Table Of ContentANNE RICE
SCELTI DALLE TENEBRE
(The Vampire Lestat, 1985)
Questo libro è dedicato
con affetto
a
Stan Rice, Karen O' Brien,
e Allen Daviou
In centro
un sabato sera
del ventesimo secolo
1984
Sono il vampiro Lestat. Sono immortale. Più o meno. La luce del sole, il calore continuativo d'un fuoco
intenso... ecco, potrebbero annientar mi. O forse no.
Sono alto un metro e ottantasei, una statura piuttosto ragguardevole intorno al 1780, quando ero un
giovane mortale. Adesso non sono tan to malaccio. Ho i capelli biondi molto folti che arrivano fin quasi
alle spalle, e piuttosto ricci, che sembrano bianchi sotto la luce fluorescen te. Ho gli occhi grigi, ma
assorbono facilmente l'azzurro e il viola dalle superfici che ho intorno. Ho un naso piuttosto corto e
sottile, una boc ca ben modellata anche se un po' troppo grande per il mio volto. Può sembrare maligna
o estremamente generosa, la mia bocca. E appare sempre sensuale. Ma i sentimenti e le reazioni si
rispecchiano davvero sempre in tutta la mia espressione. Il mio viso è molto animato.
La mia natura di vampiro si rivela in una carnagione bianca e lucida, che è necessario rendere opaca con
la cipria davanti alle telecamere e agli obiettivi in genere.
E se ho sete di sangue divento orrendo... con la pelle incartapecorita e le vene che spiccano come corde
sulle ossa. Ma ormai non permetto più che succeda. E l'unico indizio del fatto che non sono umano è
co stituito dalle mie unghie. È così per tutti i vampiri. Le nostre unghie sembrano di vetro. E certuni se ne
accorgono anche quando non nota no niente altro.
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Ora sono ciò che l'America chiama una superstar del rock. Il mio primo album ha venduto quattro
milioni di copie. Sto per andare a San Francisco per la prima tappa di una tournée nazionale di concerti
che porterà il mio complesso dalla costa del Pacifico a quella dell'A tlantico. LaMTV, la televisione rock
via cavo, da due settimane tra smette notte e giorno i miei videoclip, che vengono mandati in onda anche
in Inghilterra nel programma Top of the Pops, e sul continente, e con ogni probabilità anche in alcune
parti dell'Asia e in Giappone. Anche le videocassette dell'intera serie dei clip si vendono in tutto il mondo.
Sono perfino autore di un'autobiografia che è stata pubblicata la settimana scorsa.
A proposito del mio inglese, la lingua che uso nell'autobiografia, l'ho imparato grazie a un battelliere che
scendeva il Mississippi fino a New Orleans circa duecento anni fa. Ho imparato di più, in seguito, dagli
scrittori di lingua inglese, da Shakespeare a Mark Twain e a H. Rider Haggard, che ho letto con il
passare dei decenni. L'ultima trasfu sione l'ho ricevuta dai racconti polizieschi dell'inizio del ventesimo
se colo, pubblicati dalla rivista Black Mask. Le avventure di Sam, Spade, l'investigatore creato da
Dashiell Hammett, sono state le ultime che ho letto prima di darmi, per così dire, alla latitanza.
E questo accadde a New Orleans nel 1929.
Quando scrivo tendo a usare un vocabolario che per me sarebbe stato naturale nel secolo decimottavo,
in frasi ispirate dagli autori che ho letto. Ma, nonostante il mio accento francese, il mio modo di par lare è
una via di mezzo tra la lingua del battelliere e quella dell'investigatore Sam Spade. Perciò spero che mi
perdonerete se il mio stile è incoerente. E così ogni tanto rovino l'atmosfera di una scena settecen tesca.
L'anno scorso sono riemerso nel ventesimo secolo.
A portarmi qui sono state due cose.
Innanzi tutto le informazioni ricevute dalle voci amplificate che ave vano incominciato a diffondersi
rumorosamente nell'aria più o meno all'epoca in cui mi ero steso a dormire.
Mi riferisco alle voci delle radio, ovviamente, e dei fonografi e dei televisori apparsi più tardi. Sentivo le
radio delle macchine che passa vano per le strade del vecchio Garden District, vicino al posto dove mi
trovavo. Sentivo i fonografi e i televisori accesi nelle case intorno alla mia.
Ora, quando un vampiro si dà alla latitanza, come diciamo noi, quando smette di bere sangue e resta
sepolto nella terra, presto diven ta troppo debole per risuscitare, e piomba in uno stato onirico.
In quello stato assorbivo torbidamente le voci, le circondavo di im magini nate per reazione, come fanno
nel sonno i mortali. Ma a un cer to punto, negli ultimi cinquantacinque anni, incominciai a «ricorda re» ciò
che ascoltavo, a seguire i programmi d'evasione, ad ascoltare i notiziari e le parole e le musiche delle
canzoni.
E a poco a poco incominciai a comprendere la portata dei cambia menti subiti dal mondo. Incominciai
ad attendere informazioni specifi che su guerre e invenzioni e su certi nuovi modelli del linguaggio.
Poi cominciai ad acquisire coscienza di me. Mi accorsi che non so gnavo più. Pensavo a ciò che avevo
udito. Ero sveglio. Giacevo sotto terra ed ero assetato di sangue vivo. Incominciai a dirmi che forse tutte
le mie vecchie ferite si erano rimarginate. Che forse avevo ritrovato la forza. Che forse quella forza s'era
addirittura accresciuta, come sareb be accaduto con l'andar del tempo se non fossi mai stato ferito. E
desi deravo accertarlo.
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Cominciai a pensare incessantemente di bere sangue umano.
La seconda cosa che mi ridestò completamente, anzi il fattore scate nante, fu la presenza vicino a me
d'un complesso di giovani cantanti rock che si chiamava Satan's Night Out.
Si erano stabiliti in una casa nella Sesta Strada, a meno di un isolato dal luogo dove dormivo sotto casa
mia in Prytania, vicino al Cimitero Lafayette, e avevano cominciato a provare la loro musica rock in
soffit ta, intorno al 1984.
Sentivo il piagnucolio delle chitarre elettriche e il loro canto convul so. Valeva quanto le canzoni che
ascoltavo alla radio e allo stereo, anzi era più melodico dì tanti altri. Era carico di sentimento nonostante il
martellare della sezione ritmica. La tastiera elettrica sembrava un clavi cembalo.
Coglievo immagini dai pensieri dei suonatori: mi dicevano che aspetto avevano e che cosa vedevano
quando si guardavano tra loro o allo specchio. Erano giovani mortali snelli, scattanti e adorabili,
andro gini e un po' selvaggi nel modo di vestire e nei movimenti: due maschi e una femmina.
Quando suonavano, soffocavano quasi tutte le altre voci amplificate che rintronavano intorno a me. Ma
non mi dispiaceva.
Volevo alzarmi e unirmi al complesso Satan's Night Out. Volevo cantare e ballare.
Ma non posso dire che all'inizio il mio desiderio fosse motivato da grandi pensieri. Era piuttosto un
impulso, abbastanza forte per richia marmi dalla sepoltura.
Rimasi incantato dal mondo della musica rock... i cantanti potevano urlare parlando del bene e del male,
autoproclamarsi angeli e diavoli, e i mortali si alzavano e applaudivano. A volte sembravano incarnazioni
della follia pura. Tuttavia era abbagliante, da un punto di vista tecno logico, la complessità della loro
performance: era barbara e cerebrale in un modo che, pensavo, il mondo del passato non aveva mai
visto.
Naturalmente quel delirio era una metafora. Nessuno di loro crede va agli angeli e ai diavoli, anche se ne
assumevano la parte alla perfe zione. Solo gli interpreti dell'antica commedia italiana sapevano essere
altrettanto sconvolgenti e inventivi e lubrichi.
Eppure erano incredibilmente nuovi gli estremi ai quali portavano la brutalità e la sfida, e il modo in cui
venivano abbracciati dal mondo, tanto dai più ricchi come dai più poveri.
E poi, c'era qualcosa di vampiresco nella musica rock. Doveva appa rire sovrannaturale anche a coloro
che al sovrannaturale non credeva no. Alludo al fatto che l'elettricità poteva protrarre una nota
all'infini to, al modo in cui era possibile sovrapporre armonia ad armonia fino a quando ti sentivi
dissolvere nel suono. Era eloquente, quella musica. Il mondo non l'aveva mai posseduta in nessuna forma.
Sì, volevo avvicinarmi a loro. Volevo suonarla anch'io, e magari ren dere famoso il piccolo complesso
sconosciuto Satan's Night Out. Ero pronto a riemergere.
Impiegai una settimana, più o meno. Mi nutrii del sangue fresco dei piccoli animali che vivono sottoterra,
quando riuscivo a prenderli. Poi incominciai a risalire verso la superficie, dove potei chiamare i ratti.
Quindi non fu troppo difficile catturare qualche felino e infine l'inevi tabile vittima umana, anche se dovetti
attendere a lungo per incontrar ne una del tipo particolare che cercavo... un uomo che avesse ucciso altri
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mortali e non ne provasse rimorso.
Finalmente ne arrivò uno; passò lungo la recinzione, un giovane ma schio con la barba grigia che aveva
assassinato un suo simile in una località lontana, dall'altra parte del mondo. Un vero assassino. E... oh,
quel primo assaggio della lotta umana e del sangue umano!
Non fu un problema rubare indumenti nelle case vicine e riprende re una parte dell'oro e dei gioielli che
avevo nascosto nel Cimitero Lafayette.
Naturalmente, ogni tanto mi spaventavo. Il puzzo delle sostanze chimiche e della benzina mi dava la
nausea. Il ronzio dei condizionato ri d'aria e il sibilo degli aerei a reazione mi ferivano le orecchie.
Ma a partire dalla terza notte dopo la mia resurrezione, cominciai a girare per New Orleans su una
grossa, rombante Harley-Davidson ne ra e a fare fracasso anch'io. Cercavo altri assassini di cui nutrirmi.
Por tavo una splendida tuta di pelle nera che avevo sottratto a una delle mie vittime e avevo nella tasca
un piccolo Walkman Sony che mi river sava nella testa l' Arte della Fugadi Bach attraverso la minuscola
cuffia mentre sfrecciavo di qua e di là.
Ero ridiventato il vampiro Lestat. Ero tornato in azione. New Or leans era di nuovo il mio territorio di
caccia.
E la mia forza, ecco, era tre volte maggiore di quella d'un tempo. Potevo balzare dalla strada alla
sommità di una casa a quattro piani. Potevo strappare le grate di ferro dalle finestre. Potevo piegare in
due una moneta. Potevo sentire le voci e i pensieri degli umani, quando vo levo, a diversi isolati di
distanza.
Verso la fine della prima settimana mi rivolsi a una avvocatessa mol to carina che aveva lo studio in un
grattacielo tutto acciaio e vetro, e che mi aiutò a procurarmi un certificato di nascita perfettamente
lega le, la tessera della Previdenza Sociale e la patente. Una parte cospicua delle mie ricchezze stava
arrivando a New Orleans dai conti numerati presso l'immortale Bank of London e la Rothschild Bank.
E soprattutto, navigavo nelle rivelazioni. Sapevo che quanto mi ave vano detto del ventesimo secolo le
voci amplificate era vero.
Mentre giravo per le vie di New Orleans nel 1984, ecco che cosa ve devo:
II mondo industriale buio e squallido nel quale mi ero addormentato aveva finito con l'esaurirsi da sé, e la
vecchia pruderie e il conformismo borghese avevano perduto il loro potere sulla mentalità americana.
La gente era di nuovo avventurosa ed erotica come lo era stata un tempo, prima delle grandi rivoluzioni
del ceto medio verso la fine del Settecento. Aveva persino l'aspetto che aveva avuto allora.
Gli uomini non portavano più l'uniforme alla Sam Spade, camicia, cravatta, abito grigio e cappello grigio.
Si vestivano nuovamente di vel luto e di seta e di colori vivaci, se ne avevano voglia. Non erano più
co stretti a tagliarsi i capelli come i soldati romani: li portavano lunghi quanto volevano.
E le donne... ah, le donne erano splendide, nude nel tepore prima verile come lo erano state all'epoca
dei faraoni egizi, con le gonne suc cinte e le tunichette, oppure con i calzoni maschili e le camicie incollate
ai corpi tutti curve. Si truccavano e si ornavano d'oro e d'argento persino per andare al supermercato.
Oppure andavano a zonzo con la faccia pulita e senza gioielli... non aveva importanza. Si arricciavano i
capelli come Maria Antonietta o li tagliavano cortissimi o li lasciavano sciolti e spettinati.
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Forse per la prima volta nella storia erano forti e interessanti quanto gli uomini.
E quella era la gente comune americana. Non soltanto i ricchi, che hanno sempre raggiunto una certa
androginia, una certa joie de vivre che in passato i rivoluzionari del ceto medio chiamavano
decadenti smo.
La vecchia sensualità aristocratica era patrimonio di tutti. Era indis solubile dalle promesse della
rivoluzione del ceto medio, e tutti aveva no diritto all'amore e al lusso e alle cose belle.
I grandi magazzini erano diventati palazzi dallo splendore orienta le... merci esposte tra moquette dalle
tinte delicate, musica suggestiva, luci ambrate. Nei drugstore aperti tutta la notte, le bottiglie di shampoo
viola e verde brillavano come gemme sugli scintillanti ripiani di vetro. Le cameriere si recavano al lavoro
al volante di automobili con i sedili in pelle. Gli scaricatori di porto tornavano a casa la sera e si face vano
una nuotata nelle piscine riscaldate del giardino. Le donne delle pulizie e gli idraulici, al termine del lavoro,
indossavano indumenti confezionati d'ottimo taglio.
La miseria e il sudiciume che erano stati tanto comuni nelle grandi città della terra fin dai tempi più remoti
erano stati cancellati quasi completamente.
Non si vedevano gli immigrati che stramazzavano nei vicoli, uccisi dalla fame. Non c'erano slums dove
dormivano otto o dieci persone per stanza. Nessuno buttava i rifiuti per le strade. I mendicanti, gli
in validi, gli orfani, i malati incurabili erano diventati così poco numerosi che non costituivano più una
presenza nelle vie immacolate.
Persino gli ubriaconi e i matti che dormivano sulle panchine dei parchi e delle stazioni degli autobus
mangiavano regolarmente carne e avevano radioline da ascoltare, e abiti lavati.
Ma questa era soltanto la superficie. Ero sbalordito dai mutamenti più profondi che mettevano in moto
questa corrente impressionante.
Per esempio, al tempo era accaduto qualcosa di veramente magico.
Ciò che era vecchio non veniva più sostituito automaticamente dal nuovo. Al contrario, l'inglese che
sentivo parlare intorno a me era lo stesso che avevo conosciuto nell'Ottocento. Era ancora usato persino
il vecchio gergo. Tuttavia, sulle labbra di tutti c'erano frasi nuove e affa scinanti come «ti hanno fatto il
lavaggio del cervello» oppure «è così freudiano» oppure «non ci vedo una relazione».
Nel mondo dell'arte e dello spettacolo venivano «riciclati» tutti i secoli precedenti. I musicisti eseguivano
Mozart non meno del jazz e della musica rock; la gente andava a vedere una sera Shakespeare e la sera
dopo un nuovo film francese.
Nei giganteschi empori illuminati da luci fluorescenti potevi com prare registrazioni di madrigali medievali
e ascoltarli allo stereo della macchina mentre sfrecciavi sull'autostrada a centocinquanta all'ora. Nelle
librerie la poesia rinascimentale si vendeva accanto ai romanzi di Dickens e di Ernest Hemingway. I
manuali sul sesso erano esposti su gli stessi banchi del Libro dei Morti egizio.
A volte la ricchezza e il lindore che mi circondavano diventavano quasi un'allucinazione. Avevo
l'impressione di essere sul punto di per dere il senno.
Guardavo stupefatto le vetrine con i computer e i telefoni dalle for me e dai colori purissimi come le
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conchiglie più esotiche reperibili in natura. Gigantesche berline argentee navigavano per le vie strette del
quartiere francese come indistruttibili mostri marini. Gli svettanti grat tacieli di uffici trapassavano il cielo
notturno come obelischi egizi, do minando i cadenti edifici di mattoni della vecchia Canal Street.
Innu merevoli programmi televisivi riversavano un incessante flusso d'im magini in tutte le stanze
d'albergo ad aria condizionata.
Ma non era una serie di allucinazioni. Era un secolo che aveva ere ditato la terra in ogni senso della
parola.
E una parte non trascurabile di questo miracolo imprevisto era l' innocenza curiosadi tutti costoro, in
mezzo alla libertà e alla ricchezza di cui godevano. Il dio cristiano era morto come nel Settecento. E
nessu na religione mitologica nuova era venuta a prendere il posto di quella vecchia.
Al contrario, le persone più semplici di quest'epoca erano guidate da una vigorosa morale laica, forte
quanto le morali religiose che io avevo conosciuto. Erano gli intellettuali a far testo. Ma in tutta l'Ame rica
una quantità di individui assolutamente comuni amavano appas sionatamente «la pace» e «i poveri» e «il
pianeta», come se fossero animati da un mistico zelo.
In quel secolo contavano di eliminare la fame. Intendevano annien tare le malattie a qualunque costo.
Discutevano rabbiosamente sull'e secuzione dei criminali e sugli aborti. E combattevano le minacce
dell'«inquinamento ambientale» e della «guerra catastrofica» con lo stesso ardore con cui nelle epoche
passate gli uomini hanno combattu to la stregoneria e l'eresia.
In quanto alla sessualità, non era più oggetto di superstizione e di paura. Le ultime sfumature religiose
andavano svanendo. Perciò tutti andavano in giro seminudi, si baciavano e si abbracciavano per le
stra de. Adesso parlavano di etica e della responsabilità e della bellezza del corpo. Erano riusciti a tenere
sotto controllo la procreazione e le ma lattie veneree.
Ah, il secolo ventesimo. Ah, il volgere della grande ruota. Aveva superato anche i miei sogni più audaci,
questo futuro. Aveva ridicolizzato i profeti di sventura delle epoche passate.
Pensavo molto a questa morale laica priva di peccati, a questo otti mismo. Questo mondo fulgidamente
illuminato dove il valore della vi ta umana era più grande di quanto fosse mai stato in precedenza.
Nell'ambrato crepuscolo elettrico di una grande stanza d'albergo guardavo sullo schermo davanti a me il
sorprendente film di guerra in titolato Apocalypse Now. Era una sinfonia di suoni e di colori e cantava
l'antica battaglia del mondo occidentale contro il male. «Dovete di ventare amici dell'orrore e del terrore
morale», diceva il comandante pazzo nel giardino selvaggio della Cambogia, e l'uomo occidentale
ri spondeva «No», come ha sempre risposto.
No. L'orrore e il terrore morale non possono mai esser giustificati. Non hanno un valore reale. Non c'è
spazio per il male puro.
E ciò significa - non è forse vero? - che non c'è spazio per me.
Eccettuata, forse, l'arte che esorcizza il male, i fumetti dei vampiri, i romanzi dell'orrore, i vecchi racconti
gotici... o i canti ruggenti delle rockstar che drammatizzano le battaglie contro il male combattute da ogni
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mortale nell'intimo del proprio essere.
Era sufficiente per indurre un mostro del Vecchio Mondo a seppel lirsi di nuovo, quella sbalorditiva
irrilevanza nei confronti dello sche ma universale delle cose, era sufficiente per indurlo a buttarsi a terra
piangendo. Oppure per farlo diventare un cantante rock, a pensarci bene…
Ma dov'erano gli altri mostri del Vecchio Mondo? Me lo domanda vo. Come potevano esistere altri
vampiri in un mondo dove ogni morte veniva registrata da giganteschi computer e i cadaveri venivano
portati in celle frigorifere? Probabilmente si nascondevano nell'ombra come insetti ripugnanti, come hanno
sempre fatto, per quanto parlassero di filosofia e istituissero conventicole.
Bene, quando avessi levato la voce con il complessino chiamato Satan's Night Out, li avrei riportati alla
luce molto in fretta.
Continuavo a istruirmi. Parlavo con i mortali alle fermate degli au tobus e ai distributori di benzina e nei
bar eleganti. Leggevo molti li bri. Mi bardavo dei luccicanti indumenti di sogno dei negozi alla mo da.
Portavo maglioni bianchi a collo alto, fresche sahariane, oppure raffinati blazer di velluto verde con
sciarpe di cachemire. Mi incipriavo la faccia per poter passare inosservato sotto le luci chimiche dei
supermercati aperti tutta la notte, dei fast-food, e delle strade piene di locali notturni, sfolgoranti come
luna-park.
Imparavo. Ero innamorato.
E il mio unico problema era che scarseggiavano gli assassini di cui nutrirmi. In quel mondo brillante
d'innocenza e di abbondanza, di cortesia e di gaiezza e di stomaci pieni, i tagliagole del passato e i loro
pericolosi ritrovi lungo il porto erano quasi scomparsi.
Perciò dovevo lavorare per vivere. Ma ero sempre stato un cacciato re. Mi piacevano le sale da
biliardo, semibuie e piene di fumo, con l'u nica lampada che splendeva sopra il feltro verde mentre gli ex
galeotti tatuati vi si raccoglievano intorno, e allo stesso modo mi piacevano i night-club tappezzati di raso
dei grandi alberghi di cemento. E conti nuavo a imparare sempre di più sui miei assassini... i trafficanti di
dro ga, i ruffiani, i teppisti che s'imbrancavano con le bande motorizzate.
Ero più che mai deciso a non bere sangue innocente.
E alla fine venne il momento di far visita ai miei vecchi vicini del complesso rock chiamato Satan's Night
Out.
Alle sei e mezzo di un afoso sabato sera suonai alla porta dello stu dio all'ultimo piano. I giovani,
bellissimi mortali stavano sdraiati nelle loro camicie di seta iridata e nei calzoni attillati, e fumavano
sigarette d'hashish e si lamentavano della loro sfortuna che li condannava a la vorare nel Sud.
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Sembravano angeli biblici, con i lunghi capelli puliti e i movimenti felini: e portavano gioielli egiziani.
Anche per provare si dipingevano gli occhi e la faccia.
Mi sentii sopraffare dall'eccitazione e dall'amore soltanto a guardar li, Alex e Larry e la piccola,
appetitosa Tough Cookie.
E in un momento stranissimo in cui mi parve che il mondo rimanes se immobile sotto di me, dissi loro
che cos'ero. Per loro la parola «vampiro» non era una novità. Nella galassia in cui splendevano, altri mille
cantanti avevano portato i canini finti e il mantello nero.
Tuttavia era così strano dire apertamente ai mortali la verità proibi ta. In duecento anni non l'avevo mai
rivelata a qualcuno che non fosse destinato a diventare uno di noi. Non lo confidavo neppure alle mie
vittime prima che chiudessero gli occhi.
E adesso lo dissi chiaramente e distintamente a quelle creature gio vani e belle. Dissi che volevo cantare
con loro, che se mi avessero dato fiducia saremmo diventati tutti ricchi e famosi. Dissi che, su un'onda di
ambizione preternaturale e spietata, li avrei portati fuori da quelle stanze, nel mondo sconfinato.
I loro occhi si velarono mentre mi guardavano. E la stanzetta di stucco e cartapesta echeggiò delle loro
risate allegre.
Ero paziente. Perché non dovevo esserlo? Sapevo d'essere un demo ne capace d'imitare quasi tutti i
suoni e i movimenti degli umani. Ma come potevo pretendere che capissero? Andai al piano elettrico e
co minciai a suonare e cantare.
All'inizio imitai le canzoni rock, e poi rievocai vecchie melodie e vecchi versi, canzoni francesi sepolte nel
profondo della mia anima e tuttavia mai abbandonate... e li intessei in ritmi brutali, mentre vedevo davanti
a me un piccolo, affollato teatro parigino di un paio di secoli prima. Una passione pericolosa sgorgò
dentro di me, minacciò il mio equilibrio. Pericolosa perché si rivelava troppo presto. Tuttavia conti nuai a
cantare, battendo sui tasti bianchi del piano elettrico, e qualcosa si spalancò nella mia anima. E poco
contava che le tenere creature mortali raccolte intorno a me non l'avrebbero mai saputo.
Mi bastava che fossero giubilanti, che amassero quella musica biz zarra e sconnessa, che gridassero e
vedessero un futuro di prosperità, l'impeto che prima era loro mancato. Misero in funzione i registratori e
cominciammo a cantare e suonare insieme... jamming , era la loro espressione di gergo. Lo studio era
saturo dell'odore del loro sangue e delle nostre canzoni fragorose.
Ma poi accadde qualcosa che non avevo previsto neppure nei miei sogni più strani... qualcosa che fu
straordinario quanto lo era stata la mia piccola rivelazione a quelle creature. Anzi, fu così sconvolgente
che avrebbe potuto scacciarmi dal loro mondo e ricostringermi alla clandestinità.
Non voglio dire che sarei sprofondato di nuovo nel sonno. Ma avrei potuto allontanarmi dai Satan's
Night Out e vagare per qualche anno stordito, nel tentativo di ritrovare la lucidità.
Gli uomini, Alex, il giovane batterista esile e delicato, e il fratello Larry, più alto e biondo, riconobbero il
mio nome quando dissi che era Lestat.
Non soltanto lo riconobbero, ma lo collegarono a una massa d'in formazioni sul mio conto che avevano
letto in un libro.
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Anzi, trovarono delizioso che io non fingessi d'essere un vampiro qualunque. Oppure il conte Dracula.
Erano tutti stanchi e nauseati del conte Dracula. Giudicavano meraviglioso che io fingessi d'essere il
vampiro Lestat.
«Io fingo d'essere il vampiro Lestat?» chiesi.
Risero della mia esagerazione, del mio accento francese.
Li guardai, tutti, per un lungo istante, cercando di scrutare i loro pensieri, Naturalmente non mi ero
aspettato che mi credessero un vampiro autentico. Ma aver letto di un vampiro inventato con un no me
insolito come il mio? Come lo si poteva spiegare?
Stavo perdendo la sicurezza. E quando la perdo, i miei poteri si ri ducono. La stanzetta sembrava
diventare ancora più piccola. E c'era qualcosa di minaccioso negli strumenti, l'antenna, i fili.
«Mostratemi il libro» ,dissi.
Andarono a prendere nell'altra stanza un «romanzo» tascabile che stava cadendo a pezzi. La rilegatura
era andata, la copertina era strap pata e le pagine erano tenute insieme da un elastico.
Provai un brivido sovrannaturale quando vidi la copertina, Intervi sta col vampiro. Parlava di un
ragazzo mortale che convinceva uno dei non-morti a raccontare la sua storia.
Con il loro permesso andai nell'altra stanza, mi stesi sul letto e co minciai a leggere. Quando arrivai a
metà, presi con me il volume e uscii. Rimasi immobile sotto un lampione con il libro, fino a quando lo finii.
Poi lo riposi con cura nella tasca.
Non tornai dai tre del complesso per sette notti.
Durante gran parte di quel tempo ripresi a vagare rombando nella notte sulla mia Harley-Davidson, con
le Variazioni Goldberg di Bach suonate a pieno volume. E mi domandavo: Lestat, adesso che cosa vuoi
fare?
Per il resto del tempo studiavo con impegno rinnovato. Leggevo le grosse storie tascabili e i lessici della
musica rock, le cronache dei suoi divi. Ascoltavo gli album e meditavo in silenzio sui videotape dei
con certi. E quando la notte era deserta e silenziosa, sentivo le voci di In tervista col vampiro che
cantavano per me, come se uscissero dalla tomba. Rilessi molte volte il libro. E poi, in un momento di
collera ri provevole, lo feci a pezzi.
Alla fine presi una decisione.
M'incontrai con la mia giovane avvocatessa, Christine, nell'ufficio in cima al grattacielo dove c'era
soltanto la luce del centro cittadino. Era incantevole, sullo sfondo della vetrata con gli edifici indistinti che
for mavano un panorama aspro e confuso dove ardevano mille torce.
«Non mi basta più che il mio piccolo complesso rock abbia succes so», le dissi. «Dobbiamo creare una
fama che porti il mio nome e la mia voce nei luoghi più remoti del mondo.»
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Con calma e intelligenza, come fanno gli avvocati, mi sconsigliò di rischiare il mio patrimonio. Tuttavia,
mentre insistevo con sicurezza maniacale, sentivo che si lasciava sedurre e che lentamente il suo buon
senso cedeva.
«I migliori registi francesi dei video rock», dissi. «Deve chiamarli da New York e Los Angeles. Il denaro
non manca. E qui può senza dubbio trovare gli studi dove faremo il lavoro. I giovani produttori
di scografici che poi provvedono al missaggio sonoro... anche in questo caso, cerchi i migliori. Non
importa quello che spenderemo. L'impor tante è che sia orchestrato tutto, e che manteniamo il segreto
fino al momento della rivelazione, quando i nostri album e i nostri video ver ranno diffusi assieme al libro
che mi propongo di scrivere.»
Alla fine, l'avvocatessa aveva la testa che girava per i sogni di ric chezza e di potere. La sua penna
volava mentre prendeva appunti.
E io cosa sognavo mentre le parlavo? Una ribellione senza prece denti, una sfida grandiosa e terribile ai
miei simili in tutto il mondo.
«I video», dissi. «Deve trovare registi che realizzino le mie visioni. Devono essere in sequenza, devono
narrare la vicenda del libro. Le canzoni, in gran parte le ho già scritte. Deve procurarsi strumenti di qualità
superiore... sintetizzatori, i migliori sound systems, chitarre elettriche, violini. Agli altri dettagli penseremo
poi. I costumi da vampiri, il metodo di presentazione alle stazioni televisive rock, la gestione della nostra
prima comparsa in pubblico a San Francisco... tutto a suo tem po. L'importante è che adesso faccia le
telefonate, si procuri le infor mazioni che le occorrono per incominciare.»
Non tornai dai Satan's Nìght Out fino a quando non furono stilati i primi accordi e non ebbi le firme. Le
date furono fissate, gli studi ven nero presi in affitto e furono scambiate le lettere d'intesa.
Poi Christine venne con me. Avevamo una colossale berlina per i miei cari, giovani suonatori di rock,
Larry, Alex e Tough Cookie. Ave vamo a disposizione capitali enormi, e avevamo i documenti da
firmare.
Sotto le querce sonnolente della tranquilla via di Garden District, versai per loro lo champagne nei
bicchieri di cristallo.
«Al Vampiro Lestat», cantammo al chiaro di luna. Sarebbe stato il nuovo nome del complesso, del libro
che avrei scritto. Tough Cookie mi abbracciò. Ci baciammo teneramente tra le risate e l'odore del vino.
Ah, il profumo del sangue innocente!
E quando se ne furono andati a bordo della berlina tappezzata di velluto, mi avviai tutto solo nella notte
tiepida verso St. Charles Avenue, e pensai al pericolo che incombeva sui miei piccoli amici mortali.
Non ero io a costituirlo, naturalmente. Ma quando il lungo periodo di segretezza fosse finito, sarebbero
apparsi ignari e innocenti nella lu ce della ribalta internazionale con il loro divo sinistro e avventato. Be', li
avrei circondati di guardie del corpo e di assistenti per tutti gli scopi immaginabili. Li avrei protetti dagli
immortali come meglio potevo. E se gli immortali erano ancora come nei tempi andati, non avrebbero mai
rischiato una lotta volgare con una simile forza umana.
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