Table Of ContentAquilino
Monologhi di vizi e virtù
VIRTÙ CARDINALI: fortezza prudenza temperanza giustizia
VIRTÙ TEOLOGALI: fede speranza carità
VIZI CAPITALI: superbia accidia lussuria ira gola invidia avarizia
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VIRTÙ CARDINALI
Della temperanza presidenziale
In questo giorno che è l’alba di una nuova epoca di pace, dichiaro guerra al male, al
fumo e ai comportamenti sessuali contronatura.
A scanso di equivoci, e per evitare le polemiche degli estremisti di minoranza, è tutto
scritto qui, nero su bianco. Io non m’invento mai niente e questo lo dico per sbugiardare
i detrattori.
Sappiano, gli imbrattagiornali, che io svolgo bene il mio lavoro e che quello che mi
dicono di fare lo faccio senza esitazioni, anche quando non ho proprio voglia di tenere
la conferenza stampa e perfino quando non capisco quello che leggo. Io non sono
presidente per caso! Se io sono da questa parte e voi da quell’altra, un motivo c’è.
Anzitutto, io leggo in modo autorevole. Ci sono voluti anni di studio per raggiungere
questi risultati. Avevo problemi con le doppie e li ho superati, saltavo le righe e ora non
mi sfugge un apostrofo.
Ma quello che fa la differenza è la postura.
Gambe divaricate a formare un triangolo la cui altezza sia tre virgola due volte la base;
piedi con le punte quel tanto in fuori da richiamare un’immagine di statuaria classica;
aderenza solida e agile con il suolo; figura eretta e però non rigida; busto proteso in
avanti, ma non sfrontato; testa dritta e sguardo fiero a centottanta gradi; braccia appena
discoste dal corpo, pronte a scattare in un saluto militare o in una stretta di mano virile;
tre rughe sottili tra le sopracciglia; labbra con piega dolceamara, svelte al sorriso;
muscoli delle mascelle guizzanti; capelli sempre in piega eppure cedevoli alla brezza; e
dulcis in fundo il pacco, ma non eccessivo come i gay, solo quel tanto che susciti più un
sospiro di approvazione che un ansito di desiderio (noi presidenti non vogliamo essere
volgari, noi siamo maschi nazionali, genuini e tradizionalisti).
La mia postura esprime un forte senso di protezione e di rassicurazione. Ti sussurra: un
problema? Vieni da me e lo risolviamo insieme, e per di più gratis. Quando la crisi è
nazionale, la mia postura fa perfino i saldi.
Ora statemi attenti, voi che scribacchiate chissà che porcate e che all’uscita dovete
consegnare block notes e registratori per un controllo informale di antiterrorismo.
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Le domande dopo, ma non so se ci sarà tempo.
Se ora sposto il peso del corpo leggermente a sinistra, sapete che cosa succede? Che il
pianeta ha un sussulto. Perché io sono, senza falsa modestia, un gigante della storia. Il
peso massimo del ring mondiale della politica. Sono il faro della navigazione
interministeriale. L’ultima parola in ogni conflitto, in ogni transazione economica, in
ogni ricostruzione. Così c’è scritto nelle note biografiche. Io non faccio che prenderne
atto.
Credete che mi monti la testa?
Lo scrivete sui vostri giornali bugiardi, ma in verità in verità vi dico che io sono rimasto
l’uomo semplice che ero prima di diventare miliardario in tenera età e potenza politica
devastante nella maturità.
Un uomo semplice, non un ingenuo o un briccone, come avete scritto voi bugiardi. Il
primo dovere di un uomo politico del mio peso è di non dare peso al proprio ruolo di
uomo politico; ed è proprio quello che faccio. Scoppiano crisi spaventose? Io mi rifugio
nella residenza estiva, anche d’inverno.
Che altro posso fare? Intralciare l’attività dei miei collaboratori? Sono pagati apposta
per risolvere i problemi. Io, invece, sono pagato per dire al popolo che i problemi si
stanno risolvendo. Non sono il tipo che sgomita. Mi limito a fare quello che è mio
dovere fare per il bene della nazione, che spesso coincide con un fare niente
responsabile. Il troppo stroppia. Non so che cosa significhi, ma è una verità: il troppo
stroppia.
Io devo andare sempre diritto per la mia strada. Se cambio rotta, nel mondo succede uno
sconquasso. Ma se vado dritto, se non guardo né a destra né a sinistra e soprattutto se
non muovo un dito, tutto va nel migliore dei modi.
Ecco che cosa intendo per peso politico. L’ago della bilancia. Tengo le mani poggiate su
entrambi i piatti e posso fare pressione qui… oppure fare pressione qua… e tutto
cambia per un verso o per l’altro; o tutto resta uguale, se me ne sto buono buono a
guardarmi un film sulla pay tv. E in questo consiste la maturità.
A volte penso: con un solo starnuto posso far cadere un governo. Ecco perché ogni volta
che ho un po’ di raffreddore mi sento inquieto.
Scrivetelo, questo, scrivetelo, che se io non fossi così temperante, la geografia politica
somiglierebbe a uno scarabocchio.
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VIRTÙ CARDINALI
Della fortezza patriottica
Molti bambini non hanno avuto un papà, e di questi figli di enne enne sono piene le
galere. Ma quelli che non hanno una madre? Bambini senza la mamma, ve lo dico io.
Bambini delle famiglie arcobaleno: gialle e nere, rosse e cioccolata. Coppie aperte,
divorziate, possedute e perverse. Coppie laiche e senza civiltà. Sono quelli che non
pagano l’affitto; e chi riesce a buttarli fuori di casa, con i politici anticristiani che li
proteggono?
Adesso non voglio fare il sentimentale, ma ci sono cose… Cose come la mamma.
La mamma è il faro dell’infanzia. Senza di lei, il naufragio. E se ve lo dico io… Non le
vediamo tutti i giorni le barche naufragate sulle nostre coste? Dove s’è imboscata la
mamma dei minorenni che bivaccano ai semafori e allungano le mani per rubare la
borsa della signora intenerita e poco furba che abbassa il finestrino? Come può una
mamma abbandonare un figlio con tanta indifferenza? Mamme senza cuore.
Ce ne sono dappertutto. Anche qui, mescolate alla gente perbene. E di questo sono
sicuro, io non sono un approssimativo. Guardatele in faccia. Sono facce di mamma,
quelle? Sono facce di vagabonde che non esitano a fare mercimonio del proprio corpo.
E quelli che vanno con loro, che schifo, ma chi sono? La gente perbene come me e
come voi non la si vede la sera tardi sulle macchine di lusso lungo i viali del vizio. La
gente perbene se ne sta a casa a giocare a tombola con i figli.
Sapete che cosa vi dico? Che milioni di donne seguono i figli oltremare all’assalto delle
nostre città. E dopo? Dopo le vediamo fuori dei centri commerciali che si passano i
neonati per impietosire la gente e farsi dare una monetina. Ma che fine fanno i neonati?
Dopo che li hanno usati, li buttano nei container dell’immondizia. Se ne trovano tutti i
giorni. Gli ospedali sono pieni di neonati ripescati dalla spazzatura. Per tutta la vita se
ne portano addosso l’odore. E quelle sono mamme?
Non hanno le qualità che hanno permesso a gente come noi di uscire vittoriosi da tutte
le guerre, anche da quelle che dicono che abbiamo perso. Noi resistiamo alle avversità:
carestie, inondazioni, terremoti, crisi di governo, invasioni, epidemie, influenze cinesi e
frodi alimentari a noi ci fanno un baffo.
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Grazie alle nostre mamme.
Noi siamo e saremo sempre quelli del dopoguerra, che da soli si sono ricostruiti e hanno
pranzato con una fetta di polenta e una di salame trasparente e si sono costruiti la casa
con le proprie mani e hanno messo da parte i soldi per aprire una fabbrica di duemila
operai.
Fortezza, ecco la nostra virtù!
Forti come tori.
Se ci mettono noi, nelle corride, non restano più toreri in circolazione.
E perché siamo forti? Ve lo dico io il perché. Perché la mamma non ci ha mica
abbandonati e non ci ha mica mandati a chiedere l’elemosina e a rubare nei
supermercati, la nostra mamma. All’oratorio, ci mandava. E a scuola anche se avevamo
la febbre. E noi alla maestra abbiamo sempre risposto con educazione, se no li sentivi
gli sganassoni. E facevamo i compiti, noi. Magari non tutti, perché non è che ci piaceva
stare sui libri, eravamo più di quelli che le cose le fanno, non di quelli che le pensano.
Però li facevamo, i compiti. Non andavamo mica in giro a spacciare la cocaina, come
fanno adesso appena che sanno camminare. Nascondono la droga nei pannolini, e i
piccoli bastardi quando li beccano strillano: non puoi arrestarmi, non ho ancora messo i
denti!
Ma credete forse che le nostre mamme ci hanno allevati nella bambagia? Le nostre
mamme avevano le mani callose e quando facevano a botte con il papà vincevano loro,
altro che smancerie
Mamme smidollate, quelle di adesso. La vuoi la merendina con la crema di latte,
amore?
Vanno al supermercato e lasciano fare la spesa ai figli. Noi mamme così non le
vogliamo. Le nostre mamme hanno le palle. Ecco dove sta la nostra parità dei sessi.
Nelle palle. Tutto il resto è perversione.
Sapete che cosa vi dico? E non lo dico tanto per dire. Su queste cose non si scherza,
chiaro? Non si scherza.
Dopo la mamma viene la patria.
Di mamma ce n’è una sola e di patria anche, ricordiamolo. E a chi se lo dimentica
mettiamogli una pietra al collo e giù dal ponte, come ai bei tempi.
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VIRTÙ CARDINALI
Della prudenza salvifica
Non so se ho fatto bene a venire qui, lo bisbiglio in confidenza per non offendere
nessuno. Nei luoghi pubblici finisce che prima o poi scoppia una bomba e ci vuole
fortuna per venirne fuori vivi. Io dico che la prudenza è meglio della fortuna.
La mia povera mamma diceva che sono nata fifona e che sarei stata fifona per tutta la
vita. Mi raccontava che dopo i nove mesi di gravidanza non volevo nemmeno nascere,
tanta era la paura di vedere il mondo.
Ha rischiato di morire, la mia povera mamma. Mi gridava: vieni fuori! vieni fuori! Mi
ha sempre odiata perché non volevo nascere, ma io che colpe avevo? Non ero nemmeno
nata! Era sempre nervosa, la mia mamma.
Rosalinda, ma possibile che tutte le paure del mondo ce le hai tu?
Non sono paure, mamma, è prudenza.
Buttati, una buona volta, lasciati andare e goditi la vita.
Infatti, ho visto com’è finita lei.
Si è buttata. Si è lasciata andare e si è goduta la vita per sette secondi esatti, quanto è
durato l’orgasmo che l’ha messa incinta. Subito dopo s’è lasciato andare anche lui, il
mio papà. Se n’è andato a Londra a fare il pizzaiolo. La mia mamma, invece, ha fatto la
ragazza madre senza un soldo in tasca.
Capito che cosa capita a lasciarsi andare?
Se la mia povera mamma avesse avuto un briciolo di prudenza…
Da lei ho imparato una cosa: agli uomini non devi dargli nemmeno un’occhiata; basta
quella per farti ingravidare e poi abbandonare.
Nella vita bisogna cercare il vero amore e il vero amore non lo trovi in una discoteca
dove sono tutti sballati e ti fanno gli occhi dolci per sbatterti nei bagni uno davanti e uno
dietro, i maiali, e se fai resistenza ti picchiano.
Le leggo io le cose che succedono! Leggo i giornali, io! E vedo anche la televisione.
Tutte quelle trasmissioni che fanno vedere le ragazze scomparse, le mogli ammazzate
dal marito, le suocere fatte a pezzi, i nonni bruciati vivi…
Non sono una che parla tanto per parlare. Io mi documento.
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Ve lo bisbiglio per non sembrare sfacciata. Le ragazze che si fidano del primo che
incontrano proprio non le capisco. Non sanno che poi si ritrovano dentro un furgone?
Legate, imbavagliate e con un coltello conficcato nelle parti intime?
Io non sono mai stata in una discoteca. Non sono mica una scriteriata. C’è la droga
anche nell’aria che respiri. La musica ti fa diventare sorda. Se vai in bagno, ti prendi
una malattia venerea. Se bevi qualcosa, ti becchi l’aids. Lo bisbiglio, se no magari mi
querelano.
E per finire, ti violentano in branco. Dicono che le ragazze non le fanno nemmeno
pagare. Certo, pagano in natura.
Io me ne sto a casa mia a guardare la televisione.
Chiudo la porta di casa e mi sento tranquilla.
La serata passa in fretta. Solo a chiudere la porta ci metto quindici minuti. Con le
serrature e i chiavistelli mi sono impratichita, ma sono i tre sistemi d’allarme che
richiedono calma e concentrazione. Ogni volta devo rileggere i manuali perché se no
rischio di non potere più uscire e sarebbe imbarazzante chiamare i pompieri per
scassinare la porta di casa mia con me chiusa dentro.
Se qualcuno suona il campanello dopo le otto di sera, io nemmeno ci faccio caso e dopo
le nove il campanello non funziona nemmeno più. Tempo fa, aprivo dopo che mi ero
fatta consegnare la carta d’identità sotto la porta, ma poi ho deciso che la prudenza non
è mai troppa e così ho detto basta alle visite serali.
Mi spiace per il signor Bruno, il mio vicino. È venuto a chiamarmi per usare il telefono
perché il suo era guasto e aveva il cellulare scarico e così sua moglie è morta d’infarto e
adesso lui non mi saluta più. Non ha mai avuto un buon carattere.
Lei, poi, andava ancora a sciare alla sua età, e così le è venuto l’infarto.
Prudenza, ci vuole.
Di loro, però, so almeno chi sono, da dove vengono e dove lavorano. Ma ogni tanto
arriva gente nel mio condominio che già dal nome è poco rassicurante.
Io, se un nome non riesco a pronunciarlo, non sono tranquilla. Che bisogno ha, uno, di
farsi chiamare con un nome che non si riesce a pronunciare? Che cosa vuole
nascondere?
Arriva gente da chissà dove e non tutti hanno una bella faccia. Ci sono quelli che mi
salutano con un sorriso e io so che non basta un sorriso per rendere una persona fidata.
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VIRTÙ CARDINALI
Della giustizia classista
Forse la mia voce di tanto in tanto cederà. Forse io stesso cederò. Le violenze morali a
cui sono stato sottoposto, le umiliazioni e le offese che non mi sono state risparmiate…
potete ben immaginare quale effetto hanno avuto sul mio animo, abituato come sono a
rapporti civili e rispettosi.
Trattato peggio che se avessi compiuto un atto terroristico, io che aborrisco la violenza.
I polsi arrossati e scorticati testimoniano la brutalità di cui sono vittima. Le manette, mi
hanno messo! Hanno fatto di me un martire. La patria? Ah, ma quale patria! Uno stato
di polizia.
Presidente, ci sono sette poliziotti in borghese con l’ordine di arrestarla.
Io sorrido, scuoto il capo. Ci siete cascati. Quelli sono attori. Non capite che siamo in
diretta? Che è uno scherzo televisivo?
Sorrido anche ai finti poliziotti.
Venite avanti, accomodatevi, che cosa gradite, un aperitivo?
Nemmeno mi rispondono. Mi circondano, per assicurarsi che non scappi. Ma diamo i
numeri? Io scappare? Mi viene da ridere e gli faccio i complimenti per l’interpretazione
efficace. Uno dei sette estrae un foglio e me lo mette sotto il naso. In modo brusco, devo
dire. Invito con un cenno i segretari a leggerlo, ma i poliziotti pretendono che lo legga
io. Io non leggo mai la corrispondenza, ci pensano i segretari. Ho cose più importanti da
fare, io, che leggere la corrispondenza. Sto al gioco e do una scorsa al foglio.
E bravi, e così siete venuti per portarmi in prigione.
Annuiscono e basta, inespressivi. Sono un poco inquietanti, lo riconosco, ma è solo
perché si sono proprio immedesimati. Attori di classe. Mica mandano dei guitti da
avanspettacolo, da uno come me.
Uno di loro mi infila le manette.
Approfitta del fatto che sono distratto e sto raccontando una barzelletta perché voglio
che il pubblico, quando trasmettono lo scherzo, pensi che non mi sono fatto ingannare e
che la situazione la gestisco comunque io.
Ragazzi, sono troppo strette, mi fanno male.
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Non fanno una piega.
Mi stupisco del loro atteggiamento. Non stanno esagerando? Mi prefiggo di mandare un
reclamo al direttore di rete. Anzi, gente come questa bisogna licenziarla subito. Ma
come si permettono di ignorarmi? Questi qua hanno chiuso con la televisione.
Mi fanno male i polsi. Glielo bisbiglio piuttosto seccato.
Mi spingono verso l’uscita, a spintoni.
Ma diamo i numeri? Ma siamo matti? Mettere le mani addosso a me!
Ragazzi, non datemi i pugni nei fianchi, mi fa male. Non datemi i pugni!
Mi sforzo di sorridere alle persone allibite che fanno ala. Gli rivolgo una smorfia come
per dire: che posso farci, bisogna stare al gioco, portare pazienza, se no si rovina la
diretta… e intanto penso a quali battute spiritose posso dire per fare bella figura.
Eh, stavolta mi hanno beccato!
Nessuno ride.
Ormai, la voce che è una sceneggiata si è diffusa. Invece di farmi da spalla, se ne stanno
lì come allocchi, e qualcuno corre via chissà dove. Che cosa li pago per fare? Non
capiscono niente. Appena torno, faccio un repulisti.
Prendo mentalmente nota di chi licenzio. Questo, quello, quell’altra…
Fino a prova contraria, il padrone sono sempre io.
Fendiamo la ressa dei fotografi. Centinaia di fotografie. I giornalisti allungano il
registratore con il rischio di sbattermelo sul naso e gridano cose che non capisco
nemmeno.
Insomma, non spingete, vi ho detto!
Mi mandano avanti a spintoni, senza riguardi. Gli imbecilli si immedesimano troppo
nella parte. I due che ho ai lati mi stritolano le braccia. Quello dietro mi prende a
gomitate e un altro mi spinge in giù la testa con una mano grossa quanto un badile.
Insomma! Quando è troppo è troppo! Mi state facendo male! Fermate le riprese! La
trasmissione finisce qui!
Quale trasmissione?
Un giornalista demente che non ha ancora capito niente si mette a strillare: quale
trasmissione? quale trasmissione? Frastornato dai flash, dalle grida, dalle domande
insensate che mi sparano a raffica, mi rifiuto con energia di entrare nell’automobile.
Se non la smettete, vi faccio licenziare tutti e sette!
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VIRTÙ TEOLOGALI
Della fede telefonica
E il Padre mi disse: in te, figlio, confido, con te si realizza il piano cosmico delle
comunicazioni, da te viene la salvezza dalla solitudine, attraverso te la parola giunge a
ovunque nei termini contrattuali e solo se c’è campo.
Così disse il Padre, il telefono universale.
Io fui esterrefatto e spaventato a morte, perché non ero che un tascabile dal design
accattivante e non mi sembrava di possedere la potenza che il Padre mi attribuiva.
E il Padre disse ancora: tu, figlio prediletto, appari come un oggetto tra gli oggetti, e
molti dileggiano le tue proporzioni e pensano di poter fare a meno di te e qualcuno
anche ti odia, ma tu ti fai possedere da tutti, sia da quelli che ti amano sia da quelli che
ti odiano.
Padre, io sono debole! Non so se ce la faccio!
E il Padre aggiunse: tu sei dotato di fotocamera integrata; tu puoi catturare video clip;
hai la memoria integrata espandibile; messaggistica multimediale, e-mail con allegati,
foto e file musicali; suonerie polifoniche e radio; vivavoce e giochi, registratore e
chiamate a riconoscimento vocale.
Io sono tutto questo?
E il Padre rispose: questo e altro, perché tu sei colui che trasmette e riceve e non c’è
altro cellulare al di fuori di te.
Padre, non so se ne sono degno.
E il Padre si arrabbiò: tu fai quello che ti dico di fare e senza discutere, chiaro?
Sì, Padre.
E il Padre si rabbonì: ora carica le batterie e va’, figlio, e non dimenticare mai di
caricarti ogni sera prima di andare a letto, così è scritto e così sarà.
Ma tu, Padre, mi lascerai solo? Come farò senza di te?
E il Padre mi tranquillizzò: ovunque e in qualunque momento puoi mandarmi un sms
all’indirizzo in rubrica.
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