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L'effigie di Massimiliano I d'Absburgo, al diritto del tallero
così detto « del matrimonio ".
Massimiliano figlio dell'imperatore Federico III, era nato
a Wiener Neustadt il 22 marzo 1459 e nel 1477 sposava
Maria, duchessa di Borgogna, sovrana dei Paesi Bassi
riuniti, fondando così il grande dominio europeo degli
Absburgo. Fu questo, un matrimonio veramente felice tanto
che Massimiliano ebbe a scrivere la nota, accorata frase
«Se potessimo vivere in pace, la vita sarebbe per noi un
giardino di rose ", ma il destino volle che quell'unione fosse
anche di breve durata poichè soltanto cinque anni dopo
Maria morì.
A quel triste evento seguirono, per Massimiliano, altri cin
que anni di durissime lotte con gli indomiti Belgi, con la
Francia di Luigi XI e con la Germania: egli, però, malgrado
tutto, riuscì a farsi incoronare ad Aquisgrana, nel 1486,
re dei Romani, mentre continuavano i conflitti nelle Fian
dre (nel 1488 egli cadeva in mano dei cittadini di Bruges)
in Austria e in Ungheria. Massimiliano riusciva a risolvere
vantaggiosamente quelle lotte e, succedendo a suo cugino
Sigismondo nel possesso dei territori austriaci dell'ovest,
poteva riunire fra l'altro nella sua persona tutto il dominio
della Casa d'Absburgo.
Nel 1493, con la morte del padre, Massimiliano poté re
gnare da solo e, impalmando nello stesso anno Bianca Ma
ria Sforza, poteva mettere le mani anche sull'Italia setten
trionale. Incominciarono così quelle interminabili guerre
italiane, gli avvenimenti delle quali sono troppo noti per
essere qui ricordati. Più importanti per le loro conseguenze
storiche e religiose furono, invece, due fatti: con le nozze
di suo figlio Filippo il Bello - premortogli - con Giovanna
la Pazza, erede al trono di Spagna. suo nipote e successore
Carlo V diveniva il sovrano del più esteso impero del mon
do; inoltre egli vedeva iniziare, nel 1517. la Riforma di Lu
tero senza peraltro rendersi conto dell'immensa portata,
non soltanto religiosa, di questo evento. Massimiliano morì
a Wels, nell'Austria superiore, nel 1519.
Questo principe, dotato senza dubbio di grandi qualità ma
di carattere bizzarro e singolare, aveva ricevuto da sua ma
dre, Eleonora del Portogallo, una rigida educazione che
aveva plasmato in lui il modello del principe del Rinasci
mento: egli ebbe un vivissimo interesse per le belle arti
(aveva chiamato alla sua corte il Diirer ed altri grandi arti
sti dell'epoca) e, inoltre, univa a spiccate virtù cavalleresche
un notevole senso pratico. L'Umanesimo italiano ebbe gran
de influenza su di lui soprat utto allorchè uno dei suoi prota
gonisti, Enea Silvio Piccolo mini, segretario di Federico III,
lo introdusse nella corte austriaca. L'imperatore Massimi
liano scelse Innsbruck, nel Tirolo, come sua residenza pre
ferita; da quella città egli poteva personalmente interessarsi
all'attività della zecca di Hall, distante appena dieci chilo
metri, e che già sotto l'arciduca Sigismondo, creatore del
fiorino d'argento (1483) - che poi si chiamò taZZero - era
diventata uno dei centri monetari più fecondi dell'Europa
centrale e Massimiliano assunse in quella zecca artisti ed
incisori famosi quali Elrich UrsentaÌer, che vi lavorò dal
1508. Soltanto da poco conosciamo l'importanza di questo
insigne Maestro, autore di autentici capolavori quali i tal
Ieri di Bernardo di Clesio, vescovo di Trento, e di quelli
salisburghesi di Matteo Lang; fu lui, senza dubbio, l'artista
che introdusse le nuove concezioni artistiche del Rinasci
mento italiano nella monetazione austriaca e il tallero ri
prodotto sulla copertina ne è forse uno dei primi esempi.
Nel 1511 l'imperatore ordinò all'Ursentaler di battere «fio
rini con la sua immagine giovanile e con quella della sua
prima moglie" e l'artista, nell'esecuzione, prese a modello
la magnifica medaglia di Giovanni Candida, fusa nel 1477,
riuscendo magistralmente a trasmettere nel rilievo appena
accennato, caratteristico di una moneta d'argento moderna,
il motivo dei due ritratti (al rovescio il ritratto di Maria di
Borgogna) che il Candida aveva trattato con l'alto rilievo
proprio della medaglia.
Erich B. Cahn
Numismatica
PERIODICO DI CULTURA E DI INFORMAZIONE NUMISMATICA
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Editori: P. & P. SANTAMARIA - Piazza di Spagna 35 - 00187 ROMA
Nuova Serie Anno VII, numeri 1-3
Gennaio-Dicembre 1966
SOMMARIO
PAG.
F. P AN VINI ROSATI, « Alessandro Magnaguti) . . . . . . 3
PIETRO EBNER, « Credenze e culti di Velia, dalle monete) 7
PATRICK BRuuN, « Felicitas Romanorum) . 23
FRANCESCO MUNTONI, « Abilità e ingenuità di un falsario) 34
LEANDRO DE MAGISTRIS, « Osservazioni su alcune monete di Carlo V per Milano) 39
Appunti di Numismatica Contemporanea, XIX - SIEGBERT HALLHEIMER, « Le mo-
nete coniate durante la Repubblica Subalpina sotto la direzione del maestro
di zecca di Torino, Vittore Modesto Paroletti, dal 14 novembre 1800 al
30 giugno 1803) 43
Medaglistica . 55
Rassegna Bibliografica (Recensioni, Recenti pubblicazioni, Spunti e appunti
bibliografici) . . . . . . . . . . . . . 70
Notiziario commerciale (Vendite all'asta, Listini) 163
Cinquant'anni fa . 192
Nuove emissioni 195
Tribuna Libera. 200
Corrispondenza coi Lettori. 206
Cronache numismatiche . . 209
Vita dei Circoli numismatici italiani 222
Numismatica umoristica. . . . . . 228
Alessandro Magnaguti
r
Il 13 agosto 1966 si è spento nella sua villa a Sermide nei
pressi di Mantova il conte Alessandro Magnaguti, patrizio
mantovano e numismatico e collezionista insigne. Con lui scom
pare uno degli ultimi grandi collezionisti d'antico stampo, di
quei collezionisti che univano la cura di raccogliere monete
e medaglie allo studio, che non vedevano nella moneta un
oggetto di pura speculazione ma un documento quasi parlante
di storia e di arte, giunto a noi attraverso i secoli per far rivi
vere davanti ai nostri occhi uno squarcio di antiche civiltà.
Fedele a questi suoi principi Egli non tralasciò mai di studiare
con la passione del ricercatore e spesso con nutrita erudizione le
monete e le medaglie che andava raccogliendo e comunicò i ri
sultati delle sue ricerche in numerosi libri e articoli pubblicati
in riviste specializzate. Oggetto soprattutto dei Suoi studi furono le monete e le medaglie
dei Gonzaga, un campo nel quale Magnaguti portò la profonda conoscenza che Egli aveva
della storia di Mantova e dei Gonzaga. Una conoscenza che in Lui non diventava mai
l'arida somma di nozioni dell'erudito locale ma era sempre sorretta e vivificata da una
squisita sensibilità artistica e dall 'appassionato e devoto amore che il Magnaguti portava
per la sua città.
Alessandro Magnaguti era nato a Cerlongo il 21 settembre 1887. Aveva compiuto
gli studi universitari a Napoli dove si era laureato in legge. A Napoli Egli ebbe certa
mente il primo contatto con l'arte e la civiltà greca e in questa città venne a lui l'amore
per le monete greche.
Come il Magnaguti stesso dichiara nella prefazione del I volume del catalogo della
sua collezione, al quale diede il titolo suggestivo, e nello stesso tempo illuminante delle
sue concezioni, di « Ex Nummis Historia l), aveva cominciato la raccolta di monete nel
lontano 1905. Si era ancora nell'epoca d'oro del collezionismo numismatico, quell'epoca
che iniziata negli ultimi decenni dell'800 aveva visto il formarsi delle grandi e famose
collezioni italiane ed europee, molte delle quali dovevano proprio negli anni antece
denti la prima Guerra Mondiale andare disperse in vendite alI'asta. In questo fer
vore collezionistico, cui si accompagnava in Italia ed altrove un uguale fervore di
studi e di ricerche, il giovane Alessandro Magnaguti iniziava la sua attività di col
lezionista e di numismatico che doveva concludersi solo con la Sua morte. In Italia
dominavano il campo dei raccoglitori nomi celebri quali i fratelli Ercole e Francesco
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Gnecchi, Edoardo Martinori, il seno Papadopoli, lo stesso Vittorio Emanuele III, da
pochi anni asceso al trono ma già noto fin quand'era Principe ereditario come uno dei
maggiori collezionisti di monete italiane.
Il Magnaguti dava inizio alla sua raccolta concentrando la sua attenzione su due
temi che poi domineranno tutta la sua attività di numismatico: le monete di Adriano e
le monete dei Gonzaga. Alla ricerca di queste monete Egli si gettava senza risparmio di
energie e di spesa tanto da poter affermare nella citata prefazione al I voI. di « Ex Num
mis Historia che già nel 1928, nonostante la forzata interruzione della prima guerra mon
»
diale, il mercato non presentava più pezzi di particolare interesse per la Sua collezione.
Nasceva allora nel Magnaguti l'idea di estendere la raccolta anche ad altri periodi ed
altri Stati in modo da formare quasi degli anelli di congiunzione tra le due serie fonda
mentali della collezione. Proposito pienamente attuato dal suo autore ed anzi esteso uni
versalmente tanto che la collezione Magnaguti, al momento in cui per volontà del suo
creatore fu messa in vendita, abbracciava veramente ogni periodo ed ogni regione del
mondo occidentale, dalle prime serie arcaiche greche della fine del VII sec. a. C. all'epoca
moderna.
La raccolta poté sembrare a qualcuno un po' dispersiva ed anche utopistica nel tenta
tivo di racchiudere tutta la monetazione occidentale antica e moderna; ed effettivamente
tale poteva apparire ad un primo superficiale esame. Ma quando poi si passava a consi
derare quale era il concetto ispiratore del M agnaguti , quali i suoi intendimenti, quale
l'ordinamento da Lui dato alla Collezione, sul quale ritorneremo, non si poteva fare a
meno di modificare il primo giudizio e di ammirare l'opera del collezionista e del numi
smatico. Senza contare che talune serie della Collezione, oltre quelle di Adriano e dei
Gonzaga sopracitate, erano state così curate ed avevano una tale completezza da potersi
considerare delle raccolte a sé stanti: si veda per esempio la serie delle monete di Ales
sandro Magno o quelle delle monete papali.
L'opera del Conte Magnaguti come numismatico non si esplicò solamente nella rac
colta delle monete: come ho già notato, fin da giovane Egli pubblicò il frutto dei Suoi
studi sui pezzi che andava raccogliendo: tra i suoi primi lavori ricordiamo Mantova a
Virgilio nella Rivista Italiana di Numismatica 1909, un breve articolo sulla raffigurazione
di Virgilio sulle monete mantovane; La Zecca di Mantova (Milano 1913-1915), studio sulle
monete mantovane che veniva a completare e ad integrare quello di molto antecedente
del Portioli; L'Eveneto del Seicento, in Rivista Italiana di Numismatica 1918, in cui viene
esaminata l'opera di Gaspare Morone medaglista a Mantova e a Roma; Le Medaglie dei
Gonzaga (Mantova 1921), un volumetto in cui il Magnaguti affrontava per la .prima volta
nel suo insieme un tema a Lui caro, che riprenderà alcuni decenni più tardi, quello delle
medaglie gonzaghesche.
In tutte queste opere il Magnaguti mostrava quelle che erano le Sue doti più caratte
ristiche: una fine sensibilità artistica, una vasta cultura storica, un grande amore per la
Sua Mantova. Il Magnaguti non era uno scienziato nel senso accademico del termine né
mai volle esserlo; era piuttosto un cultore appassionato della nostra disciplina, desideroso
di comunicare al più vasto pubblico dei numismatici il Suo amore per le monete e quanto
aveva appreso nel corso delle Sue ricerche. Questo risultato Egli raggiunse in pieno, an
dando spesso oltre per l'acutezza delle osservazioni e la proposta di nuove interessanti
ipotesi.
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È del 1934 Hadrianus in Nummis, una serie di articoli sulle monete di Adriano pub
blicati in lingua italiana a Londra. Nel 1936 il Magnaguti iniziava sulla rivista « Numi
smatica » una serie di articoli intitolati Dallo statere al ducatone e viceversa, che doveva
poi continuare per lO puntate fino al 1954. In essi l'Autore trattava in una forma scor
revole e piana i più diversi argomenti di numismatica: dalle monete greche arcaiche a
quelle papali, dalle leggende monetali ai rinvenimenti, dai ritratti alle raffigurazioni reli
giose. Opera di divulgazione senza dubbio, ma ricca di osservazioni, di notizie, di spunti
critici, tali da suscitare interesse non solo nel collezionista ma anche nello studioso; il
tutto ravvivato dalla vasta cultura umanistica dell'Autore.
L'opera maggiore del Conte Magnaguti, per la quale Egli sarà ricordato a lungo dai
numismatici, è il Catalogo della Sua collezione pubblicato sotto il titolo « Ex Nummis
Historia» dagli Editori Santamaria in 12 volumi dal 1949 al 1965. L'occasione, come è
noto, fu offerta dalla vendita all'asta in vari lotti della Collezione, ma l'opera che ne
risultò andò ben oltre un semplice catalogo di vendita per la precisione nella descrizione
dei pezzi, la ricca bibliografia, le osservazioni critiche poste in nota a molte monete, l'ele
ganza dell'edizione, la nitidezza e l'abbondanza delle tavole. Alcune parti, come quelle
dedicate alle monete di Alessandro Magno, alle monete di Adriano, che insieme alle mo
nete di Traiano costituiscono un intero volume, alle monete e medaglie dei Gonzaga (ben
tre volumi), rappresentano per il ricco e scelto materiale e per il rigore scientifico della
classificazione un prezioso strumento di lavoro. L'opera comprende anche la parte della
collezione non posta in vendita, cioè le monete e medaglie gonzaghesche, sicché ne risulta
il catalogo completo di tutte le raccolte numismatiche dell'Autore. Infatti il Magnaguti
non volle privare gli amatori e gli studiosi della conoscenza, seppure indiretta attraverso
un catalogo, della sua mirabile raccolta di monete e di medaglie dei Gonzaga: raro esem
pio di un collezionista che pubblica il catalogo completo e scientifico della sua collezione,
esempio che vorremmo fosse seguìto un po' più frequentemente.
L'ordinamento del catalogo reca l'impronta del suo Autore: non viene seguito infatti
sia per le monete antiche che per quelle medioevali e moderne l'ordinamento tradizionale
ma viene adottato un ordinamento più rispondente a un criterio storico, che tenga conto
del susseguirsi nel tempo delle singole serie e dell'autorità, Repubbliche, Comuni, Signorie,
Sovrani, che hanno coniato la moneta. Un ordinamento che può forse rendere perplessi
in un primo momento e può provocare qualche difficoltà nella consultazione dell'opera
ma che non è privo di una sua intima giustificazione e che alla fine si rivela più di quello
tradizionale capace di manifestare la profonda connessione tra moneta e storia: ex nummis
historia, secondo il programml:l dell'Autore.
Anche durante la pubblicazione del catalogo della collezione il conte Magnaguti non
tralasciò studi più particolari: è del 1958 un Suo articolo pubblicato nella « Rivista Italiana
di Numismatica », Luci pisanelliane e luci mantegnesche sulle monete dei Gonzaga, nel quale
il Magnaguti riprendeva il tema a Lui più caro, quello delle monete dei Gonzaga, avan
zando l'ardita ipotesi che i tipi di alcune monete di Gian Francesco Gonzaga, Ludovico I
e Federico I siano stati disegnati da Pisanello e dal Mantegna.
La morte raggiunse il Conte Magnaguti dopo un anno dalla pubblicazione del voI.
VIII di « Ex Nummis Historia », l'ultimo edito in ordine di tempo. In questo volume
dedicato alle medaglie dei Gonzaga, a differenza di quanto aveva fatto nei volumi prece
denti, Egli elencava non solo le medaglie della Sua collezione, ma tutti i pezzi che aveva
potuto rintracciare in collezioni pubbliche e private o in pubblicazioni, e che non erano
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presenti nella Sua raccolta. Il volume veniva così a costituire un corpus delle medaglie
gonzaghesche, corredato di un'ampia introduzione e di utili note sugli artisti e sui perso
naggi effigiati.
Ho trattato del Conte Magnaguti come numismatico; altri potrà, meglio di me, par
lare di Lui sotto altri aspetti, soprattutto come studioso di Mantova e dei Gonzaga, dato
che molteplice era la Sua attività e vari i Suoi interessi; non posso fare a meno però di
ricordare che Egli fu soprattutto un gentiluomo, non solo per nobiltà di nascita ma anche
per educazione e per temperamento, che amava circondarsi di cose belle, che amava l'arte
per l'arte senza secondi fini speculativi e che prediligeva i Gonzaga soprattutto perché
nella storia di questa famiglia Egli trovava un esempio di rare virtù e di elevato mece
natismo.
Mi sia ora lecito terminare questa breve nota in memoria del Conte Magnaguti con
un voto: che la superba raccolta di monete e medaglie dei Gonzaga, che costituiva la
gemma più preziosa della Collezione Magnaguti e che il Suo proprietario volle conservare
fino alla morte, non vada dispersa ma possa in qualche modo trovare adeguata sistema
zione in un Museo, in quella città di Mantova che il conte Magnaguti tanto amò, tra le
mirabili opere d'arte lasciate dai Gonzaga, ai quali il Magnaguti con la Sua appassionata
fatica eresse un monumento non indegno della loro stirpe.
F. P ANVINI ROSA TI
Gli Editori, il Direttore, il Comitato di Redazione e i Collaboratori tutti di « Numisma
fica rivolgono un reverente pensiero alla memoria dello studioso scomparso che fu anche
>)
entusiasta estimatore e collaboratore di questa Rivista, e porgono ai familiari l'espressione
del loro più sentito e commosso cordoglio.
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Credenze e culti di Velia, dalle monete
Sul recente tentativo d'infirmare l'esistenza del culto di Athena a Velia, non è da
escludere abbia influito, e forse in modo determinante, la convinzione che il tipo della dea
sia apparso sulle monete di quella città solo negli ultimi del V secolo a. C. e appena su
qualche dramma. La limitazione, pertanto, a poco più di due secoli (fine V - primi II)
dell'incisione del tipo sui didrammi, e non sempre sugli oboli e frazioni di bronzo, viete
rebbe d'invocare, anche per la p6lis tirrenica, la piena validità del principio stabilito dal
Curtius. La riedizione, però, del titolo velino della dea, ritenuto dubbio, nell'accertarne
l'autenticità, mostrava l'importanza di quel culto per la vita religiosa della p61is, confer
mando così quando si era appreso dalle monete che mostrano in Athena la dea poliàde
di Velia.
Costretto a tornarvi, per chiarire meglio quanto avevo segnalato anni fa e piuttosto
di recente, approfitto della circostanza per dire, oltre che delle più note credenze, dei culti
di Velia di cui era notizia solo dalle monete, finché l'intensificarsi delle campagne di scavi
non ne metteva a luce le concrete memorie epigrafiche.
Innanzi tutto, credo indispensabile una premessa sull'arcaica monetazione di Velia;
sulla presenza, cioè, in quei nummi di caratteri del tutto diversi dai comuni delle p61eis
italiote del tempo. Problema numismatico fra i più notevoli e fondamentale della mone
tazione velina, anche per l'erronea attribuzione alla macedonica Acanthos delle prime
monete di Velia, da alcuni ritenute addirittura emesse a Focea. L'errore del Fiorelli, però,
è da giudicarsi solo materiale, per l'impossibilità che gli fossero ignote la felice intuizione
del Carelli e il succedersi unanime delle conferme. Diversa, perché più suggestiva e sottile,
l'ipotesi del Lenormant che argomentava da Erodoto, dalla notizia circa l'imbarco sulle
navi anche di « tutti i beni mobili » e perciò di quelle monete, dagli esuli poi diffuse ovun
que in Italia e Gallia; eventi convalidati dall'esistenza di un tipo affine battuto a Focea
prima del suo abbandono.
Credo inutile tornare sulla congettura del Lenormant che all'esame attenlo si rivela
infirmata dalle stesse sue proposizioni, quasi che i Focei avessero posseduto enormi quan
tità di nummi solo di quel tipo e di argento, peraltro il solo metallo nobile battuto a
Velia, quando è noto che la monetazione precipua di Focea era quella dell'elettro. L'inte
ressante questione-, tuttavia, potrà essere illuminata, a mio avviso, se si tien conto di quan
to ho detto altrove e di alcuni particolari momenti che precedettero e seguirono la colo
nizzazione focea dell'odierno Cilento.
Sollecitata dalla città dello Heraion (ls), alla foce del Sele, attraverso Poseidonia,
Sibari acconsentiva allo stanziamento in terra di Enotria (540 a. C.) dei superstiti di Alalia,
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in prevalenza vecchi, donne e bambini, anche perché, tramontato ogni disegno di vasta
colonizzazione mercantile tirrenica, i disgraziati esuli di quattro città non anelavano ormai
che alla sola quiete di un focolare sicuro. I Focei l'avevano dimostrato nel proporre agli
indigeni di Velia d'Enotria l'acquisto del diritto allo stanziamento, continuarono a darne
prova (Sibari dové favorirlo, per neutralizzare eventuali mire espansionistiche commerciali
di Massalia) nell'insistenza a considerare Velia, per continuità cultuale, la vera Focea.
La testimonianza di Erodoto è troppo precisa per consentire diverse interpretazioni
e la sopravvivenza di Focea non ne implica la continuità cultuale assoluta, perché nella
distrutta città tornarono solo gli spergiuri, ai quali, in nessun caso, potevano toccare i
veri simula cri degli dei patrii. Erodoto suppone nota l'antichissima credenza quando affer
ma che i Focei appena giunti ad Alalia « vi eressero templi ». Evidentemente per porvi
quelle statue collocate poi nei primi ierà di Velia, la quale anche giuridicamente, dato che
lo era cultualmente, divenne la vera Focea. Dico « primi templi» perché gli scavi in corso
pare mostrino, a mio avviso, l'esistenza a Velia di due distinti abitati, ciascuno rinchiuso
in mura proprie: la p6lis (Erodoto, I 167) indigena sul crinale della collina e quella deÌ
coloni sul versante meridionale. Solo verso la fine del VI secolo a. c., dopo la fusione
dei due gruppi etnici, per cui una sola città, l'inizio della costruzione dei grandi templi
che i Velini, con scenografica disposizione ionica, elevarono sulle diverse terrazze della
collina e dove ebbero definitiva dimora gli antichi simulacri delle divinità di Focea. Ciò
coincide esattamente con l'emissione (albori del V secolo a. C.) delle prime monete a
doppio rilievo con il nome della città o dell'etnico: Velia ormai era una sola p6/is. Da
ciò la definitiva conferma del periodo di emissione delle incuse, necessariamente anepigrafi
e prodotte con tecnica micro-asiatica di coniazione: globularità del tondello e quadrato
incuso del &. Naturale perciò, anzi necessaria l'impressione della protome del leone del
1), soprattutto il peso della dramma.
Nel fulvo leone forse lo stesso Apollo, non il solo felino che seguì lo splendente dio
nel suo viaggio verso Occidente e che Focea aveva già impresso, per conforto di auspicio,
sulle monete agl'inizi della sua corsa verso i redditizi mercati della Propontide, del Ponto
e italici, specialmente verso l'Eldorado del Tartesso. Nei g 3,89 della dramma un peso che,
pur riallacciandosi al fenicio o asiatico ed a quello della locale fascia costiera italiota,
doveva essere agganciato ad una valuta ben nota lungo le coste ionio-tirreniche se monete
di Focea furono rinvenute persino a Taranto; peso che corrispondeva ad un quarto del
magnifico tetradrammo di Focea che lo Head stabilì emesso prima della caduta di quella
città e di cui è documento in un dettaglio proprio sulle incuse veline: nei quattro globetti
a dx, innanzi oppure a sx dell'avancorpo del leone di cui finora nulla si è detto e, a mio
avviso, indubbio segno di valore (Tav. I nn. 2 e 3).
Appunto su qualcuna di queste incuse la prima immagine dell'Athena di Focea e di
Velia. Un tipo inciso, come a Cizico (570-520 a. C.), in un quadrato ben visibile sul &
della n. 25 del Garrucci (Tav. I n. 1), dove l'Athena armata ha un casco non attico ma
frigio. Elmo che, a parte l'evoluzione del disegno, oltre che sulle incuse di Cizico, di
Focea e degli oboli di bronzo (Tav. I n. 16), che consentirono l'assegnazione a Velia delle
anepigrafi arcaiche, è persino sul mirabile didrammo di Kleudoros, l' Athena di faccia,
l'unico esemplare velino con volto prospiciente (Tav. I n. 14).
La distruzione di Sibari e il primato di Crotone, che tendeva a trasformare le sim
machie con le diverse città in egemonia, avevano determinato, intanto, nel Mezzogiorno
d'Italia un equilibrio politico tale da indurre Velia, che cercava assicurarsi alcuni dei più
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Description:e medaglie allo studio, che non vedevano nella moneta un .. sognante espressione delle immagini, nelle quali tuttavia trasfuse la .. conferma nel titolo di Athena che vivamente richiama, nel latino, il più antico sua Cronaca frammischiava alle parole della lingua italiana moltissimi .. :'.;,.1.,