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Possiamo fare a meno di tradirci e di tradire? È questa la
domanda cui l‛opera tenta di dare una risposta. Il tradimento
ripugna alla nostra coscienza di ‟puri”, ma, afferma l‛autore, è
un’esperienza ineluttabile. Dopo aver percorso i drammi della
solitudine dell‛amore in Eros e pathos, Aldo Carotenuto
affronta il delicato tema del tradimento inteso come atto
necessario perché la psiche, ancora chiusa in una verginità
inconsapevole e irriflessiva, sia iniziata al mistero della vita e
dell‛amore. Tradire ed essere traditi significa infatti ‟essere
consegnati” a un destino di ricerca costellato di cadute e di
sconfitte, significa riconoscersi come quegli esseri separati che,
per ricostituirsi come soggetti, devono affrancarsi da dettami e
modelli collettivi, devono dunque ‟tradire”. Ogni individuo è
consegnato all‛imperativo, inscritto nella stessa dinamica
evolutiva della psiche, di emanciparsi da tutto ciò che lo
mantiene fedele a un‛immagine di sé che non gli corrisponde, e
che risponde, invece, alle richieste dell‛ambiente sociale o al
desiderio dei suoi interlocutori. È per questo motivo che il
processo di individuazione comporta frequentemente situazioni
di rottura, fratture inevitabili, destinate a segnare la nostra
vicenda umana: dal tradimento perpetrato dal genitore sul
figlio non ancora nato come già ‟immaginato”, a quello
all‛interno del rapporto di coppia, per passare in rassegna
ancora altre sue forme, altri suoi volti meno consueti.
Il tradimento del corpo, della malattia, della morte, ossia
l‛esperienza del limite vissuta come scacco e come fallimento
definitivo dell‛esistenza. Senza tradimento non si dà possibilità
Aldo Carotenuto, è stato docente di Psicologia della
personalità all‛Università di Roma, ha diretto il "Giornale
storico di psicologia dinamica". Tra le sue opere di saggistica
ricordiamo: Trattato di psicologia della personalità (1991), I
sotterranei dell‛anima (1995), Le lacrime del male (1996), La
mia vita per l‛inconscio (1996), Il fascino discreto dell‛orrore
(1997), L‛eclissi dello sguardo (1997), Lettera aperta a un
apprendista stregone (1998), Vivere la distanza (1998), La
nostalgia della memoria (1999).
© 1991/2008 RCS Libri S.p.A.
Via Mecenate 91 - 20138 Milano eISBN 978-88-5872033-2
Prima edizione digitale 2012 da diciottesima edizione Tascabili
Bompiani
marzo 2008
Copertina
Gustav Klimt, la sposa, 1917/1918. Part
Progetto grafico: Polystudio Copertina e illustrazione di Aurelia
Raffo
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NOTA ALLA NUOVA EDIZIONE
Introdurre il lettore alla scoperta di questo mio libro, ora
riproposto in edizione tascabile, mi offre l’opportunità di
accostarmi nuovamente al tema del tradimento, con la forza
però che mi deriva dall’aver constatato l’accoglienza e il
gradimento da parte del pubblico nei riguardi di questa opera.
Che voleva e vuole scuotere e, perché no, suscitare polemiche
da parte di coloro che, pur sapendo che il ’tradimento’ è un
fenomeno vecchio quanto il mondo, ritengono comunque
riprovevole sollevare i veli che lo celano allo sguardo della
coscienza. Al contrario, io ritengo che a creare i maggiori danni
siano proprio l’inconsapevolezza e l’ignavia, laddove invece
sondare e tentare di far luce sui movimenti psichici che
generano, fomentano o rifuggono il tradimento, è
un’operazione utilissima affinché si possa vivere ogni
esperienza (perché, come il lettore avrà modo di constatare, il
tradimento assume mille sembianze) comprendendola ed
elaborandola, e non solo lasciandosene possedere.
La violenza e la cecità che accompagnano il tradimento in
tutte le sue forme — da quello della famiglia perpetrato sul
figlio, a quello amoroso — sono infatti la prova della nostra
ingenuità psicologica: l’individuo cioè è quasi sempre
inconsapevole delle forze che governano i suoi impulsi alla
crescita o alla individuazione, così come rimane un agente
passivo delle sue pulsioni distruttive. Questa particolare forma
di resistenza testimonia che lo sviluppo della coscienza
psicologica è, come sosteneva Jung, un’opus contra naturam,
un cammino difficoltoso, irto di pericoli, e nessuno meglio di
chi scrive conosce, attraverso la propria professione, il tributo
di sofferenza che occorre pagare per liberarsi delle illusioni
nevrotiche, degli equilibri di compromesso, degli i allucinatori
del desiderio.
La prima, fondamentale forma di tradimento è proprio quella
che l’individuo subisce per divenire un soggetto responsabile
dei suoi desideri e dei suoi atti: la perdita dell’innocenza,
l’espulsione dal Paradiso dell’indifferenziazione psichica, la
caduta. Contravvenendo al patto originario con madre natura,
inevitabilmente l’individuo resta esposto alla fatica di una
ricerca di senso che, però, lo costituisce come soggetto della
storia.
Certamente la perdita dell’innocenza si ripercuote sulla colpa
e sulla punizione: così, molto spesso ci condanniamo ad essere
gli inesorabili carnefici di noi stessi, ci esponiamo alle peggiori
angherie per espiare ipotetiche colpe, non avendo mai pagato
abbastanza il grave peccato di essere venuti al mondo e di
averlo fatto nella maniera meno discreta possibile, con una
domanda d’amore intollerabile, sempre gridata a gran voce.
Nasciamo traditi, e nella necessità di dover tradire per
crescere: una legge karmica che suona come una condanna se
non fosse che proprio attraverso le vicissitudini del tradimento
viene richiesto a ogni individuo il compito di confrontarsi con la
sua costitutiva ambivalenza e di assumerla consapevolmente,
così da trasformare la direzione naturale delle pulsioni e
divenire in qualche modo artefici del proprio destino di
individuazione.
È questo il significato profondo che il mito ebraico della
cacciata dal Paradiso terrestre rappresenta simbolicamente:
cacciata che, se consegna l’uomo a tutte le forme del patire,
inaugura la nascita della coscienza, nell’attesa — questa la
promessa di ogni dottrina soteriologica — di un pieno risveglio,
cioè del raggiungimento di una consapevolezza interiore che
renda l’uomo capace di riconoscere le forze che lo dirigono e di
capovolgere a suo favore anche la conoscenza del male.
Perché il tradimento è essenzialmente un "passaggio" —
questo il suo significato etimologico — una "consegna" all’altro
che sempre si traduce in confessione di debolezza e in richiesta
di aiuto, e che dunque sempre comporta il rischio della perdita,
dell’abbandono. Ma per vivere con pienezza la propria
esistenza è necessario questo "passaggio" nella morte, questo
riconoscimento del limite, della finitezza, questo sapersi
traditori e traditi.
Gli scenari del tradimento sono molteplici: mi sembra però
che la scena originaria si apra sull’interno relazionale più
precoce, il primo tradimento è proprio quello perpetrato nei
confronti del nascituro nel momento in cui, con il nome, gli si
attribuisce la proiezione fantasmatica dei genitori. Destino
inevitabile, inscritto nella storia stessa della vicenda umana,
per il quale noi siamo condannati ad incarnare il desiderio
dell’altro, e solo con grande fatica a separarci dal suo/nostro
fantasma.
Se l’uomo fosse libero, non avrebbe bisogno di tradire;
eppure è altrettanto vero che se l’uomo non fosse libero, non
potrebbe tradire.
Aldo Carotenuto, aprile 1994