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i Robinson / Letture
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Di Anna Bravo
nelle nostre edizioni:
In guerra senza armi.
Storie di donne 1940-1945
(con A.M. Bruzzone)
Storia sociale delle donne
nell’Italia contemporanea
(con M. Pelaja, A. Pescarolo, L. Scaraffia)
A cura di Anna Bravo
nelle nostre edizioni:
Donne e uomini
nelle guerre mondiali
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Anna Bravo
A colpi
di cuore
Storie del sessantotto
Editori Laterza
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© 2008, Gius. Laterza & Figli
Prima edizione 2008
Proprietà letteraria riservata
Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari
Finito di stampare nel marzo 2008
SEDIT- Bari (Italy)
per conto della
Gius. Laterza & Figli Spa
ISBN 978-88-420-8588-1
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A colpi di cuore
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Introduzione
Dopo 40 anni
Per Jerry Rubin, leader del movimento americano contro la
guerra in Vietnam, chi diceva di avere ricordi precisi di quegli
anni probabilmente non li aveva vissuti. Visione un po’ roman-
tica e un po’ vera. La memoria è molto spesso puntiforme, mo-
stra vuoti, slabbrature, cronologie incerte. È l’effetto del flusso
di emozioni (solo per alcuni di natura psichedelica) che avvol-
geva l’esperienza, di un modo di vivere appiattito su un eterno
presente, della sensazione che il tempo fosse insieme incalzante
e infinito. Forse eleggere vuoti e flash a sigla dell’esserci stato è
anche la spia di una concezione patrimoniale della storia. «Io
c’ero», e proprio per questo non ho un catalogo ordinato di ri-
cordi, tu puoi costruire il repertorio più minuzioso, ma non ti
basterà a scoprirne lo spirito – il che riproduce il luogo comune
dell’indicibilità dell’esperienza, fino a mettere in dubbio che sia
possibile fare storia di quel che non è vissuto, l’intero passato,
salvo il proprio coriandolo di tempo.
Atteggiamento proprietario o meno, la stagione dei movi-
menti (sessantotto, femminismo, nuova sinistra) ha trovato una
quantità di cronisti, studiosi, commentatori, e a volte si direbbe
sia più incombente per chi l’ha osservata o è venuto dopo che
per chi l’ha vissuta dall’interno. Si nota nella concitazione di
qualche saggio o pamphlet, ma soprattutto in certi giudizi
estemporanei sparsi in articoli e interviste dedicate a tutt’altro.
Il modo in cui si parla di quegli anni equivale quasi a una di-
chiarazione di schieramento, a volte addirittura a un punto pro-
grammatico, il «facciamola finita con i sessantottini» di Nicolas
Sarkozy. Dopo 40 anni!
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Succede in parte per l’uso pubblico che in alcuni paesi si è
fatto e si fa del sessantotto – qui e in seguito mi servo di questo
termine, o della formula «anni ’68», per indicare l’intero ciclo1.
Succede anche perché nell’opinione comune ne resta un’imma-
gine vaga ma forte, la sensazione che in quegli anni sia successo
qualcosa di importante, di molto negativo o molto positivo.
A un estremo, il sessantotto è rovina della famiglia e della
scuola, disordine sessuale, sgraziatissimo rock, violenza, droga.
Oppure – le polarizzazioni sono più di una – Grande Inganno
iniziato con la mascherata antiautoritaria, proseguito con un
nuovo marx-stalinismo, e infine rientrato in grembo alla bor-
ghesia di origine. Da dove gli ex, nostalgici mal invecchiati, so-
no ripartiti per insediarsi nei centri del potere, soprattutto me-
diatico.
All’estremo opposto, c’è il sessantotto come lotta contro au-
torità senza autorevolezza, amore per i più deboli, trasforma-
zione delle culture, bella musica, spinelli. Ma anche come ven-
tata di libertà, sconfitta, oltre che dalla politica «tradizionale»,
dal proprio stesso imbarbarimento. Qui gli ex sono brava gente
sensibile alle ingiustizie, che cerca di fare quel che può per con-
trastarle. Gente che in maggioranza insegna o ha insegnato in
tutti gli ordini di scuole, e che sembra eterna principalmente
perché è entrata tardi nel mercato del lavoro dopo 10 anni di mi-
litanza a tempo pieno – un dato di fatto raramente citato.
Il secondo polo è più sfrangiato, comprende chi cerca di
guardare a quegli anni da angolature diverse, incluse quelle
oscure e misere – solo alcune, però. Il primo mi sembra più com-
patto e irremovibile. Ma un punto comune c’è: tutti trovano che
la polarizzazione sia sbilanciatissima a proprio sfavore, tutti si
sentono un’isoletta assediata dal mare del conformismo. Come
se il destino si fosse divertito a sistemarli uno per uno nel posto
sbagliato.
Il sessantotto è diventato un simbolo, e nei simboli ci si cul-
la, indipendentemente dal loro contenuto. I fatti finiscono per
contare poco.
O niente? In Italia ci si accanisce da trent’anni contro la leg-
ge per la chiusura dei manicomi e per la creazione di comunità
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sul territorio (troppo poche, il che contribuisce all’ostilità). Si
dimentica cos’era l’istituzione totale2, si dipinge la «nuova psi-
chiatria» come una esperienza generosa ma ideologica, si accu-
sa Basaglia di aver visto nella malattia esclusivamente il prodot-
to della sofferenza familiare e sociale, dimenticando le sue com-
ponenti fisiologiche. Falso per omissione. Non solo non le ne-
gava, ma se necessario impiegava gli psicofarmaci, per lenire il
male con ogni strumento disponibile. Come facevano anche gli
psichiatri inglesi e americani. Niente chiusura dei manicomi e
apertura verso l’esterno senza quell’aiuto chimico – che fra l’al-
tro strideva con la diffidenza di allora verso i farmaci e con le il-
lusioni sul potere salvifico della parola. Del resto Basaglia e al-
tri medici lavoravano contro la segregazione già prima del ses-
santotto. Realtà guastafeste.
Guastafeste anche in altri casi, per esempio i comportamen-
ti sessuali, dove i movimenti non hanno aggiunto molto alle idee
e pratiche diffuse fra le avanguardie artistiche e intellettuali del
’900 – coppie aperte, vagabondaggio erotico, rapporti plurimi e
plurisessuali. Ma le hanno estese a minoranze ampie, visibilissi-
me, intrecciate alle maggioranze. Scandalo e consensi nasceva-
no da questa caratteristica più che dalla radicalità: una cosa so-
no Sartre e de Beauvoir che al Café de Flore teorizzano sugli
amori essenziali o contingenti, altra cosa è l’anomalia nel corti-
le di casa. L’immagine di dissipazione sovrapposta al sessantot-
to è povera quanto il suo contrario, che racconta di amori lievi
e felici – ma lo fa sempre più stancamente, perché il femmini-
smo e il tempo hanno lavorato nella testa delle persone. Molti
hanno capito che c’erano aspetti del passato da cui si potevano
elaborare buone idee – alcune e alcuni lo dicevano già allora, e
di rado sono le stesse persone che oggi scagliano la prima, la se-
conda e l’ennesima pietra.
In ogni caso, su questo piano il sessantotto non era così nuo-
vo e neppure così pervasivo da cambiare il mondo con le sue so-
le forze. Come hanno scritto Flores e De Bernardi, far risalire
cambiamenti epocali all’azione di un gruppo sociale composito,
esteso ma largamente minoritario, «significa avere una idea ben
semplicistica, a dir poco, del divenire storico», accompagnata
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