato a quelli con la pelle rossa, come si canta nel musical Hair. Nel giro di
una ventina di giorni abbiamo fatto di un miliardo e passa di musulmani,
dall'Atlantico all'Indonesia, un immenso serbatoio di odio contro l'Occidente;
chiunque con la pelle bianca si avventurerà nelle terre dell'Islam lo farà a suo
rischio e pericolo. Abbiamo riaffermato la legge del ricco sempre più ricco; il
paese benedetto da Dio, ricchissimo per doni naturali, sarà padrone anche del
bene naturale altrui, il petrolio. Non è giusto? Via, siamo realisti: l'Occidente
ricco deve pur poter disporre del settanta per cento delle risorse energetiche,
perché, come ha detto il presidente Bush, "il livello di vita degli Stati Uniti è
fuori discussione" e agli Stati Uniti aggiungiamo pure quelli del G7, gli stati
più industrializzati del pianeta. La Francia e la Germania non sono
d'accordo? Tranquilli, realisticamente anche loro arriveranno a una felice
intesa. L'impero è tornato a regnare sul mondo, diretto dagli uomini
dell'intelligence americana, dei dottor Stranamore come Dick Cheney,
definito da Henry Kissinger "l'uomo più cattivo che abbia mai conosciuto".
Alcuni ministri dell'attuale governo Bush sedevano nel consiglio di
amministrazione della Carly-le, una corporation che aveva fra i suoi soci la
famiglia di Osama bin Laden. Ma non c'è nulla di strano: nell'ultima guerra
mondiale la Fiat era proprietaria nel Congo di miniere di metalli che
servivano all'industria degli Stati Uniti, in guerra contro l'Italia. Ma la Fiat
continuò a rifornire gli americani che in cambio bombardarono la Torino di
piazza San Carlo ma risparmiarono gli stabilimenti Fiat partecipando a un
doppio anzi triplo gioco per cui il nazista Lammers, controllore della
produzione industriale nell'Italia occupata, evitava la deportazione degli
operai del senatore Agnelli. Il gruppo di comando della maggior potenza
mondiale è convinto che Dio stia dalla sua parte, dalla parte del Bene, e che
gli altri stiano dalla parte del Male. Chi sono gli altri, gli stati canaglia, gli
stati rogne, per dire cattivi, rozzi, barbari?
Sono quelli che decide il paese del Bene che a suo insindacabile
giudizio può dannarli come perdonarli, come sta facendo con l'impero o
l'Asse del Male, l'Unione Sovietica, ora in via di redenzione. Dite che questo
nuovo ordine è il solito in cui il più forte fa e disfa a suo piacimento? Ebbene
sì, ma questo fornisce la "pianta storta dell'umanità". Dunque realisticamente
attacchiamo il carro dove vuole il padrone e avviamoci tutti assieme verso
l'American Century, il secolo americano, anche se non sappiamo bene se i
nostri figli e nipoti ne vedranno la fine. Subito dopo la tragedia dell' 11
settembre 2001 la madre del presidente George Bush gli chiese: "Che
cosa possiamo fare per dare un aiuto all'America?". Lui rispose: "Compera,
compera, compera". Lo shopping è il motore dell'economia americana: gli
Stati Uniti hanno una popolazione che è il sette per cento di quella mondiale
ma consuma il trenta per cento delle risorse mondiali. Ogni americano
dispone di energia come sei messicani, trentotto indiani, cinquecento etiopi e
dagli anni settanta i consumi sono raddoppiati. A ricordare queste cose si
passa per comunisti o moralisti. Cecil Rhodes, il grande colonialista, diceva
agli inglesi: "Dobbiamo trovare nuove terre da cui ricavare facilmente
materie prime e una manodopera sottopagata". Adesso Bush dice agli
americani che bisogna combattere il terrorismo e portare la democrazia in
tutto il mondo, ma senza toccare il livello di vita americano.
Come? Il problema del nostro tempo è tutto qui. Un paradosso chiamato
impero Le cinque grandi potenze del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite, gli Stati Uniti, la Gran Breta-gna, la Francia, la Russia, la Cina sono le
più grandi fornitrici di armi per le trenta guerre in corso. Nazioni Unite ma
con cinque stati più uniti degli altri, garanti della pace ma pronti ad
alimentare la guerra. Assurdo, cinico, reale. E ci sembra la migliore delle
soluzioni possibili. La signora Gmelin, ministro della Germania federale, è
stata cacciata dal governo per aver paragonato il presidente degli Stati Uniti
Bush a Hitler, paragone scandaloso, inaccettabile a soli cin-quantotto anni
dalla caduta del Terzo Reich nazista e razzista. Ma un accostamento storico
può starci: il nascente impero americano riprende il progetto di un dominio
mondiale.
Progetto diversissimo, ma non meno segnato dalla fretta e dalle illusioni
della forza. Tra le ragioni della formazione di questo impero c'è quella
classica della frontiera, che viene dal controllo animalesco del territorio, da
difendere spostandola sempre più lontano. Due grandi imperatori, Augusto e
Carlo Magno, si resero conto della vana speranza, si fermarono a un limes,
dissero ai loro eredi di non superarlo, ma non furono ascoltati perché
l'angoscia del nemico non si placa e se un nemico non c'è lo si inventa.
L'America di Bush rivendica il diritto "ad attaccare le minacce nemiche
emergenti prima che si siano pienamente delineate" e "ad agire, se
necessario, da sola per l'autodifesa dal terrorismo". Una ideologia
"wilsoniana ma con gli stivali prussiani", una miscela ideologica al servizio
del più forte e di un'angoscia che continua, umana, molto umana ma 5
soprattutto tragica per i deboli che la subiscono. Gli imperi nascono
dall'angoscia della frontiera che si giustifica come necessità. Un loro cantore,
lo storico Gibbon, ha scritto: "Nel Secondo secolo dell'era cristiana l'Impero
romano comprendeva la parte più bella e più civile della Terra. Il valore,
l'antica disciplina, l'antica rinomanza difendevano le frontiere di questa vasta
monarchia". Gibbon sorvola su alcuni particolari: la ferma militare durava
vent'anni e milioni di schiavi lavoravano a bassissimo costo per i padroni.
L'impero era necessario per salvare il mondo civile dall'anarchia barbarica al
costo di milioni di servi? La necessità, ecco il concetto ripetuto da Kissinger:
"L'Europa deve resistere alla tentazione di distinguersi. Se distinguersi
significa essere in disaccordo con gli Stati Uniti, allora la civiltà occidentale è
sulla via della dissoluzione". Kissinger arriva dal Congresso di Vienna, dalla
Santa Alleanza, dalla torta Sacher. Ma in che cosa l'Europa di oggi vorrebbe
distinguersi? Tener fermo anche nel caos un diritto internazionale più forte
del mercato?
Questo è esattamente ciò che non piace a Kissinger: l'impero fondato
sulla forza e sul mercato, spiega, non può accettare controlli e
condizionamenti, riduzioni dei consumi e degli inquinamenti e meno che mai
una corte penale internazionale che potrebbe iscriverlo fra i criminali di
guerra ricordando le sue responsabilità nelle stragi del Vietnam, i
bombardamenti costati un milione di morti, o il genocidio dei papua-si di
Timor Est compiuto dagli indonesiani ma da lui autorizzato e le migliaia di
desaparecidos argentini ai tempi in cui veniva invitato dal generale Videla ai
campionati del mondo di calcio.
Come potrebbe un impero che ha di questi cadaveri negli armadi negare
l'impunità ai suoi dipendenti ed esecutori? La necessità di cui parlano
continuamente i dirigenti americani è la necessità di un mondo regolato dalla
forza che però non è esente dai ricatti della forza, dalla ribellione dei sudditi,
dalle resistenze alla Santa Alleanza, dalla catena senza fine delle opposte
violenze. "L'attacco preventivo," dice Kissinger, "è 6 connaturato con la
tecnologia del Ventunesimo secolo."
Questi ideologi dell'impero sanno dire autorevolmente delle
sconcertanti banalità. È evidente che ne ammazzi di più con il tritolo che con
le frecce, ma la possibilità tecnica di far strage la autorizza? Ciò che non è
normale è che un grande paese come gli Stati Uniti abbia come ministro degli
Esteri un militare come Colin Powell e che costui possa fare ammirato delle
dichiarazioni da militare come: "Con il cuore sono con le colombe, con la
ragione con i falchi. Il nostro paese viene criticato perché pretende di essere
più forte di chiunque altro.
Bene, questa non è necessariamente una cosa negativa.
L'America ha sempre usato la forza in maniera più saggia di altri".
Davvero? Impedendo sistematicamente ai popoli del Sudamerica di arrivare
alla democrazia? Creando le basi della ricchezza americana sullo schiavismo
e sul genocidio? La storia americana ha avuto il suo corso, le sue necessità,
ma dal prenderne atto al dichiarare che è stata una forza "saggia" ne corre.
Scrivere dei libri o fare dei film sul simpatico Theodore Roo-sevelt il
cacciatore di orsi può essere interessante, ma scambiare per pacifismo i suoi
interventi armati a Cuba o nel Marocco è una cosa diversa. La simpatia,
l'idealizzazione dell'America fatta nel Novecento dall'Europa povera che le
mandava i suoi emigranti non può nascondere un'evoluzione, un
cambiamento che ha portato gli Stati Uniti a credersi fonte del
diritto, creatori delle nuove regole o non regole internazionali e a
formulare una miscela assurda di messianesimo mondiale, pensiero unico,
liberismo anarcoide, riduzione di tutto al potere insindacabile del denaro che
il resto del mondo può accettare solo a patto di rinunciare a esistere, a
difendere le sue diversità, le sue culture. L'America può trasmetterci le sue
tecniche, non imporci i suoi incubi. Le sue tesi sulla guerra preventiva sono
assurde. Non ha senso dire che bisognava fare una guerra all'Iraq per liberarlo
dalla dittatura e riportarlo alla democrazia, perché questa non è una medicina
del mondo ma un atto di forza mosso da altri 7 interessi, altrimenti
bisognerebbe fare guerra a tutte le dittature che stanno, rispettate, nelle
Nazioni Unite. E non si può neppure presentare come un argomento razionale
la paura di armi di distruzione totale, quando si è alleati di paesi come il
Pakistan, l'India, Israele che queste armi notoriamente possiedono. Non è
piacevole vivere in una guerra continua contro i Breznev, Castro, Gheddafi,
Aidid, Saddam che oggi sono l'incarnazione del Male e domani, se si
adeguano, di nuovo frequentabili. La General Electric è la più grande
fabbrica di armi del mondo. Si può pretendere che ami la pace, che non
ritenga necessaria la guerra ai suoi profitti? No, non si può, ma nemmeno si
può considerarla benefica per l'ordine del mondo. Il Leitmotiv dei
ragionamenti imperiali è il fatto compiuto, il profitto assicurato. E ci
ricordano di continuo:
"Questo può piacere o non piacere ma è il dato di fatto". Che scoperta!
Anche i lager nazisti o sovietici erano un dato di fatto, ma rifiutarli e
combatterli fu un altro dato di fatto che contribuì alla loro disparizione. In
tutti gli scritti e i discorsi che si fanno per spiegare l'espansione americana e
la sua guerra continua c'è una brutalità ottusa e supponente che dà per certo,
perindiscutibile, che il ricorso alla forza sia la scelta migliore, necessaria. Ma
è davvero così? I genocidi degli aborigeni americani sono stati davvero utili e
necessari o la soluzione stolta di conquistadores ignoranti? Lo schiavismo è
stato davvero un motore dell'economia o la scelta facile dei più forti? Che
cosa c'è di nuovo, di positivo, di ammirevole nel neocolonialismo americano?
Vi si ripetono i difetti di quello ottocentesco: il patriottismo esportato in
condizioni di puro privilegio, da anteporre alla giustizia. Il primato delle
competenze che, appartenendo ai portatori di civiltà,
legittimano l'occupazione, la "tentazione cristiana" come la chiamava
Simone Weil, di identificare l'occupazione con la missione religiosa. "Ma
Gesù non ha mai detto," osservava la Weil, "che le navi da guerra dovessero
accompagnare i portatori della buona novella." "L'America," dice Timothy 8
Garton Ash, "ha troppo potere per il bene di chiunque compreso il proprio."
E perseguendo la guerra agli stati canaglia può diventare il "gigante canaglia"
del secolo che si apre. Il realismo dell'impero che nasce si riduce quasi
sempre al suo tornaconto, i suoi rimproveri agli europei per "una mal riposta
fiducia nella perfettibilità del genere umano" si
traducono in una malissimo riposta fiducia nella forza che non risolve
niente e semina dolori. "L'America," dice Robert Kagan, "non è cambiata
dall'11 settembre di Manhattan, è solo diventata più simile a se stessa." Cioè
convinta del suo destino grandioso, del suo "impero della libertà" come lo
chiamava Jefferson "o della sua 'nobile carriera'" come aggiungeva Hamilton.
Gli ideologi dell'impero continuano a chiamare 16
idealismo, e mal riposta fiducia, ciò che è il più naturale desiderio non
diciamo della perfezione della specie, ma della sua decenza, che come ha
smesso di essere cannibale, di mangiare il cuore del nemico, di credere nei
feticci, così comincia a pensare alla guerra come a un incubo del passato, un
tabù che deve scomparire. La nuova strategia americana basata sulla forza
non è nuova ma di un vecchio superato, è dannosa anche per i giovani che
pure sono nell'età della forza e della crescita. Questo è il senso nuovo delle
manifestazioni pacifiste, un distacco culturale più che politico dai miti e dalle
ideologie della forza. È una pessima stagione questa per gli informatori, per i
giornalisti. La loro antica funzione di
"normalizzare l'inconcepibile" è sempre più difficile. Come
normalizzare l'idea di vincere il terrorismo con il super-terrorismo? Come
affidare al terrorismo le lezioni controproducenti del terrore? "La grande
idea, il grande stratagemma dei 'falchi'," dice Chomsky, "è di far paura alla
gente, di tenere la gente in continuo allarme." Non è una grande idea?
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2. Dio è con noi
Dio americano "Dio è con noi" dice il presidente Bush. Quale dio? Il
dio degli eserciti di Israele? Il padreterno dei cristiani, lo storicista dei
marxisti, la provvidenza pagana dei nazisti, il dio tellurico della New age?
No, è il Dio americano,
incorporato in ogni americano, che lo segue nelle sue conquiste e nei
suoi affari. Presente dalla nascita, alla morte indispensabile: un americano
senza Dio non è concepibile, ottantaquattro americani su cento sono cristiani,
novantacinque contando le altre professioni religiose. Non sappiamo se
George Bush sia un estimatore di Ildebrando di Soana, papa Gregorio vii, ma
la sua concezione del potere è simile: omnis auctoritas a Deo. Investito da
Dio al servizio del Bene su questa Terra. I due Bush, padre e figlio,
appartengono all'integralismo cristiano che si suddivide fra trentasette chiese
o sètte, pronte però a ricomporsi sotto la bandiera a stelle e strisce. Diceva
Bush padre ai tempi della Guerra del Golfo:
"Non ho alcun dubbio sulla decisione che ho preso. È la scelta del Bene
contro il Male". E suo figlio George: "Io mi faccio un'opinione per scegliere
fra il Bene e il Male, Cristo mi guida e mi ha salvato parecchie volte, la
preghiera è il mio rifugio.
Ho fiducia nella mia opinione". E siccome è un'opinione che ha alle
spalle trentadue sommergibili nucleari Trident capaci di distruggere il mondo
alla prima bordata, è un'opinione a dir poco autorevole. Omnis auctoritas a
Deo. Il giovane Bush la spiega così: "Sono buono di cuore ma non ho paura
di prendere delle decisioni. Traggo forza dalla preghiera". E il suo ministro
della Giustizia Ashcroft della Chiesa battista:
"Confido pienamente in Dio". Che lo ha premiato con i
duecento-quarantottomila dollari della Enron (commercio
dell'energia) per la campagna elettorale. Spesso in televisione o sui
giornali si vedono i governanti in preghiera, il volto coperto dalle mani. Un
presidente americano dichiaratamente ateo è impensabile. Perché gli
americani sono così religiosi e 10 con un Dio così incorporato che li segue
in tutte le faccende della vita, anche le più banali come la regolazione del
traffico?
"Se ami Gesù suona il clacson." "Prima di agire chiediti: Cristo
l'avrebbe fatto?" Nella vecchia Europa, madre di tutti gli dèi, si ha un certo
pudore a mescolare Dio con la politica, con gli affari; nel progetto di
Costituzione europea Dio è citato marginalmente. Perché invece gli
americani convivono con Dio in modo così totale? Per il bisogno di
appartenenza, di una sacralizzazione dell'unione fra i diversi? Per
contrappeso a una società nata e cresciuta nella competizione senza tregua,
per consacrare il successo dei più forti? La ricchezza per l'americano non è
farina del diavolo ma un premio divino, la povertà una punizione, i ricchi lo
sono perché meritevoli, i poveri perché fannulloni e viziosi. L'eguaglianza
perseguita o sognata nel Vecchio mondo attraverso le utopie e le rivoluzioni è
quasi assente e la comune fede in Dio serve a tenere insieme i forti egoismi e
le forti aspirazioni alla felicità, una miscela che va bene a una democrazia
conquistatrice. George Bush fa di questa miscela una teologia del comando.
"È facile," dice, "parlare di guerra, ma esiste una sola persona che ha la
responsabilità della guerra, e quella persona sono io. Voglio chiarire prima di
tutto che
un presidente deve essere circondato da brave persone e io lo sono.
Persone sincere, se mi disapprovano voglio che lo dicano, li incito
discretamente alla discussione. Ma un presidente è uno che deve decidere e io
quando ho ricevuto l'input lo faccio senza timori." E chi gli dà l'input? Gesù
Cristo. A chi gli chiede chi sia il suo filosofo preferito risponde: "Gesù
Cristo, perché ha cambiato il mio cuore. Con lui ho trovato la fede, ho trovato
Dio. Sono qui grazie al potere della preghiera, la devozione a Cristo è parte
integrante della mia vita". È stato Cristo a salvarlo dai problemi di alcolismo,
il Cristo provvidenziale e custode. Dio anche come ghost writer. Lincoln
parafrasava nei suoi discorsi interi brani della Bibbia, il negoziante Tru-man
si ispirava ai profeti: "Ho la certezza che Dio ci abbia cresciuti all'attuale 11
posizione di potere per qualche suo grande fine". Il Dio americano ama
fortemente gli americani, li autorizza a uccidere come a mentire. Dice il
moderato Colin Powell: "Sono orgoglioso di quanto abbiamo fatto in
Afghanistan. C'è un nuovo governo, realmente rappresentativo. Vediamo
nuove scuole, nuovi ospedali. Abbiamo là diecimila soldati". Colin Powell
mente: il governo afghano non è per nulla rappresentativo, deve comperare i
consensi tribali con i dollari degli occupanti, le vie della capitale quando cala
la notte appartengono ai briganti o ai ribelli, le donne indossano sempre il
burka e sono sempre prive di diritti: nelle province ogni giorno ci sono
Description:Grazie a un’inedita mistura di fondamentalismo religioso e fondamentalismoeconomico, la superpotenza globale di Bush procede, tra lo stupore dell’Europae del mondo, ad attuare il suo disegno di conquista economica e controllomilitare. Ma lo stupore, argomenta Bocca, non ha ragion d’essere: il