Table Of ContentCollana gobettiana
Collana fondata e diretta da Pietro Polito
III
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Piero Gobetti
L’AUTOBIOGRAFIA
DELLA NAZIONE
A cura di Cesare Panizza
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Vietata la riproduzione anche parziale
© Aras Edizioni 2016
ISBN 9788899913021
Aras Edizioni srl, Fano (PU)
www.arasedizioni.com – [email protected]
© In copertina: P. Gobetti, Elogio della ghigliottina, in
«La Rivoluzione Liberale», a. I, n. 34,
23 novembre 1922, p. 130.
INTRODUZIONE
PIERO GOBETTI E IL FASCISMO
COME AUTOBIOGRAFIA
DELLA NAZIONE
Il campo concettuale in cui inscrivere la
tesi del fascismo autobiograia della nazione,
rivelazione al tempo stesso del fallimento
dello stato unitario e delle classi dirigenti
liberali e delle manchevolezze del costume
politico e civile degli italiani, si era deline-
ato negli scritti di Piero Gobetti ben prima
che questi pubblicasse L’elogio della ghi-
gliottina, il testo, uno dei suoi articoli più
noti, in cui quella fortunata locuzione fece
la sua comparsa. Nata dall’immediatezza
della lotta politica – l’articolo fu pubbli-
cato sul numero di «Rivoluzione liberale»
del 23 novembre 1922, dunque a poco
6 L’autobiograia della nazione
meno di un mese dalla marcia su Roma,
in reazione al discorso del «bivacco», con
cui Mussolini si presentò alla Camera dei
Deputati il 16 novembre – quella lettura
a caldo del fascismo – Emilio Gentile ha
parlato al proposito di una «sentenza»1 –
benché indubbiamente reagisse a sollecita-
zioni “congiunturali”, non è infatti riduci-
bile solo a una formula estemporanea. Al
di là del gusto di Gobetti per la polemica
e al suo indubbio talento pubblicistico, e
al di là anche di una scrittura la cui cifra
stilistica era spesso la ricerca del paradosso,
dell’ossimoro, e talvolta della provocazione
irriverente, tutti fattori che vanno certo te-
nuti nel debito conto, l’«autobiograia del-
la nazione» aveva infatti alle sue spalle una
analisi approfondita e non convenzionale
che abbracciava assieme la qualità del libe-
ralismo italiano, il “carattere nazionale” e
la storia, recente e remota, del paese2.
1 Così la deinì Emilio Gentile in La grande Italia. Il
mito della nazione nel XX secolo, Laterza, Bari, 2006,
p. 333.
2 Sull’autobiograia della nazione si rimanda anche
alle analisi di Bruno Bongiovanni, L’autobiogra-
ia della nazione, in Pazé V. (a cura di), Cent’anni.
Piero Gobetti nella storia d’Italia, Atti del convegno
Introduzione 7
L’antropologia negativa degli italiani che
vi era presupposta era presente in dagli esor-
di nella rilessione del giovane liberale tori-
nese. È possibile rintracciarla già sul secon-
do numero di «Energie Nove» nel novembre
1918, in un articolo, in realtà signiicativo
anche per molti altri aspetti, intitolato Croce
e i pagliacci della cultura. Pur non dicendosi
crociano, Gobetti vi prendeva energicamen-
te le difese del ilosofo napoletano elevan-
dolo a modello di intellettuale “italiano”,
a partire proprio da un apprezzamento del
contegno da questi assunto durante la guer-
ra, contegno che a molti era invece parso
un distacco poco sintonico verso la causa
nazionale. La lezione di Croce stava infat-
ti nell’aver fatto della guerra, ben diversa-
mente da molti altri uomini di cultura, non
un’occasione di retorica e di vuoto patriot-
tismo, ma di «maggiore serietà ed intensità
di lavoro»: con un rovesciamento di segno,
a essere antinazionale era allora semmai la
di studi, Torino 8-9 novembre 2001, Centro Studi
Piero Gobetti, Franco Angeli, 2004, pp. 174-185; e
a Revelli M., Piero Gobetti e il fascismo. La teoria del-
la “rivelazione”, in Pianciola C., Polito P. (a cura di),
Perché Gobetti, Giornata di studio su Piero Gobetti,
Torino, 16 aprile 1991, pp. 103-120.
8 L’autobiograia della nazione
contestazione di cui ora era oggetto. Citan-
do signiicativamente Prezzolini, Gobetti
la giudicava «la spontanea rivolta dell’anti-
talianismo chiaccherone, accademico, let-
terario, paganeggiante, menimpipista»3, da
sempre difuso fra gli intellettuali italiani.
Era una prima scelta di campo, culturale e
politica, non scontata e lungimirante in un
giovanissimo, visto il clima di entusiasmo
per la vittoria, ma anche di “resa dei con-
ti” che si respirava nel paese in quei giorni.
Vi ritroviamo, ed è signiicativo che esso si
produca in un ambito discorsivo che richia-
ma appunto, anche se solo implicitamente,
il tema del “carattere nazionale”, anche il
primo cenno seppur indiretto a Mussolini:
fra i «botoli ringhiosi», «rappresentanti del
frasaiolismo contro il pensiero», che si acca-
nivano su Croce, Gobetti annoverava infatti
anche il «Popolo d’Italia».
Il «mito negativo» dell’italiano rappre-
sentava un presupposto che Gobetti non
mise mai sostanzialmente in discussione,
ma che si sarebbe successivamente sforzato
3 Gobetti P., Benedetto Croce e i pagliacci della cultura,
in «Energie Nove», serie I, n. 2, 15-30 novembre 1918,
pp. 26-27, ora anche in Gobetti P. (a cura di Spriano
P.), Scritti politici, Einaudi, Torino, 1960, p. 20.
Introduzione 9
di storicizzare, non accettandone una let-
tura deterministica, per respingere il pessi-
mismo etico e l’indiferentismo politico che
logicamente la sua riduzione a dato natu-
rale comportava. Quel mito era infatti una
moneta largamente circolante, a destra ma
anche a sinistra, nella cultura italiana alme-
no dalla ine del secolo precedente e dun-
que rappresentava una componente non
marginale della formazione giovanile della
generazione cui apparteneva. Gli elementi
essenziali Gobetti dovette ereditarli da co-
loro che almeno ino all’avvento del fasci-
smo avrebbe considerato come dei “fratelli
maggiori”, quando non dei “maestri”: gli
scrittori de “La Voce”, indubbiamente, e su
tutti Prezzolini, che nel 1921 aveva ripreso
e aggiornato il tema alla luce dell’esperienza
della guerra mondiale in Il codice della vita
italiana, ma anche Giovanni Gentile, poi
così energicamente ripudiato. Non bisogna
dimenticare infatti che quelli della Prima
guerra mondiale furono gli anni della ripro-
posizione, riformulazione e volgarizzazione
a opera degli intellettuali impegnati sul
“fronte interno” di tutta una serie di topoi
negativi sul «carattere degli italiani»,