Table Of ContentUNIVERSITÀ DEL PIEMONTE ORIENTALE
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA E SCIENZE
POLITICHE, ECONOMICHE E SOCIALI
CORSO DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA
TESI DI LAUREA
Il delitto di tortura in Italia.
Dall’habeas corpus alla norma penale
Relatore:
Chiar.mo Prof. Davide Petrini
Candidato:
Davide Fratta
ANNO ACCADEMICO 2014/2015
I
Indice
Introduzione ……………………………………………………….pag. III
Capitolo I – La libertà personale
1.1.L’articolo 13 della Costituzione pilastro di un sistema di garanzie. La
Drittwirkung dei diritti ………………………………………………pag. 1
1.2.Il secondo comma dell’articolo 13 e l’acquis della Corte costituzionale.
Cenni al dibattito circa il “vuoto di fini”………………………….....pag. 6
1.3.Riserva assoluta di legge e riserva di giurisdizione ...……..……pag. 17
1.4.La deroga contenuta nel terzo comma dell’art. 13 e la punizione della
violenza fisica e morale ……………………………………………..pag. 29
2.1.Una retrospettiva storica ………………………………………..pag. 47
2.2.I lavori dell’Assemblea Costituente ……………………………..pag. 48
2.3.L’articolo 26 dello Statuto Albertino ……………………………pag. 58
2.4.Le Dichiarazioni del XVIII secolo ………………………………pag. 67
2.5.Le origini: la Magna Charta Libertatum. Nascita di un diritto di
pochi……………………………………..……………………………….pag. 79
Capitolo II – L’inesistenza di una norma penale
1.1.Le tutele predisposte dalle Nazioni Unite. La Convenzione ONU del
1984 …………………………………………………………………pag. 90
1.2.Il Consiglio d’Europa. L’articolo 3 della Cedu e la giurisprudenza
della Corte di Strasburgo. Il Comitato per la prevenzione della
tortura ……………………………………………………………...pag. 119
II
1.3.L’ordinamento italiano e l’attuazione degli obblighi internazionali
……………………………………………………………………...pag. 146
2.1.La proposta di legge …………………………………………...pag. 184
(segue) La collocazione sistematica ….……………………………pag. 184
(segue) Il testo dell’articolo 613-bis, come modificato il 9 luglio 2015.
Rilievi generali sulla formulazione della fattispecie ………………pag. 188
(segue) Il soggetto attivo. Il delitto di tortura come reato comune ..pag. 190
(segue) I soggetti passivi del reato ………………………………...pag. 196
(segue) La condotta ………………………………………………..pag. 209
(segue) L’elemento soggettivo ……………………………………..pag. 215
(segue) Il quadro sanzionatorio …………………………………...pag. 218
(segue) Le circostanze aggravanti …………………………………pag. 222
(segue) L’istigazione ……………………………………………….pag. 231
CAPITOLO III – Tra storia recente e prospettive future
1.1.Le forze dell’ordine in Italia …………………………………...pag. 233
2.1.Ritorno al diritto ……………………………………………….pag. 260
Riferimenti bibliografici …………………………………………...pag. 266
III
Introduzione
L’introduzione del delitto di tortura in Italia è al centro di un
dibattito che prosegue in sede politica da oltre un trentennio, senza
pervenire a un punto di approdo. Il monito della dottrina si leva unanime
per denunciare l’inadempimento degli obblighi internazionali da parte
dell’Italia. I termini della questione sono sempre i medesimi: da un lato, il
nostro Paese nel 1984 ha sottoscritto in sede ONU la Convention against
Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or
Punishment, con la quale si è impegnato ad introdurre la fattispecie
delittuosa di tortura nell’ordinamento penale interno, dall’altro lato, la
perdurante inadempienza del legislatore manifesta i suoi più drammatici
risvolti ogniqualvolta si traduce nella sostanziale impunità di chi adotta
comportamenti riconducibili alla fattispecie tortura.
Sono i casi concreti a rendere sempre attuale il problema. Di tortura
si è parlato in relazione ai fatti occorsi alla scuola Diaz di Genova nella
notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001. Anche sulle morti di Federico
Aldrovandi, Stefano Cucchi e Giuseppe Uva aleggia lo spettro della tortura.
Se ci fosse stata una disposizione penale ad hoc, quei fatti avrebbero potuto
essere qualificati più gravemente, i responsabili sarebbero stati assicurati
alla giustizia, i tempi di prescrizione sarebbero stati certo più lunghi di
quelli previsti per il reato di lesioni di personali, l’Italia non sarebbe stata
condannata dai giudici di Strasburgo a risarcire Arnaldo Cestaro, il più
anziano dei manifestanti che occupavano la scuola Diaz la notte
dell’incursione delle forze dell’ordine. Questi sono i termini ricorrenti della
narrazione relativa alla mancata introduzione del delitto di tortura in Italia.
IV
Si ritiene, tuttavia, che l’intervento del legislatore debba andare ben
oltre la mera riproduzione sul piano interno delle disposizioni sottoscritte in
sede pattizia. Sono molteplici gli elementi che debbono essere presi in
considerazione, ai fini di un’azione che non deve porsi come unico
obiettivo quello di adeguare l’ordinamento penale interno alle fonti
internazionali, ma deve essere orientata a una radicale riforma dei corpi di
polizia. Con la presente ricerca si è cercato di far luce su tutti quei fattori
che non sono strettamente correlati alla legge penale, ponendosi come un
corollario, se non come un superamento di questa.
Ben prima e con ben maggior livello di cogenza rispetto alle fonti
internazionali, il fondamento del divieto di tortura va individuato nella
Costituzione, che al quarto comma dell’articolo 13, unico caso in tutta la
Carta, prevede un obbligo di incriminazione per tutte le condotte atte a
cagionare sofferenza alle persone sottoposte a restrizione di libertà. Non
solo. L’inviolabilità della libertà personale, sancita in posizione apicale tra i
diritti civili riconosciuti, costituisce la chiave di volta per una corretta
reinterpretazione del rapporto Stato-cittadino.
Per meglio comprendere come una simile concezione rappresenti il
punto di arrivo di una speculazione giuridico-filosofica durata quasi un
millennio, si è tracciata una linea a ritroso, dall’articolo 13 della
Costituzione, alla Magna Charta Libertatum del 1215, ripercorrendo le
tappe fondamentali del diritto di libertà personale, nei lavori
dell’Assemblea costituente, nei cento anni di vigenza dello Statuto
albertino, nelle Dichiarazioni del XVIII secolo e nei documenti stilati dal
Parlamento britannico nel corso del Seicento.
Di seguito, sono state esaminate le fonti internazionali, in
particolare i documenti sottoscritti nelle sedi delle Nazioni Unite e del
V
Consiglio d’Europa, valutandone la diversa capacità di influenzare
l’ordinamento interno, in special modo l’ordinamento penale, “corazzato”
dal principio di legalità. Prendendo le mosse dalle sentenze della Corte
Costituzionale numeri 348 e 349 del 2007, che hanno specificato la natura
di fonte interposta della Cedu e della giurisprudenza della Corte europea, si
è proceduto all’esame di taluni corollari che i giudici di Strasburgo hanno
enucleato in via interpretativa dall’articolo 3 Cedu, e che il legislatore
italiano dovrebbe tenere in massima considerazione, nell’ottica di un
adempimento effettivo degli obblighi pattizi. Si è altresì ritenuto doveroso
rendere conto dell’operato del Comitato per la prevenzione della tortura del
Consiglio d’Europa, attraverso la testimonianza di Antonio Cassese, che è
stato il primo a ricoprire il ruolo di presidente.
Largo spazio si è successivamente riservato all’esame della
proposta di legge attualmente in discussione in Parlamento, con la quale si
vuole introdurre nel codice penale un articolo 613-bis rubricato Tortura. I
problemi principali sottesi all’ultima versione del testo, approvata dal
Senato in data 7 luglio 2015, concernono la scelta di tipizzare la fattispecie
criminosa come reato comune, con la previsione di una circostanza
aggravante per il caso in cui il soggetto attivo sia un pubblico ufficiale
nell’esercizio delle sue funzioni; la mancanza di specificazioni circa
l’elemento soggettivo; la forma vincolata della condotta. L’analisi è stata
svolta tenendo conto, da un lato, delle altre norme penali che disciplinano
fattispecie analoghe, dall’altro lato, dei casi concreti su cui i giudici italiani
si sono pronunciati negli ultimi anni.
Conclusivamente, sono stati delineati sommariamente i termini di
una indagine criminologica, volta a comprendere quali siano le
problematiche insite nello svolgimento del lavoro di polizia. I criteri di
VI
selezione degli agenti, la formazione e il monitoraggio del livello di stress
sono fattori di importanza fondamentale, su cui è necessario agire con la
massima solerzia, se si vuole ricomporre un rapporto tra i cittadini e le
forze dell’ordine che non sia all’insegna della paura, ma si basi sulla
fiducia e sulla collaborazione.
VII
Questa tesi di laurea è dedicata alla memoria di Andrea Soldi,
deceduto a Torino il 5 agosto del 2015.
VIII
Capitolo I – La libertà personale
1.1.L’articolo 13 della Costituzione pilastro di un sistema di
garanzie. La Drittwirkung dei diritti.
La lezione dei Padri costituenti può essere colta non soltanto nei
contenuti ricavabili dal testo costituzionale, ma anche nella tecnica
utilizzata per la formulazione delle singole disposizioni1. Le cinque parole
con cui si apre il Titolo I della Costituzione, dedicato ai rapporti civili, si
pongono nell’architettura della Carta come una colonna portante, giacché il
riconoscimento di qualsiasi posizione soggettiva presuppone la libertà
personale, con l’attributo dell’inviolabilità.
Il primo comma dell’articolo 13, con una esemplare essenzialità
formale, esplicita il corollario più ovvio dei principi fondamentali che lo
precedono e va a costituire l’antefatto logico di tutte le disposizioni che
seguono. L’inviolabilità del domicilio e della libertà di comunicazione, così
come la libertà di circolazione, di riunione pacifica, di associazione, sono il
bagaglio giuridico minimo di ogni soggetto, il cui nucleo forte è
individuabile nella libertà personale.
Lungi dall’orientare il presente lavoro verso conclusioni esegetiche
o puramente costituzionalistiche, l’interrogativo da cui si intende partire
verte sull’origine del diritto fondamentale di cui trattasi, intendendo
1 «Psicologicamente l’uso dell’indicativo presenta il vantaggio di porre in evidenza l’attualità della
norma, il suo essere vigente nel trascorrere del tempo. Inoltre con l’apparente assenza della modalità
deontica non si mettono in mostra i muscoli del potere. La regola di diritto si presenta non come una
imposizione ma come un fatto naturale, che rientra cioè nella natura delle cose e quindi è più
accettabile». CORNU G., La codification de la procedure civile en France, in Revue Jur. et Pol. 1986, p.
695, in PAGANO R., Introduzione alla legistica. L’arte di preparare le leggi, Milano, 2001, p. 124. Si
veda anche poco oltre (p. 132), dove, riportando un monito di Bentham, si osserva che essendo le leggi
fatte con le parole, «Vita, proprietà, libertà, onore, tutto ciò che noi abbiamo di più prezioso dipende
dalla scelta delle parole. Le parole della legge debbono essere pesate come diamanti».
1
muoversi lungo due linee di indagine, storica, l’una, giuridico-filosofica,
l’altra. Nello specifico, volendo fare chiarezza sulla seconda direttrice, ci si
chiede quale è la natura del diritto fondamentale di libertà e chi sono i
soggetti ai quali fa riferimento la disposizione che in questa sede vuole
assumersi come perno di un sistema.
Il riconoscimento dei diritti fondamentali da parte dell’Autorità e la
relativa trascrizione in un testo normativo, che sia un Act o una Carta di
natura flessibile o rigida, piuttosto che una Dichiarazione Universale,
implica la trasposizione sul piano normativo di un dato fattuale preciso,
descrivibile, in sintesi, come una necessità di intervento o di astensione
dall’intervento2. Ciò che viene richiesto allo Stato è rimuovere un ostacolo
ovvero rispettare determinati limiti nel creare ostacoli alle relazioni interne
ed esterne delle varie sfere sociali, che esistono ed operano in una
collettività. Muovendo da prospettive istituzionalistiche del diritto, ben
prima e ben al di fuori dei testi di legge o delle carte costituzionali i diritti
vivono, nella misura in cui vengono percepiti, teorizzati, fatti valere o
postulati come necessari da coloro che sperimentano nella prassi quotidiana
il loro risvolto empirico3.
2 Si veda l’efficace esposizione di Giacomo Marramao, che affronta sinteticamente la questione
dell’origine naturale, consuetudinaria o positiva dei diritti fondamentali, ponendo a confronto i sistemi di
common law e di civil law. Dopo aver osservato che nel Bill dell’Habeas Corpus del 1679 e nel Bill of
Rights del 1689 i diritti fondamentali sono diritti tradizionali basati sulla common law, mentre la
Dichiarazione d’indipendenza americana e la Déclaration votata dall’Assemblea Nazionale francese nel
1789 definiscono tali diritti come naturali e anteriori al patto sociale, conclude spostandosi sul piano del
rapporto diritto – autorità: «Queste divergenze definitorie, importanti ai fini della qualificazione dei
diritti, sono tuttavia del tutto indifferenti in ordine ai rapporti tra diritti e potere: in entrambi i casi infatti
i diritti (che vengano fondati sulla consuetudine, come nei Bills inglesi, o sulla natura, come nella
Rivoluzione americana) configurano un limite preesistente alla sovranità politica». MARRAMAO G.,
Stato, soggetti e diritti fondamentali, in Quaderno della Rivista internazionale di filosofia del diritto,
Crisi e metamorfosi della sovranità, Atti del XIX Congresso Nazionale della Società Italiana di Filosofia
Giuridica e Politica, Milano, 1996, p. 249.
3 «Se si ha riguardo al momento in cui certe istituzioni sorgono e quindi comincia ad aver vita il loro
ordinamento, si vede subito che questo momento non è determinato da una norma preesistente, e che
quindi non è possibile ritenere che il diritto sia non un’istituzione, ma il complesso delle norme per cui
essa esiste e funziona. Ciò è evidente, per es., per lo Stato, ma non solo per lo Stato: esso esiste perché
2
Description:59 Si veda MORTATI C., Studi sul potere costituente e sulla riforma costituzionale dello Stato. Raccolta di contraddizione finale di tutto un regime, che ha almeno un secolo di storia in Italia, per chi nel fascismo ha visto e ans et trois mois et quatre ans d'emprisonnement, en plus de l'interdi