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« Documenti di cultura moderna »
diretta da Augusto Del Noce ed Elémire Zolla
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DIO
ALLA RICERCA DELL'UOMO
(Una filosofia dell'ebraismo)
di
ABRAHAM JOSHUA HESCHEL
Prefazione di Elémire Zolla
Traduzione dall'inglese di Elèna Mortara Di Veroli
BORLA EDITORE TORINO
PRIMA EDIZIONE MARZO 1969
Titolo originale dell'opera
God in Search of Man. A Philosophy of Judaism
Farrar, Straus & Giroux, 19 Union Sq. West, New York 10003
Tutti i diritti riservati
© 1955 by Abraham Joshua Heschel
© 1969 Boria editore Torino - Leumann, via Aosta 26-28
L'itinerario della mente verso Dio è descritto da molte e di-
verse azioni rituali che si sono coagulate in metafore, poiché in
se stesso è ineffabile. Ora viene rappresentato come la celebra-
zione di giuste nozze, ora come un incontro rischioso e vietato,
ora come una guerra, ora come una lavorazione di metalli o altro
mestiere, o perfino come il semplice atto di mangiare e dissetarsi.
Quale vicenda non è stata piegata a questa ardua allusione? Fra
le tante una è molto familiare: il pellegrinaggio o la processione
che porta per vie aspre al pacifico santuario, dal tempo, che tutto
rimuta e tormenta, ad uno spazio sacro dove il giogo del divenire
viene sollevato. Abraham Heschel insegna un'altra e diversa vi-
cenda: la fuga dallo spazio, dove tutto è diviso e dove spadroneg-
gia la volontà del più forte, per raggiungere un tempo consacrato.
Ma ci si accorge che le due vicende sono tutt'una. D'accordo,
la prima narra che l'uomo soffriva le tribolazioni dell'inces-
sante divenire ma giunse ad un luogo che un sogno non umano
additava, ed ecco le apparenze del divenire quivi dileguarono
(Giacobbe vede la scala allorché appoggia la testa alla pietra che
chiamerà casa di Dio); ma non è lo stesso che dire: <t L'uomo sof-
friva le tribolazioni dello spazio quando Dio gli insegnò a deli-
mitare un tempo, a consacrarlo, ed allora in quel tempo le appa-
renze locali sparirono, le tribolazioni furono obliate »?
L'inveterato storicismo ci suggerisce che forse ascoltiamo con
tanta attenzione il racconto che Heschel sempre ci ripropone,
della fuga nel tempo, perché lo spazio quale viene oggi soggio-
gaio e adulterato dalla mano dell'uomo è difficile a trasformare
in simbolo sì da liberarne le scintille di Splendore che vi giac-
ciono imprigionate: le letture tramandate degli spettacoli natu-
rali come linguaggio dell'invisibile, i glossari di emblemi a poco
sembrano servire in un universo di campagne sacrificate e di
agglomerati retti dalla ragione tecnocratica. Ma non è il caso di
sopravvalutare questo motivo contingente: la fuga dallo spazio
nel tempo è per motivi permanenti una rappresentazione fra
le più privilegiate dell'incontro con Dio. Che cos'è il tempo?
« Se non me lo domandano lo so, ma se tento di spiegarlo non
so », Heschel risponde citando sant'Agostino, e soggiunge (ci-
tando Maimonide che cita Galeno) che il tempo infatti è qual-
cosa di divino e di incomprensibile. E aggiunge di suo che il
tempo ci è troppo intimamente noto perché se ne possa parlare.
Le cose che lo spazio definisce sono le sponde fra cui viaggiamo
nel tempo, ma se ci concentriamo non le vediamo più; lo spazio
si muove nel tempo, le cose periscono consumandosi, però nel
tempo imperituro, perché lo spazio fluisce nel tempo. Temporale,
in divenire è lo spazio, in sé il tempo non si divide in passato
presente e futuro, tanto che un'ora con Dio può restaurare anni
di dispersione: l'Originario, l'Inizio lo troviamo nel tempo, fonte
d'ogni cosa che trascende l'uomo ed inappropriabile dagli uomini,
comune a tutti.
Accettare questa concezione e viverne i significati è una tera-
pia per buona parte delle confusioni d'oggigiorno. Di queste la
più penosa è senza dubbio quella che fa ritenere unificabile la
metafisica o conoscenza religiosa da un lato e le scienze naturali
avviate ad una matesi universale dall'altro, oppure crede che
ceci tuera cela. Heschel ha sfatato l'equivoco, sempre impernian-
dosi sul concetto prediletto del tempo, mostrando che esso nulla
può avere in comune con ciò che s'intende nella teoria della rela-
tività con lo stesso vocabolo, perché « la teoria della relatività verte
su un problema matematico e fisico, la misurazione degli eventi
nel tempo e nello spazio. Allorché ci scostiamo dal regno della
fisica e mutiamo non il solo metodo ma il fine del nostro cono-
scere, tutti i concetti pigliano un diverso aspetto e un differente
significato ».'
Fatta dileguare la chimera d'una scienza naturale o matematica
fusa e confusa con la metafisica e la conoscenza religiosa, quale
stuolo di errori, di vane ricerche, di menzogne amatissime non
scompare!
Altro servigio che Heschel rende è la distruzione delle false
alternative, dannazione del pensiero d'oggi: la opposizione della
forma al contenuto, delle norme all'ispirazione, della lettera
allo spirito, dei poli che sono in verità come le estremità di una
calamita: tutto ciò che è vive della loro complementarità inscin-
dibile. E ancora un altro stuolo di errori (di oziose o fraudolente
contrapposizioni) viene disperso se si rammenta questa lezione.
Qui conviene soffermarsi su ciò che distingue Heschel dal-
l'altro «eo-hassid, Martin Buber. Attenzione a Dio ed azione,
regolarità e spontaneità, uniformità e individualità, legge ed inte-
riorità, amore e timor di Dio, gioia e disciplina, ricerca umana e
ricerca divina dell'uomo, rigore e clemenza divina, provvidenza
e mistero di Dio sono alcuni dei molti intrecci, delle tante ten-
sioni che si condizionano e conferiscono realtà l'una all'altra:
« Non dobbiamo disprezzare il corpo né sacrificare lo spirito. Il
corpo è la disciplina, la struttura, la norma; lo spirito è l'inte-
riore devozione, la spontaneità e la libertà. Senza lo spirito il
corpo è un cadavere, senza il corpo lo spirito è uno spettro.
Così una mitsvah o precetto è tutt'insieme disciplina ed ispira-
zione, atto di obbedienza ed esperienza di gioia, giogo e prero-
gativa », spiegò Heschel a Patrick Granfield che lo interrogava
(l'intervista è raccolta in Theologians at Work); Buber cadde,
spiega Heschel ancora, nell'esaltazione di uno degli aspetti a
detrimento dell'altro, invece di stabilire fra essi un'armonia, e
non accettò l'idea di una rivelazione divina all'uomo, sostituen-
dola con un vago incontro.
Heschel non teme di riconoscere i mali del tempo e sa co-
glierne la radice nella dialettica dell'illuminismo: « L'umanità
non ha una scelta fra religione e neutralità. L'irreligione non è
i The Earth Is the Lord's & The Sabbath, New York 1966 (prime ed. 1950 e
1951), p. 108.
un oppio ma un veleno. Le nostre energie sono troppo abbondanti
per vivere nell'indifferenza. Abbiamo bisogno di uno scopo infinito
che assorba la nostra immane potenza, se non vogliamo che le
nostre anime cadano in un violento delirio. Siamo o i ministri
del sacro o gli schiavi del male »}
Come si è potuto obliare queste semplici verità? « Nel nostro
zelo di mutare, nella nostra passione di progredire, abbiamo get-
tato il ridicolo sulla superstizione fino a smarrire la capacità
di credere. Abbiamo aiutato a estinguere il lume che i nostri
padri accesero. Abbiamo barattato la santità per la convenienza,
la lealtà per il successo, la sapienza per l'informazione, le pre-
ghiere per le prediche, la tradizione per la moda ».3 Abbiamo
scordato la capacità di consacrare il tempo, tutti proiettati come
siamo a dominare e sottomettere lo spazio. E per noi (forse)
più che mai vale il lamento: « Le intenzioni che non sappiamo
attuare le depositiamo nello spazio: i nostri possessi diventano
simbolo delle nostre repressioni, giubilei di frustrazioni ».
Heschel accusa il male essenziale, che uno strano tabù vieta a
molti di menzionare, la volgarità. Gli basta pensare al mondo dei
hassidim (egli discende dal successore del Baal Shem, annovera
nella famiglia lo zaddik Levi Yizchak) per misurare lo scadi-
mento. « I hassidim sdegnavano ciò che è rozzo e greve, procu-
rando di dare un'interiore dignità a tutto ciò che facevano »/
Quale il segreto di questa assenza di volgarità? Anzitutto l'uso
del tempo: essi avevano esteso a tutti i giorni della settimana
qualcosa della santità del settimo giorno, cioè riuscivano a sen-
tire quasi in continuazione « la maestà di ciò che nel tempo
è eterno », raccogliendo invece di dissipare il loro tempo. Il la-
voro senza dignità è miseria, il riposo senza spiritualità fonte di
depravazione, dice Heschel; l'uno e l'altro male fu ignoto ai
hassidim.
Eorse che Heschel insegna dunque una fuga nel passato, una
qualche acrobazia per isolarsi dal presente? Sarebbe contrario
alla sua fede. Egli insegna non a rinunciare alla civiltà tecnologica,
ma a esserne indipendenti, a superarla in un esodo almeno per un
ì The Earth... cit., p. 107.
3 lbiil., p. 18.
•t Ibid., p. 106.